NEWS OF LIFE – NOTIZIE DI VITA

di Vincenzo Vita

ALLARME ROSSO SULLA LIBERTÀ DI INFORMAZIONE

Allarme rosso sulla libertà di informazione. Non parliamo qui di uccisioni, ferimenti, minacce o querele temerarie, ovvero la grande tragedia dell'epoca. Il riferimento è alla violenza "bianca" dei soprusi e delle indecenti preferenze nell'esposizione politica sui media. Siamo nel corso di una colossale crisi politica e istituzionale. Meglio, di sistema. Le vecchie coordinate sono travolte e con loro è andata a farsi benedire la "par condicio". Appunto. Il problema è più serio di altre volte, perché le telefonate senza contraddittorio nel programma di Fazio o le presenze non stop di esponenti politici nelle giornate televisive sono solo l'antipasto dell'invasione incontrollata che ci aspetta. Se si voterà in tempi brevi, infatti, questa volta il vecchio Far west avrà le sembianze della saga di Blade runner. Si salvi chi può e la scena televisiva sarà bellamente occupata. Catastrofismo? No, semplice constatazione. Prendere un telecomando e fare lo zapping per credere: basta poco per accorgersi del pericolo in atto. Il pluralismo è stato sepolto, senza neanche i funerali. Non si dica che la legge 28 del 2000 non è in vigore perché ancora (quella sulla par condicio) non sono stati convocati i "comizi elettorali". Quella stessa, negletta, normativa sottolinea la necessità di preservare i principi generali delle pari opportunità durante l'intera annata, come cifra identificativa di ogni emittente che utilizza un bene comune, l'etere. Così pure parla con nettezza la riforma del 1998, la l.249, che assegna all'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni compiti complessivi di alta amministrazione e di magistratura. La vicenda si aggrava, poi, per l'assenza della Commissione parlamentare di vigilanza, neppure costituita. Tra l'altro, se il quadro dovesse precipitare, chi stabilirebbe calendari e presenze nelle trasmissioni? E già oggi, si sta valutando se non vi sono state violazioni o se altre eventuali si stanno appalesando?

Sono urgentissime, dunque, misure straordinarie. Innanzitutto, sarebbe indispensabile un documento di indirizzo chiaro da parte dell'Agcom, insieme all'immediata pubblicazione dei dati sulla politica in video e in voce più recenti a disposizione. Non solo. All'Autorita' spetta anche il compito di verificare l'osservanza dei principi elementari da parte dei social, a cominciare da Facebook. Ci ricordiamo di Cambridge Analytica?

E c'è da chiedersi se le Presidenze di Camera e Senato abbiano preso in esame una soluzione concreta per costituire la commissione parlamentare o immaginare eventualmente un collegio ad hoc.

Non solo. Troppo delicata è la transizione italiana. Accanto ai livelli istituzionali serve una struttura costituita dalle principali associazioni della società civile, magari con il supporto delle università specializzate, per verificare il rispetto delle regole, "dal basso". E per tutelare i soggetti mediaticamente deboli, in quanto eccentrici rispetto al mainstream dominante. La par condicio, infatti, non è una partita a poker ristretta a Lega, 5Stelle, Forza Italia e Partito democratico. Anzi. I primi due attori sembrano il nuovo bipolarismo e si mangiano molto, troppo del tempo. Certamente sono i "vincenti", ma la legge funziona quando l'ultimo ha la stessa dignità del primo. Quante volte il Mov5Stelle ha protestato contro il regime e proprio il Presidente della Camera Roberto Fico, per l'esperienza maturata nella Vigilanza sulla Rai, dovrebbe esprimersi su un tema cruciale. Così come L'Agcom bene farebbe a battere qualche colpo. Guai se l'antiregime si fa subito regime e se, in tanto discettare di popolo, la platea radiotelevisiva viene abbandonata alle logiche strumentali della contingenza. Populismo mediale, "dall'alto".

PERSUASORI NON SOCIAL

E' stato presentato nei giorni scorsi a Roma, presso la Fondazione Basso, un'importante ricerca su "Persuasori social trasparenza e democrazia nelle campagne elettorali digitali", curata da Nexa Center for Internet & Society del Politecnico di Torino, dal Centro per la riforma dello stato e dalla Fondazione P&R. Il comitato di indirizzo del progetto è costituito da Juan Carlos De Martin, Giulio De Petra e Roberto Polillo, mentre il laboratorio ha avuto come coordinatori Fabio Chiusi, Antonio Santangelo e Francesco Marchianò.

Il documento tratteggia, sulla scorta di contributi forniti dagli stakeholder e attraverso interviste individuali effettuate dal team del progetto (Punto Zero), le novità delle campagne elettorali dell'era digitale. L'età "post-mediatica", vale a dire quella seguita alla stagione della comunicazione tradizionale. Quando una politica più forte si rifletteva nel cuore dei mezzi analogici: determinati nel tempo e nello spazio, unidirezionali e rivolti a pubblici "generalisti". La rivoluzione "fredda" della rete e della connessione permanente ha radicalmente cambiato l'ordine degli addendi. Dal consumo massificato, alla persuasione personalizzata. I cittadini diventano veri e propri corpi di sperimentazione di forme invasive di manipolazione, rese possibili dalla scia di tracce che ognuno di noi -come l'assassino per Agatha Christie- rilascia continuamente, formando un profilo da fantascienza. Noi non conosciamo lo specchio digitale che ci riguarda, ma Facebook, Google o Amazon invece sì. La personalizzazione ha cambiato di segno: da tecnica di marketing commerciale utile per venderci alla pubblicità, la rete si è trasformata in incubatore di stili e di attitudini, di flussi di opinioni: politica-propaganda allo stato puro.

Il caso di Cambridge Analytica è noto e lo stesso proprietario di Facebook che ha venduto milioni di utenti alla società di consulenza è stato costretto -almeno in apparenza- ad abbassare un po' la cresta. Ma, annota il rapporto, ben prima che scoppiasse lo scandalo il direttore della campagna digitale di Trump, Brad Pascale, si vantava di produrre 50-60 mila varianti di messaggi pubblicitari sui social. In molti casi studiate sulla base delle caratteristiche "dedicate", in altri volte ad incrementare il non-voto laddove l'orientamento fosse a favore dei democratici. Le tattiche di manipolazione e disinformazione hanno avuto un ruolo nelle elezioni di almeno 17 paesi nel mondo, scrive il rapporto citando Freedom House. E poi, senza dietrismi, si intravvede un certo lavorio degli ambienti del Cremlino. E pure dell'ex consigliere della Casa Bianca Bannon, del resto assai prolifico di esternazioni. La vittoria di 5Stelle e Lega era annunciata. L'utilizzo delle fake news (al di là dell'impatto reale, sopravvalutato) è potenziato dalla "dark ads", la pubblicità oscura ovvero quella che vedono solo i diretti interessati. Così, il fenomeno dei social npn va associato frettolosamente alle culture populiste. Il merito del progetto è di indurre alla riflessione scientifica, non accedendo agli estremi delle tifoserie dei "bot" e delle tastiere "virali".

Infine, alcune ipotesi di lavoro. Servono pure in Italia (il mondo si muove) tutele democratiche, a cominciare da aggiornate normative antitrust, tese a mettere limiti all'ascesa degli Over The Top, ad aggiornare la legislazione sulla par condicio elettorale (qui il rapporto è troppo incerto e vago), ad imporre la trasparenza nell'età degli algoritmi.


CARO CRIMI, TI SCRIVO

Il sottosegretario con delega all'editoria, Vito Crimi del Mov5Stelle, avrà i suoi grattacapi. Il settore, infatti, versa in una situazione di crisi strutturale. Quest'ultima è la combinazione della più complessiva vicenda economica con la storica trasformazione tecnologica in corso. La frontiera tra l'era analogica e quella digitale è assai più problematica e complessa di quanto i cantori dell'innovazione abbiano fatto credere. Il lavoro precario, spesso pesino dai tratti schiavistici, costituisce al momento il lato duro della transizione. Gli editori sono arrivati all'appuntamento impreparati e chiusi in fortezze ormai fragilissime; i proprietari dei dati e degli algoritmi con cui si compongono le odierne strutture informative hanno in mano la diffusione dei saperi, con inaccettabili vantaggi fiscali; le organizzazioni sindacali hanno il fiatone. Inoltre, gli istituti pensionistici rischiano di non reggere, perché il calo occupazionale è costante.

Insomma, servono misure di intervento straordinarie per evitare crolli, collassi e disoccupazione selvaggia. Ed è indispensabile un vero disegno riformatore, che introduca norme antitrust adeguate al tempo storico e valorizzi gli investimenti produttivi. Da anni si evoca la necessità di convocare gli "Stati generali dell'editoria", per mettere a punto un progetto non effimero. La carta e la rete possono convivere. Anzi, laddove si sono avviate sperimentazioni virtuose, le due piattaforme sono diventate sinergiche.

Ecco, questo è lecito attendersi da chi ha scommesso sul cambiamento. Non sia mai che la visuale si fermi al capitolo, importante ma una goccia nella tempesta, del"Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione". Su quest'ultimo si sono dette e scritte parole talvolta improprie, soprattutto perché non aggiornate. I "fasti" antichi sono un ricordo. La sequenza normativa composta dalla legge n.103 del luglio 2012, dalle disposizioni della l.n.198 dell'ottobre 2016 e dal decreto legislativo n.70 del luglio 2017 ha già parecchio bonificato il comparto. Non ci sono né finanziamenti ai fogli di partito, né a quelli specializzati; mentre il resto degli aventi diritto è soggetto a griglie piuttosto rigide, dal vincolo dei contratti a tempo indeterminato, a un rigoroso rapporto tra diffusione e vendite. Misure volte alla trasparenza hanno -almeno in parte- tolto il "Fondo" dal calderone dell'assistenzialismo dalle mani bucate. Intendiamoci. Stiamo parlando di una quota assai modesta di finanziamento (ora parzialmente prelevato dai proventi del canone della Rai): 44 milioni di euro per il 2017. Un quinto della cifra di qualche anno fa. A riprova di simile contrazione, va ricordato che almeno 50 testate hanno dovuto chiudere i battenti. E del centinaio residuo, la metà vive con angoscia.

Una simile linea di azione pubblica non è un isolato caso italiano. In Europa, le risorse per i giornali arrivano pure dallo stato, fino al tetto record di 1,2 miliardi di euro della Francia.

Non solo. I quotidiani "forti" nel mercato da diversi anni non godono di alcun vantaggio diretto, fatta esclusione per pochissime voci, in particolare le tariffe telefoniche agevolate. E le organizzazioni delle edicole chiedono ancora la completa attuazione della l.n.96 del giugno 2017.

E' dal 1981 -con la l.416- che non viene promulgata una riforma compiuta. Fu il risultato di un fronte che mise insieme la federazione degli editori, il sindacato dei giornalisti, Cgil, Cisl e Uil. Era il mondo di prima. Ma il futuro è cominciato ieri.

DOMENICA BESTIALE

Una domenica bestiale, quella passata. Tanto per la vicenda della nave Aquarius, in cui si è appalesata la smania fascistoide dei leghisti, quanto per la clamorosa scorrettezza in tema di comunicazione politica.

I fini dicitori obietteranno che le disposizioni della "par condicio", essendo stata quella dello scorso 10 giugno una consultazione parziale al di sotto del 25% della popolazione complessiva, si applicavano solo sul piano locale, esentando le trasmissioni nazionali. Tuttavia, la delicatezza della stagione istituzionale in corso e il dramma dei profughi avrebbero richiesto un'attenzione particolare. Non c'è stata, né da parte delle emittenti né dal versante dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni cui pure spetterebbero compiti di vigilanza permanente. Non solo gli esponenti politici, a cominciare da Salvini e Di Maio, hanno impunemente scorrazzato tra un programma e l'altro, ma sono stati lungamente intervistati e accolti in pompa magna nei talk. Domenica le urne erano aperte e buona creanza avrebbe voluto che il silenzio elettorale venisse rispettato non solo nei confini territoriali, bensì pure nell'offerta generalista. E fa specie che non ci si sia neppure pensato.

Silenzio rotto costantemente, ben al di là di un asciutto commento delle notizie; pluralismo sbeffeggiato nella logica cui i media si stanno assuefanno del bipolarismo Lega-5Stelle. Si è dovuto attendere l'arrivo serale dell'"Arena" condotta da Giletti per avere qualche voce in più. Sempre, però, nel giorno del voto.

Certamente non è dimostrabile il nesso di causa ed effetto tra la bulimia mediatica e le scelte delle persone in cabina. Vecchio e logoro è il dibattito sugli effetti della televisione, sempre regina -però- del condizionamento secondo il Censis. Non è detto che le ore di esposizione dei leader abbia loro portato fortuna: a Salvini forse sì, a Di Maio assai di meno. Ma l'odierna dieta della fruizione è cross -mediale e, se sono i social ad esercitare un ruolo sempre maggiore in particolare tra le generazioni digitali, la vecchia scatola nera rimane in testa ad ogni classifica nel determinare l'agenda delle priorità. Vale a dire, ciò che merita attenzione e cosa no. Le immagini non stop (ovviamente) della nave vagante in un mare mediterraneo diventato crudele e nemico venivano associate alla faccia del capo leghista e a quella del collega-concorrente pentastellato. L'associazione con il voto era inesorabile.

Il 24 giugno vi saranno i ballottaggi ed è augurabile che chi ne ha titolo dia un segno di vita. Si parla costantemente di rivedere la legge del febbraio 2000, che viene spesso evocata come i cavoli a merenda. Si abbia il coraggio civile di proporne un'altra, invece di irriderne il senso profondo. Quest'ultimo va oltre l'articolato giuridico: si evoca in quel testo uno stile di condotta, prima ancora che un dettame burocratico.

Si è scritto in questi giorni da parte di professori e avvocati come Carlo Melzi d'Eril e Giulio Enea Vigevani, nonché del commissario dell'Agcom Antonio Nicita, sulla degenerazione in atto della comunicazione politica, pur fondata sullo schema delle tribune e del contraddittorio. Ora è in uso il siparietto singolo, con il collega amico-nemico che osserva dietro le quinte in attesa del suo turno. Il problema posto è reale, in quanto il racconto della politica deve rispondere all'esigenza primaria di informare i cittadini. I siparietti "privati" assomigliano spesso agli spot pubblicitari, senza copy e senza creativi.


INTERNET a 5 STELLE

Il rapporto presentato alla camera dei deputati dall'agenzia Italia e dal Censis sull'universo di Internet e della rete ("L'insostenibile leggerezza dell'essere digitale nella società della conversazione", Kundera for ever) offre diversi spunti, frutto di un utile lavoro del direttore dell'Agi Riccardo Luna svolto insieme al condirettore Marco Pratellesi e al segretario generale dell'istituto di ricerca Giorgio De Rita. La diagnosi è chiara: l'età dell'innocenza è finita da un pezzo e cresce la consapevolezza su diritti e doveri. Tuttavia, una parte cospicua degli utenti non considera le indicazioni del recente Gdpr (il regolamento europeo sulla privacy) e il 15-20% non adotta neppure le cautele minimali come il ricambio delle password. Mentre è forte il fastidio per le fake news e per i profili coperti dall'anonimato. E tutto ciò avviene nel contesto di una persistente arretratezza, se è vero che "L'errore più grave degli ultimi 10-15 anni è stato girarsi dall'altra parte". I mutamenti profondi della società digitale, a cominciare dalla struttura del lavoro, non sono entrati davvero nelle scelte dei gruppi dirigenti e, ancor meno, in quelle della pubblica amministrazione. E permane un consistente divario nell'accesso alla banda larga (solo un'abitazione su otto dispone di 30 mega).

Varie le voci sentite nella conferenza: dai parlamentari Anna Ascani, Andrea Giarrizzo e Antonio Palmieri che hanno rilanciato l'intergruppo per l'innovazione; ai manager dalla sharing economy (da Foodora a Airbnb) inclini alle "sorti magnifiche e progressive" di società attraversate invece da fortissime contraddizioni; al presidente di Confindustria digitale Elio Catania; alle giovani rappresentanti dei due convitati di pietra "cattivissimi" Google e Facebook usi a mostrarsi in pubblico con volti innocenti; al sottosegretario al ministero dell'istruzione Salvatore Giuliano (smartphone in classe sì o no?). Nei vari panel del dibattito hanno preso la parola i due garanti: per la privacy Antonello Soro e per le comunicazioni Angelo Cardani; il presidente del Cnr Massimo Inguscio (sui colossali ritardi italiani sul tema dell'intelligenza artificiale, laddove i paesi più evoluti investono mille volte di più); il direttore del Laboratorio nazionale di Cybersecurity Paolo Prinetto; il commissario all'agenda digitale Diego Piacentini, che non ha chiarito esattamente che cosa sia successo da quando, in diretta da Amazon, si è seduto a Palazzo Chigi.

Hanno concluso la giornata Stefano Trumpy e Claudio Roveda -tra i "guru" del settore- e la ministra Giulia Bongiorno.

Ma la parte nuova dell'incontro è stata negli interventi di Roberto Fico, Luigi Di Maio e Vito Crimi. Quasi in una virtuale divisione dei compiti con l'alleato di governo leghista cui pare delegato il Medioevo, gli autorevoli esponenti del Mov5Stelle sembrano aver preso la scena del Futuro. Se il presidente della camera ha insistito sulla cittadinanza digitale citando Stefano Rodotà e la commissione voluta dalla predecessora Laura Boldrini, se il sottosegretario con delega all'editoria ha parlato con pacatezza della necessità di avere trasparenza sugli investimenti pubblicitari nei media, il colpo di teatro è arrivato dal vicepremier. Internet per tutti, anche se a chi non è connesso viene promessa per l'intanto solo mezz'ora di navigazione. Curioso limite orario. Soprattutto, però, Di Maio ha aperto lodevolmente una doverosa lotta politica contro la proposta europea sul copyright, un testo contro la modernità. Che non rimanga una grida.

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