Brevi & Recensioni
UNO SGUARDO DAL PONTE
di Alberto Calzolaio
Una giornata in giallo, AAVV (Camilleri, Costa, Alicia Giménez-Bartlett, Malvaldi, Dominique Manotti, Piazzese, Recami, Savatteri), (Due racconti tradotti da Maria Nicola e Francesco Bruno), Sellerio, 2018
Tempi e luoghi differenti ma consueti. Salvo Montalbano, agli esordi, festeggia il primo mese trascorso nella casa di Marinella a Vigàta, acquistando per 50 mila lire una bottiglia di sciampagni e deve gestire il pizzino mafioso dove qualcuno minaccia di dare fuoco all'enoteca (con ventiquattr'ore di ritardo). Un sabato del maggio scorso Saverio Lamanna visita Gibellina, città perfetta (50 anni dopo il terremoto del Belice), con la morosa Suleima e l'amico Peppe, ma dal museo scompare l'arazzo di Boetti, prisenti o drappo professionale, dieci metri per due, cuciti con devozione, valore alto, più di 500 mila euro (anche solo un metro quadrato). Loro di Pineta, compresi quelli della Loggia del Cinghiale, sono tutti in trasferta ad Amsterdam per la mitica festa arancione del 27 aprile; solo Alice Martelli è rimasta a casa a lavorare, vigile e agile come sempre, e risolve a distanza il caso del duplice scippo contro Tiziana e Marchino. Il 28 agosto 1973 il giovane commissario Daquin da sei mesi si trova (di mala voglia) a Marsiglia, ha già chiesto il trasferimento; lì ce l'hanno con gli immigrati, ovviamente con gli algerini in particolare, per l'odio ci scappa il morto e, pur di andarsene quanto prima possibile alla Narcotici di Parigi, lui risolve il caso. A fine luglio di uno degli anni novanta Lorenzo La Marca, appena tornato dall'aeroporto di Palermo, poco fuori l'ingresso della Stazione Notarbartolo,cammina solitario e incontra una biscia; son ricordi oltre che problemi; a lui fanno schifo ma lo scorsone nero, detto Iside e Maria Walewska, memore dell'omicidio di una lucciola, sta battendo sul vetro di una pelletteria; difficile farlo smettere. In pieno nubifragio il ladro Drago si avventura nei magazzini sotterranei (dove confluiscono pure acque nere e bianche) della casa di ringhiera di via *** 14 a Milano e vi rimane chiuso dentro; quel primo giugno 2006, da tappezziere in pensione, Consonni vorrebbe studiare meglio l'omicidio di viale Bligny, epperò la figlia Caterina gli lascia il piccolo Enrico, termometro e lavandino funzionano così e così, l'idraulico non arriva, che pene! Angela Mazzola ha la giornata libera, è un assolato aprile palermitano e resterebbe volentieri a crogiolarsi in terrazza, senonché la chiamano i suoi capi dell'Antirapina, vi è stato lì vicino lo strano furto di un furgoncino carico di carciofi (refurtiva di circa 3 mila euro); lascia il labrador, prende il Liberty e fa un sopralluogo; c'è di mezzo una guerra di criminalità organizzata e si rivela ancora una volta molto brava. Petra Delicado ha appena risolto un caso difficile e sguazza fra le scartoffie, a tarda sera esce dal commissariato di Barcellona e viene sequestrata da una pericolosa manesca ragazza, finendo così per trascorrere il giorno più insolito dell'intera sua vita lavorativa, perlopiù in un casolare immerso nel bosco di pini.
Le novità di quest'ultima raccolta di racconti gialli inediti sono diverse e non tutte positive, pur in continuità con le accorte riuscite sperimentazioni che hanno costituito una svolta nel genere del genere. Sono meno gli autori coinvolti della scuderia Sellerio: Camilleri, Savatteri, Malvaldi, Dominique Manotti, Piazzese, Recami, Costa, Alicia Giménez-Bartlett. Il tema un po' forzato sono le 24 ore, l'ambientazione temporale (decenni fa nella metà dei casi) di un solo giorno "in giallo". La lunghezza è molto omogenea (poco più lungo Savatteri, più breve Manotti), la raccolta ribadisce una contaminazione che non inficia gli stili noti e amati di ogni autore, come d'abitudine solo alcuni in prima persona (Savatteri, Piazzese, Giménez-Bartlett). Ma questa volta è la qualità letteraria non sempre all'altezza in tutti gli autori, a tratti stanchi, almeno nella prima parte; bello e attuale Manotti; molto carino Recami. I mafiosi con la musica non ci appattano, Maremma amara sui canali, Miles Davis coi leggendari (sognati) Margarita, per la bella fulva blues e indie con la voce di Beth Hart.
L'altra città (guida sentimentale di Napoli), Davide Vargas, Pironti, 2017
Napoli e dintorni. Ai tempi nostri. Davide Vargas (Aversa, 1956) è un architetto-letterato. Si è laureato alla facoltà di Napoli con il docente, designer e scultore Riccardo Dalisi (Potenza, 1931), con il quale poi ha condiviso studi e progetti. Come professionista ha ottenuto vari riconoscimenti, ricordato soprattutto per il Municipio di San Prisco, la Casa per Studenti e la Casa a righe di Aversa, l'Azienda Vinicola Sclavia di Liberi (Caserta). Da una decina d'anni pubblica anche scritture varie, sempre accompagnate da personali grafiche; prima racconti di luoghi; poi una sorta di autobiografia su trent'anni di lavori, progetti, riflessioni; ancora poi un raffinato libro di disegni artistici; in parallelo un blog di commenti e recensioni letterarie (che hanno link per andare più indietro nel tempo); ora una "guida sentimentale di Napoli". Il suo itinerario attraverso l'area metropolitana è selezionato: l'Accademia di Belle Arti, Via Santa Maria di Costantinopoli, quartiere San Lorenzo; il Cimitero delle 366 fosse, via Fontanelle Al Trivio, ai piedi della collina di Poggioreale, ovvero l'antico cimitero di Santa Maria del Popolo oggi dismesso; la Mostra d'Oltremare in Viale John Fitzgerald Kennedy, quartiere Fuorigrotta, padiglioni arene teatri uffici fontane giardini acquario, una vasta area di 720.000 metri quadrati; il famoso rione Sanità fino alle falde della collina di Capodimonte; il Real Orto Botanico di via Foria, struttura universitaria di 12 ettari e nove mila diverse specie vegetali; e poi Pompei (e altri centri limitrofi); e poi paesaggi, murales, miti (sosta alla tomba di Leopardi), musei.
Vargas include molti spunti letterari, urbanistici e architettonici, ma non ci offre un testo di architettura, né una guida di viaggio. Non ci sono note specialistiche o manualistiche. Si tratta di una personale enfatica ricostruzione di alcuni luoghi significativi, impressi nella memoria e rivisitati, quasi sempre con poca gente intorno. Il volume non è rivolto alla prima curiosa consultazione di un nuovo turista; dovete sapervi orizzontare da soli e un poco dovete già conoscerle la città e la regione, nella consapevolezza che Napoli è anche molto altro, metropoli europea e "città sporca", fatto storico e metafora antropologica. La lettura è irta di ostacoli. L'autore sceglie una punteggiatura continua. Ogni poche parole un punto. Talora anche una o due, un avverbio e/o un sostantivo e poi la sospensione della lettura, spezzata e singhiozzata come in un romanzo sperimentale, quasi a suggerire l'uso cognitivo di sensi altri dalla pura vista (di ambienti o di parole). Però, è molto faticoso e poco fertile. Per quanto "nessun posto ti appartiene per diritto di nascita" e l'unica energia per tracciare il profilo di una città "non può che venire dal sentimento", condividere l'attraversamento di territori interiori risulta complicato. Circa a metà del testo c'è un inserto grafico con una mappa dei luoghi, disegni e schizzi dell'autore, molto belli.
Vite bruciate, Dominique Manotti, Sellerio, 2018 (orig. Lorraine connection 2006; prima ed. italiana 2009), Trad. Claudio Castellani
Lorena e Parigi. Anni novanta. Prima parte in provincia, in una piccola fabbrica della zona siderurgica del Nord-Est. È metà ottobre, c'è un cortocircuito, operaie rischiano la vita, un manager si comporta in modo arrogante, proteste e occupazione, vertenza e accordo, ma scoppia un drammatico incendio. Dalla seconda parte in avanti: nella capitale il 15 ottobre il governo deve scegliere l'acquirente della Thomson, la maggiore impresa pubblica francese di elettronica militare, da privatizzare. L'Alcatel si propone, c'è di mezzo anche la Daewoo Lorena e uno scontro senza esclusione di colpi. Crimini e morti, armi e droghe, corruzione e ricatti, vizi e guerre ammorbano gli affari politico-finanziari, ogni romanzo di Dominique Manotti (Parigi, 1942), storica ed ex sindacalista, è lì a dimostrarcelo, ancora in terza varia al presente, ben documentato sul capitalismo reale, aromatizzato anche in luoghi di caccia. Bellissimo pure "Vite bruciate", ora opportunamente riedito da Sellerio.
Il talento del crimine, Jill Dawson, Carbonio, 2018 (orig. 2016, The Crime Writer)
Trad. Matteo Curtoni e Maura Parolini
Earl Soham, Suffolk, Inghilterra. Autunno 1964. L'americana Mary Patricia Plangman (Fort Worth Texas, 19 gennaio 1921 - Aurigeno Svizzera, 4 febbraio 1995), molto ben conosciuta come Patricia Highsmith (oltre che come Claire Morgan), è stata una delle più straordinarie scrittrici del secolo scorso, in qualche modo cofondò in teoria e in pratica il genere noir e la suspense fiction. La docente di scrittura creativa Jill Dawson (Durham, 1962) è una delle più brave autrici inglesi contemporanee e, con Il talento del crimine, vincitore dell'East Anglian Book Award 2017, rende la misantropa eccentrica Highsmith protagonista di un ottimo meditato thriller, alludendo nel titolo a uno dei suoi romanzi più letti (e visti). Patricia ha 43 anni, sta terminando un romanzo e il manuale sul giallo, beve molto, scrive il diario e nei weekend attende l'amata Samantha, di cui disegna con maestria il volto. Poi arriva una giovane fastidiosa bella giornalista. Patricia sarà davvero capace di uccidere?
La misura dell'uomo, Marco Malvaldi, Giunti, 2018
Milano. Ottobre 1493. Quando ha 41 anni, Messer Leonardo di ser Piero da Vinci (Toscana 1452 - Loira 1519) si trova nella ricca popolosa città lombarda (già dal 1482), ai servigi del quasi coetaneo (pochi mesi più giovane) Ludovico Maria Sforza detto il Moro (1452-1508). Vive nei locali attigui alla bottega con la madre Caterina e il giovane Gian Giacomo Caprotti detto il Salai, garzone trattato con indulgenza nonostante sia ladro e bugiardo. Ha un volto strano, maschio più che bello, con lunghi capelli biondi e ciocche grigie, barba folta, occhi dolci; sembra distratto, studia movenze animali ed espressioni facciali; non mangia carne e pare non si accompagni (carnalmente) a donne. Vestito spesso di rosa, fa genialmente di tutto e di più alla corte del potente signore (studi, progetti, decorazioni, pitture, musiche, ingegnerie, invenzioni, armi e uniformi, giochi di luci e suoni, consulenze professionali ed emotive), da quattro anni ha soprattutto l'incarico di realizzare un colossale monumento equestre, alto più di 7 metri, possibilmente in bronzo, leggero e resistente, dedicato al padre Francesco, primo duca Sforza di Milano. Da dieci si è vantato di poterlo realizzare, finora senza successo; schizza connessi meravigliosi disegni e appunta di continuo (da destra a sinistra) sui fogli di pergamena giallastra del taccuino da cui mai si separa; sta completando il modello in creta. Ora deve risolvere un mistero, fra gli intrighi politici di palazzo e le relazioni militari coi francesi: un uomo è stato trovato cadavere in un cortile, il Piazzale delle armi interno al castello; il giorno prima aveva chiesto udienza al duca; potrebbe essere stato ucciso anche se non si capisce come e perché. Il Magistro Ambrogio è convinto di una morte naturale, Leonardo ritiene invece che sia stato assassinato facendogli mancare aria nei polmoni. Vai a dimostrarlo! E a scoprire false monete e furberie finanziarie dei banchieri!
Un noir storico su commissione per il bravo allegro chimico scrittore Marco Malvaldi (Pisa, 1974). Siamo a 500 anni dalla morte di Leonardo, era un'ottima idea farlo rivivere con garbo e ironia, mescolando ingegnosamente eventi storici e intrecci plausibili per un romanzo di ampio meritato successo, con una narrazione in terza varia al passato. L'intenzione non era rivolta a scrivere un capolavoro letterario, piuttosto un gustoso onesto parodistico divertissement, una sfida e un vincolo utili a riaccostare i lettori contemporanei al genio universale, oltre che a costumi, architetture e arti rinascimentali. Comprendiamo meglio anche le dinamiche della Francia con repubbliche e regni (e papato) italiani, poi decisive per gli Sforza; il lavoro di inventori e spie per fabbricare solidi cannoni mortiferi; il senso antico del prestare denaro per i singoli e le comunità (anche nella Firenze medicea). Leonardo mirava e tratteggiava spesso le mirabili proporzioni anatomiche umane, un punto di partenza su cui poi poteva misurarsi la vita intellettuale, anche per chi come lui non era di nobili o ricchi o esemplari natali e riusciva a essere solo anche in mezzo alle persone: "è nella crescita e nello imparare, non nella nascita, che si vede la misura dell'uomo" (da cui il titolo). "Solo con l'osservar la natura, e gli altri homini, l'homo apprende. Ma senza comparare ciò che si fa con ciò che si crede, ciò che si aspetta con ciò che succede, l'homo non può crescere sano nel suo intelletto e giudizio. E l'unico modo per haver cognizion dell'errore è misurarsi con la natura istessa, giacché, a differenza dell'homo, mai mentisce". La nota finale ci segnala, con autoironia, di aver appena gustato un libro pieno, appunto, di errori, steso da un autore che, pur essendosi molto documentato, non poteva non possedere una certa dose di faccia di bronzo nella descrizione dei pensieri del protagonista.
Storia dell'immigrazione straniera in Italia. Dal 1945 ai nostri giorni, Michele Colucci, Carocci, 2018
Italia. 1945-2017. L'immigrazione straniera in Italia ha periodi di alti e bassi, non è un fenomeno in crescita costante e di andamento unidirezionale. Arrivi di lavoratori, studenti, profughi ci sono stati in tutti i decenni, di numero maggiore negli Settanta e a partire dalla fine degli anni Ottanta per circa 25 anni. L'emigrazione verso l'estero c'è pure sempre stata, suscitando analogo intenso dibattito culturale e politico. Lo storico Michele Colucci è ricercatore presso il Cnr. Da molto tempo studia e scrive rispetto ai flussi immigratori nel nostro paese. Il volume ripercorre cronologicamente la storia italiana dal dopoguerra, fin dai movimenti di popolazione provocati dalle conseguenze del conflitto e dai nuovi confini (di pace), innanzitutto verso campi profughi, centri di smistamento, piccoli e grandi alloggiamenti collettivi, spesso in continuità con gli spazi realizzati per rinchiudere i prigionieri durante gli scontri armati. Fa un cenno al dibattito nell'Assemblea Costituente e si dedica alle prime analisi statistiche nel periodo della ricostruzione. Il secondo capitolo riguarda gli anni Sessanta e i primi Settanta, evidenziando come nel 1969 gli stranieri erano prevalentemente americani, tedeschi, svizzeri, inglesi, residenti qui perlopiù per ragioni di famiglia, lavoro, studio. Con la crisi economica (terzo) un aumento dell'immigrazione convive con altri tre differenti crescenti dinamiche: la migrazione di ritorno, le migrazioni interne, l'emigrazione all'estero. La fine della guerra fredda fa iniziare una nuova stagione, ovunque frontiere più aperte. La svolta si colloca fra il 1989 e il 1992 (quarto), con nuove leggi anche a livello europeo, svariate contingenze e i primi sbarchi dall'Albania. Negli anni Novanta l'immigrazione straniera si consolida (quinto) e comincia a cambiare l'origine (molti da Marocco e Romania) e la composizione, cresce ancora nei Duemila (sesto) fino allo scenario recente di crisi e cambiamenti (settimo).
L'illustrazione di ogni periodo preso in esame valuta il contesto economico-sociale, l'evoluzione delle normative, le indagini quantitative e sociologiche (corredate spesso di tabelle e grafici), la distribuzione nelle varie aree e regioni, le parallele polemiche e politiche (con una ricca bibliografia finale). La prima intuizione sulla centralità dell'immigrazione straniera per l'avvenire della società italiana può essere fatta risalire alla Profezia, componimento inserito nella raccolta pubblicata nel 1964 da Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa, rimasto a lungo poco conosciuto. Nelle conclusioni Colucci sottolinea proprio il ritardo, l'incomprensione, la mancanza di consapevolezza all'interno della società italiana rispetto al ruolo dell'immigrazione straniera, tradottisi sia in continue rincorse (le sanatorie) che in diffidenza xenofoba. Oggi in Italia vivono più di 5 milioni di persone che sono nate all'estero o sono nate in Italia da genitori nati all'estero. Se a questi si aggiungono coloro che hanno acquisito nel corso del tempo la cittadinanza italiana capiamo le dimensioni di una grande epocale trasformazione, strutturale e fondante la meticcia convivenza contemporanea, essenziale per la struttura economica del nostro paese. Fra i 5 milioni ci sono poi grandi differenze di generazione, reddito, integrazione, che si aggiungono a quelle di genere o di provenienza e che vanno a formare un mosaico sfaccettato e plurale. In base alla nostra Costituzione queste differenze non possono riguardare diritti e tutele e dovrebbero far riflettere anche sul futuro civile e demografico di italiani e italiane. La quasi totalità di chi è arrivato (profugo o meno) è stato all'altezza e ci ha dato una mano, a futura memoria.
Il gusto di stare bene , Antonio Moschetta e Moreno Cedroni, Newton Compton Editori, 2018
La buona alimentazione oggi. Ormai conosciamo abbastanza bene alimenti e cibi, quanti e quali nutrienti dovrebbe introdurre un eucariote animale cordato mammifero primate aplorrino ominide homo umano sapiente (quale è ciascuno dei circa sette miliardi e mezzo di noi) nel proprio apparato digerente, per garantirsi sopravvivenza e riproduzione, salute e benessere. C'è chi non li ha a disposizione e soffre fame, sete e malattie. Fra la maggioranza che può disporne, molti hanno poi anche la capacità di assimilare quei nutrienti cucinati secondo il personale gusto che ha ereditato o sperimentato, da solo o comunitariamente, con apporti e abbinamenti non solo locali. La scienza che si occupa più da vicino dello studio delle basi molecolari dell'interazione dei singoli nutrienti con il DNA e il metabolismo dell'individuo è la nutrigenomica. Può aiutare a calibrare le nostre abitudini e i nostri cibi alle esigenze individuali e all'evoluzione sanitaria, a personalizzare il nostro percorso nutrizionale lungo le stagioni e gli anni. Lo stato di salute dell'organismo (gestione delle malattie e durata di vita) è legato al Dna, tanto quanto alla mediazione di un'alimentazione corretta e di un'attività fisica costante. Gli studiosi hanno evidenziato alcune relazioni fra l'insorgenza di specifiche malattie e l'eccessiva ingestione di specifici alimenti (meglio che ognuno si documenti e valuti). Inoltre, i troppo diffusi sovrappeso e obesità si possono misurare anche con la circonferenza addominale (meglio che gli uomini non superino i 94 centimetri, gli 88 le donne). Occorre introiettare se e come contribuiscono i vari alimenti nel bene e nel male: cereali e carni, latte e olio, pesce e frutta, verdure e spezie. La strategia vincente consiste nel seguire una dieta varia ed equilibrata, diversificando le fonti e apprezzando conseguenti ricette più appetibili possibile (in termini anche di costi-benefici). Leggiamoci sopra le informazioni e i consigli giusti!
L'esperto ricercatore e medico Antonio Moschetta (Bitonto, 1973) e il creativo cuoco e ristoratore Moreno Cedroni (Ancona, 1964) hanno scritto un bel volume a quattro mani, ciascuno più per la parte di cui è competente. "Tutta la verità sul cibo che fa vivere a lungo e in salute con le ricette di un grande chef" è un testo unitario che nelle prime (quasi) cento pagine illustra le proprietà benefiche (e malefiche) di quanto e come possiamo mangiare, con glossario e bibliografia, e nelle seconde (quasi) duecento pagine dettaglia la composizione la preparazione, la realizzazione e il relativo consiglio medico per (quasi) cento elaborati culinari distinti in: centrifugati, cocktail, pane, breakfast, antipasti, fermentati, pasta, minestre, secondi di pesce, secondi di carne, legumi, hamburger, contorni, uovo, frutta, dolci, rivisitando infine anche una decina di ricette della tradizione gastronomica italiana (fra cui, non a caso, l'adriatico stoccafisso all'anconetana). Moschetta insegna all'università in Puglia e svolge studi anche per l'AIRC, in particolare sulle correlazioni fra scelte nella dieta e prevenzione dei tumori. Cedroni è partito nel 1984 dalla Madonnina del Pescatore di Senigallia, ottenendo la prima stella Michelin nel 1996 e la seconda nel 2006, gestisce vari luoghi di ristorazione con spirito innovativo e scrive libri di cucina. Le ricette sono abbastanza semplici e i consigli medici servono a creare consapevolezza su come e quando gustarsele riducendo i rischi; sono una sorta di valutazione d'impatto sanitario di quanto mangiamo bene, sulla base della divulgazione alimentare scientifica dei primi paragrafi. Se si vuole trovare una combinata pecca riguarda il poco spazio per il male e l'eventuale bene dell'alcool (fra gli alimenti) e l'assenza degli abbinamenti col vino (nelle ricette).
Repertorio dei pazzi della città di Palermo, Roberto Alajmo, Sellerio, 2018
Palermo. Negli ultimi duecento anni (circa). "Uno faceva collezione di storie eccentriche. Ne trovò una e la mise da parte. Poi ne trovò un'altra, e così via. Quando ne raccolse un certo numero, ne fece un libro..." Questo l'incipit (autobiografico) della nuova narrazione del giornalista Roberto Alajmo, "Repertorio dei pazzi della città di Palermo", una raccolta di microstorie, centinaia e centinaia di biografie minimali. Tutte iniziano con un "uno" diverso, talora con nomi cognomi soprannomi, molti anonimi; inventariate per un episodio, una mania, un'impresa, una sorte, una relazione, un dialogo; malinconiche o assurde, sempre fulminee e spesso senza tempo; raccolte via via, lasciate sedimentare, concatenate senza un filo, per descrivere uomini e donne, famiglie e parenti, professioni e attività nel cuore pulsante di Palermo. "Uno lo ammazzarono perché voleva fabbricare pigiami senza pagare il pizzo". Fino al maniaco del poker con tre morti, che infine disse "Cip", ultima parola.
Conflitti, lavoro e migrazioni. Quattro "lezioni recitate", AAVV(a cura di Marco Brunazzi e Marco Gobetti), Edizioni Seb 27, 2018
Narrazioni culturali contemporanee, ovunque si possa ascoltare (anche). Si stanno sperimentando metodiche di trasmissione orale della storia, una (a Torino) ha visto già una decina di spettacoli senza scenografia (in modo che fossero praticabili in un bar come in un circolo) con un attore che recitava testi accurati, colmi di notizie e riflessioni su un argomento ascrivibile a differenti discipline. In questo volume ritrovate la versione scritta e stampata (con relative note bibliografiche) di "Meridione, lavoro, migrazione, guerre ed esilio, Salvemini e i conflitti del Novecento" (Leonardo Casalino), "Enea profugo" (Franco Pezzini), "Conflict Archaeology: quel che resta della Grande Guerra" (Valentina Cabiale), "Armare il confine per aprirsi al conflitto: retorica e propaganda delle trincee ai tempi di Frontex" (Anna Delfina Arcostanzo). Chi si nutre di conoscenza deve porsi il problema di come il pensiero si trasforma in narrazione, azione e reazione. Ottimo risultato.
Il sapore del sangue, Gianni Biondillo, Guanda, 2018
Quarto Oggiaro, Milano. Gennaio 2018. Fa freddo, nevica. Dopo 4 anni di galera Sasà torna nel suo quartiere, ha fretta di cercare l'amico 42enne Francesco Ciccio Greco, dovrebbe recuperare un bottino nascosto, poi la moglie Anna e la figlia Chiara, infine volatilizzarsi. Salvatore Sasà Procopio aveva avuto infanzia e adolescenza complicate. Famiglia disagiata, padre alcolizzato e manesco di origini calabresi, madre incompetente e rassegnata, a casa era un po' sereno solo con la mediocre sorella Nunzia (Annunziata, maggiore) in cerca di una sistemazione. A 15 anni si era già fatto due volte la quinta elementare e due la terza media, di studiare non gli importava, dormiva in classe e tirava su qualche soldo vendendo tocchi di pakistano nero a chiunque chiedesse, per clienti alcuni studenti e bidelli, un professore. La roba gliela procurava il grasso casertano Tonino che poi iniziò a usarlo anche come corriere per l'eroina; a Napoli conobbe un capo, Gaetano, divenendone il referente principale (in aggiunta verso la Germania) quando Tonino fu arrestato. Nel mondo della droga era cresciuto e pasciuto, disponibile pure a omicidi e ricatti per conto della 'ndrangheta, con vari vantaggi e qualche inconveniente, fra l'altro i capelli presto in caduta libera e ingrigiti. Ormai ha 46 anni, il volto non è più bello e rassicurante, si presenta con un florilegio di rughe e macchie, l'orecchio sinistro mozzato, le gambe molli, la pancia sgraziata. Sull'autobus incontra una banda di cinque minorenni scalmanati, che bullizzano, terrorizzano e malmenano stranieri e donne. Lui non fa niente per bloccarli, provano lo stesso a provocarlo, cascano male, rimedia una pistola e una vaga segnalazione alla polizia. Il sarcastico disincantato incazzoso ispettore Michele Ferraro, suo malgrado, viene chiamato in causa. Vorrebbe ormai stare alla larga da tutti i guai, ha chiuso ogni account in rete, conta minuti ore giorni prima della pensione, alloggia solitario in un loft di NoLo, frequenta ancora un poco l'ex moglie Francesca e la figlia Giulietta. Continua a risolvere i casi, ora quello della gang di bulli, del criminale uscito e di un grosso colpo in preparazione.
L'architetto scrittore Gianni Biondillo (Milano, 1966) è felicemente giunto all'ottavo romanzo della serie Ferraro (tralasciamo il giro per l'Italia di Francesca con le amiche negli Ottanta, per sempre giovani), iniziata 15 anni fa con un pubblico sempre ampio di affezionati lettori (e il Premio Scerbanenco 2011 assegnato al quarto), in mezzo a tante altre versatili scritture e narrazioni, anche no fiction e per cinema, televisione o teatro. Il testo è in terza varia al passato, soprattutto sui due ambienti, il ricercato più o meno accanto agli affetti e il ricercatore nel contesto dei pubblici ufficiali. Come mai un pluripregiudicato è tornato in libertà? Perigliose avventure sanguinarie e amari sbalzi di scena riguardano soprattutto gli episodi del passato, con frequenti significativi flashback di biografia criminale. Il presente è più misterioso e incerto. In questo modo l'autore riesce ad aggiornarci ancora una volta sull'evoluzione urbana, architettonica e sociale, della familiare Quarto Oggiaro, un mondo di sensi antichi di desolazione e prove recenti di riscatto con invisibili confini, alla periferia nord-ovest della metropoli italiana più europea, fra continui cantieri che scavano e nuovi grattacieli che svettano, con acute riflessioni e amorosa ironia. L'ispettore comincia la sua ricerca da una palestra di boxe di via Padova dove il giovane laureato pugile gli confessa di sentire in bocca il sapore del sangue (citando per la prima volta la costante che dà il titolo al volume) ogni volta che ricorda di essere stato campione nazionale dei superleggeri, per interrompere subito la conversazione e urlare consigli alla talentuosa 13enne bionda Chiara, un pulcino con la coda di cavallo pronto sul ring a pestarsi con chiunque per preparare il primo combattimento ufficiale. Ferraro prosegue misurando i passi. Ecco la cifra del bel solido romanzo è la misura dell'indagine e della narrazione, anche quando ci si deve confrontare con la tristezza e la ferocia dell'umana convivenza.
Quelli che se ne vanno. La nuova emigrazione italiana, Enrico Pugliese, Il Mulino, 2018
Italia. Ultimi decenni. Stanno cambiando profondamente i protagonisti anche dell'emigrazione, le loro condizioni di partenza e gli stessi fattori che li hanno spinti ad andarsene. Il sociologo Enrico Pugliese (Castrovillari, 1942) studia da tempo immemorabile, con acume e competenza, i flussi migratori. Qui dedica particolare attenzione verso gli italiani che sono partiti, stanno partendo, potrebbero partire. Nel trentennio dopoguerra vi furono grandi migrazioni intraeuropee, l'emigrazione italiana era soprattutto proletaria e contadina. Poi negli anni Novanta hanno iniziato a partire molte persone con elevato livello di scolarizzazione. Ora, negli ultimissimi anni assistiamo a un picco quantitativo, nel 2016 il dato ufficiale (sempre sottostimato) è stato di 114 mila unità, il più alto dal 1970, un quadro appena inferiore riguarda il 2017, a un'età media aumentata e a maggiore ricerca di minore costo della vita e migliori condizioni climatiche. Nell'introduzione il cenno è al probabile avvio di un nuovo ciclo, si sta emigrando nelle grandi aree metropolitane accettando anche lavori precari, con catene migratorie più digitali solitarie che familiari amicali. Il primo capitolo è dedicato a "quanti sono, dove vanno, da dove vengono", valutando la parzialità e l'incompletezza delle statistiche, la fragilità dei nuovi inserimenti (tentati soprattutto in Germania, Svizzera, Francia, Regno Unito), la provenienza maggiore dalle regioni ricche (Lombardia e Veneto); il secondo "chi sono quelli che se ne vanno: cause, aspirazioni, figure prevalenti", sulla base di indagini pure qualitative. Il terzo capitolo, dedicato a mercato del lavoro e occupazione, ruota intorno alla domanda: siamo di fronte a "una nuova classe di precari?" Il quarto approfondisce l'individualità della scelta e del comportamento: "da soli o associati?"; il quinto gli emigranti meridionali; il sesto i nessi con l'immigrazione degli stranieri.
L'Italia ha sempre rappresentato un crocevia migratorio. Ora gli stranieri in Italia sono poco più di 5 milioni, gli italiani all'estero poco meno di 5 milioni. Pur attraverso fattori e fenomeni non sincronici, i due ordini di grandezza sono (da diversi anni) praticamente identici. E l'entità dei flussi in ingresso e in uscita tendono ad avvicinarsi. Immigrazione ed emigrazione non sono fenomeni del tutto indipendenti fra di loro, in vario modo riflettono il contemporaneo processo di internazionalizzazione e segmentazione del mercato del lavoro. Inoltre vi sono ritorni, trampolini e ribalzi, sia fra gli immigrati che fra gli emigrati, in una direzionalità che in parte dipende anche da norme e conflitti interni all'Unione Europea (Dublino o non Dublino, Brexit o non Brexit). Proprio a questo riguardo i numeri e le emozioni reali sono spesso diversi dai conteggi ufficiali e dagli studi teorici: in occasione delle trattative per l'uscita della Gran Bretagna dall'Europa risultavano in quel paese 260 mila italiani secondo noi, l'Aire (Anagrafe degli italiani residenti all'estero), e 600 mila secondo loro (statistiche altrettanto "ufficiali"), cifre enormemente diverse. Il fatto è che non tutti i nostri ragazzi si iscrivono all'Aire, per svariate ragioni, pur risiedendo all'estero da più di un anno. E che l'ultimo Rapporto sulle migrazioni internazionali (Oecd, 2017) indica l'Italia all'ottavo posto nella graduatoria mondiale dei paesi d'emigrazione (dieci anni fa eravamo tredicesimi). Eppure, i nostri governi si occupano solo di immigrazione e sicurezza, dimenticano esigenze di reciprocità per diritti e tutele dei nostri compatrioti stranieri in altre patrie, bistrattano i nostri giovani come cervelli in fuga invece che come liberi emigranti (non necessariamente per sempre). In entrata e in uscita, un flusso sano, informato, ordinato, regolaree sicuro, come previsto dal Global Compact dell'Onu, fa solo del bene alla specie umana (già meticcia) e ai singoli Stati.
Festa al trullo, Chicca Maralfa, Les Flâneurs, 2018
Puglia, alto Salento, valle d'Itria, Ostuni, contrada Pascarosa. D'estate, forse proprio venerdì 12 agosto 2016. C'è una gran bella festa al C-Trullo: trenta ettari di terra, cancellata antica sul viale di pini verso l'edificio padronale (ancora non ben ristrutturato) con balconcino, a cento metri ampia piscina non senza idromassaggio, dietro la casa dei custodi contadini (ora anche per ospiti) con corte, poi soprattutto la trulleria (a sei coni) con una nuova magnifica area residenziale e quattro altri coni diroccati più distanti, l'agrumeto con venti piante di aranci, dieci di limoni, tre di mandarini, un cedro, e ancora la vite, gli ulivi, i grilli. Tutto stasera è un set cinematografico: la proprietaria è originaria dei luoghi, 45enne di Cisternino, famosissima influencer, mammasantissima della moda internazionale, Chiara Laera, in gioventù modella di successo, ora fashion blogger e stylist editor, sorridenti occhi azzurri e lunghi capelli biondi, volto lentigginoso ed esile, non classica bellezza ma fascinosa e magrissima; la festa serve a lanciare l'emergente 27enne fasanese (Pezze di Greco) Vanni Loperfido; per la sua nuova collezione hanno scelto il nome ciceri&tria, il piatto tipico a km0 (base di ceci e pasta fritta), squisito (se ben preparato, come ora). Piccole casse ben nascoste trasmettono musica a volume altissimo per tutti i gusti, i circa trecento agghindati ospiti passano da un artigiano figurante all'altro (mozzarelliere, cartomante, cestaio), ballando e mangiando prodotti biologici (qualcuno molto bevendo, facendo sesso o altro), mentre un drone e vari addetti riprendono e fotografano il lecito in diretta su ogni social possibile, in vista pure di un film. Fra palme, ombrelloni e fuochi d'artificio l'architetto del restauro sembra proprio rilassato nella poltrona gonfiabile in acqua.
La giornalista pugliese (girovaga) Chicca Maralfa (Bari, 1965) esordisce nella fiction con un testo di scoppiettante prorompente modernità, letto socialmente prima dell'edizione (campagna di comunicazione teaser). Non finisce qui, sono già pronti altri due romanzi. La narrazione è in terza varia al passato, l'incedere originale ed elegante, un poco ripetitivo verso la fine, con una chiusura peraltro ben congegnata. Opportuni divertenti e certificati gli innumerevoli brevi detti e proverbi fasanesi (tradotti in nota). Pur debordando inevitabili anglismi, è un testo consigliabile pure a colleghi lettori antiquati, sconcertati da parlamentari che fanno spettacoli più che norme, da ministri che con tweet e post si sentono più influencer che servitori pubblici. Tutto avviene in una notte, anche se a ogni personaggio significativo e a ogni relazione vitale sono poi dedicati spunti e narrazioni di flashback o backstage. Sullo sfondo uno scontro di civiltà, il conflitto tra vecchio e nuovo, culturale e generazionale (ai tempi della terribile Xylella, questione fitosanitaria e maledizione biblica, tornata purtroppo oggi attuale): i nativi contro gli invasori del Nord e gli stranieri, chi resta ancorato ai vecchi contenuti dell'esistere e chi asseconda ormai solo una modellistica dell'apparire e dell'avere. Il nuovo è la corte di Chiara, succubi e professionisti che le ruotano intorno e dipendono dal suo stile; il vecchio è rappresentato dal custode contadino residente nel podere (e geloso della memoria) Mimmo Montanaro, 65enne figlio del colono della vecchia proprietà, sposato con Memena (titolare della ricetta riportata in fondo come brand), padre di due ragazze, per vent'anni operaio specializzato licenziato quando la fabbrica aveva chiuso. Durante i due tre anni della ristrutturazione era entrato in aperto aspro continuo screzio con l'architetto Sante D'Elia, omosessuale milanese grande amico di Chiara, la quale (presunta colta indigena) cerca comunque sempre di far conciliare gli opposti. Mimmo si sente minacciato dallo sbarco invadente di presenze aliene (manageriali e turistiche) dentro spazi, valori e tradizioni che considera sacri; e medita una qualche rivalsa per salvare il proprio ecosistema, naturale ed esistenziale. Rosé di primitivo e negramaro rosso. Colonna sonora variegata e spumeggiante (la compilation è sul sito dell'esperta autrice).
Dry sound , Alberto Lavoradori, Edizioni Di, 2018
Confine Usa-Messico. Poco tempo fa. La stanca ragazza veste come un militare, testa rasata e labbro spaccato, si chiama Anderson, arriva in corriera nel piccolo paese disperso in mezzo al deserto dell'Arizona, vede annunciato che al pub Rumors cercano una cameriera e corista, lei canta bene e si fa accompagnare dal vecchio Mr X, anche lui suonava blues un tempo (e magari continua). Comincia a servire ai tavoli, il locale si riempie, le canzoni (proprio il duo di Mr X) piacciono. Qui comincia l'avventura, i personaggi di un luogo sperduto ma affollato, capitati per caso o lì da sempre, con mille storie passate e continui intrecci presenti, ricordi e speranze. Garbata tenebrosa musicale narrazione in terza varia e seconda riuscita prova narrativa per lo sceneggiatore e disegnatore Alberto Lavoradori (Mestre, 1965), "Dry sound", alla frontiera fra country e noir. Bella copertina di Mauro Cicarè.
Breve storia della letteratura gialla, Eleonora Carta, Graphe, 2019
Da un paio di secoli. Dentro i confini degli Stati moderni. Il "giallo" è un genere di narrativa nato verso la metà dell'Ottocento, divenuto ormai popolare in tutto il mondo, e ha contaminato lungo il cammino molti altri mezzi espressivi. La scrittrice Eleonora Carta (Iglesias, 1974) enuncia subito i problemi che nascono da questa definizione (non è universale visto che si chiama così solo in Italia e non fa capire bene cosa sia un genere letterario). Prova allora a scrivere una "Breve storia della letteratura gialla", consentendo ai lettori neofiti di orizzontarsi meglio. Il padre fondatore fu Poe (1809-1849), c'erano stati precursori (talora inconsapevoli) e ci furono subito epigoni, poi una svolta nell'America hard-boiled di quasi un secolo fa, fino all'attuale successo senza fine (poco trattati il noir e McBain). Tre le brevi appendici: un piccolo dizionario, l'elenco parziale di alcuni festival, dodici testi fondamentali con la ricca bibliografia delle opere citate.
Tempesta, Davide Camarrone, Corrimano, 2018
Mediterraneo. Ieri e oggi. La nuova bella prova narrativa del giornalista siciliano Davide Camarrone (Palermo, 1966) racconta l'attualità prendendo spunto dall'addio alle scene di Shakespeare (1611) e ha l'obbligato titolo di"Tempesta". L'originale è ambientato in un'imprecisata isola dell'Adriatico o dell'Egeo che, tuttavia, potrebbe anche essere Bintarriah, l'isola dei venti, Pantelleria. La drammaturgia del romanzo è resa da dieci capitoli introdotti da brevi poetici riassunti in corsivo e narrati in prima persona da quattro (due inventati, Timoniere e Ferdi, due no Prospero e Caliban) di dieci personaggi, gli altri identici o adattati rispetto all'opera teatrale inglese: Miranda, Ariele, Güner, Agha Bey, Liker, Soner. Narra di tante drammatiche navigazioni e di una in particolare, tragica; popoli diversi che migrano da una costa all'altra; alcuni umani che muoiono, altri che s'incontrano bene o male, nel bene e nel male, scambiando luoghi, forme e culture.
I bambini ci guardano. Una esperienza educativa controvento, Franco Lorenzoni, Sellerio, 2019
Elementari. Missioni storiche. Franco Lorenzoni (Roma, 1953) da quarant'anni è un magnifico maestro elementare. Per promuovere campi scuola rivolti ad allievi di ogni età e laboratori di formazione su temi ecologici, scientifici, interculturali e di inclusione nel 1980 fondò la casa-laboratorio di Cenci, un centro di ricerca e sperimentazione nella campagna di Amelia, in Umbria. Fin dall'inizio, ringraziando sempre bambine e bambini veri protagonisti, sulle sue esperienze pubblica cronache, saggi, articoli e libri: "I bambini ci guardano"
è l'ultimo. Dal 2013 al 2018 ha insegnato matematica, storia, arte, scienze e movimento nella piccolissima Giove, in provincia di Terni, sulla valle del Tevere, e ha raccolto dinamiche didattiche, pensieri e dialoghi sulle migrazioni ("Il Mediterraneo è la spaccatura di Giotto") e su altri grandi temi, come guerra-pace, violenza-non violenza, maschile-femminile, valorizzando intuizioni, connessioni e ragionamenti dei piccoli, indispensabili a tutti.
L'ospite e il nemico. La Grande Migrazione e l'Europa. Raffaele Simone, Garzanti, 2018
Europa. Negli ultimi anni. Raffaele Simone osserva che a partire dal 2015 si è rovesciata sull'Europa una sottovalutata Grande Migrazione di massa, menziona alcuni episodi, dati e fatti del fenomeno, valuta sbagliato il modo in cui istituzioni pubbliche ed élites dirigenti l'hanno ricevuta, riflette sui possibili effetti sociali, culturali e politici che derivano dall'impatto. Non ha senso essere "pro o contro", è gigantesca e crescente. Ed è altrettanto sbagliato negare che sempre più sarà un'inondazione tempestosa. Cerchiamo di capirla e di organizzare risposte adeguate, fin qui tutto giusto e scontato. L'autore è convinto che il processo abbia avuto inizio nel 2015 (l'anno in cui s'impennerebbe il flusso precedente di ondate intermittenti non particolarmente numerose), reso inquietante dal terribile intreccio di altri fattori globali estremi (soprattutto la crisi economica e l'attività terroristica). Secondo lui, non è proibito il confronto con le Invasioni Barbariche, diversi i mezzi ma non i moventi e i rischi di dissoluzione (dell'Impero o dell'Europa). La Grande Migrazione supera per imponenza e drammaticità le due più recenti ondate verso l'Europa, avvenute nel secondo Dopoguerra (dal Sud al Nord dell'Europa) e alla fine degli anni Ottanta (dall'Europa balcanica e slava verso Ovest) e sarebbe diversa da quelle preistoriche perché proveniente soprattutto da zone (Africa sub-sahariana e Asia centrale) che non avrebbero acquisito la moderna mentalità stanziale occidentale. L'autore rileva opportunamente che il diritto relativo al migrare ha due facce ben distinte: andarsene dal proprio paese, entrare in un paese "altrui". Suggerisce preliminarmente di riflettere su due opzioni (frequenti): chi insiste sulla Colpevolezza per il passato cattivo e sostiene che l'Europa se lo merita; chi enfatizza un progetto di Grande Sostituzione degli europei da parte dei nuovi arrivati. Entrambe parziali.
L'autorevole linguista Raffaele Simone (Lecce, 1944) si è già spesso scagliato contro le mine ideologiche del Politicamente Corretto e lo fa anche qui, con consueta ripetitiva verve polemica. Ce l'ha con l'incoscienza e l'impreparazione mostrate dalle istituzioni europee e perlopiù con chi ancora amministra mite accoglienza sulla base del presunto principio costituzionale dell'"inclusione illimitata" (considerato molto sbagliato), proprio dell'Ideologia Europea. La prima parte ("Il presente e l'ombra del passato") è colma di affermazioni apocalittiche, niente affatto scientifiche sul piano evoluzionistico, ecologico, antropologico e statistico, spesso superficiali e categoriche, con la scusa banalizzata di contrastare le (altre) ideologie. Manca l'analisi approfondita e comparata del fenomeno migratorio nella storia e nella geografia dei continenti (e del nostro). Trasuda astiosa contrapposizione verso alcuni noti intellettuali francesi del Club Radicale (fra gli altri Balibar e Withol de Wenden), confondendo il politicamente scorretto con lo scientificamente inesatto, come se, quando non si è d'accordo, sia poi conseguenza indispensabile usare linguaggi offensivi e assolutistici. La seconda parte ("Figure di un evento fatale") riveste un indubbio interesse culturale. Pur non mancando ulteriori sfoghi retorici, l'autore riflette sul comportamento dei popoli antichi, greci e romani (da cui il titolo) verso nemici, ospiti e stranieri. Pur mantenendo arbitrarie comparazioni all'attualità, con acume e dotte citazioni individua quattro angolazioni d'analisi e dedica a ciascuna un godibile capitolo: chi può cercare accoglienza (da vicino o lontano, invitato o inatteso, pellegrino forestiero fuggiasco, sconvolgente o meno); come l'accoglienza può manifestarsi (figure, schemi e rischi del multiculturalismo); cosa possono diventare l'accolto dopo l'insediamento e il paese accogliente dopo gli arrivi. La terza parte ("Il segno del futuro") prende in esame le prospettive e, con qualche realismo, il breve, medio e lungo periodo. L'autore opportunamente distingue paura e odio, xenofobia e razzismo e suggerisce di prestare più attenzione alla complessità e alle emozioni collettive. E di studiare meglio.
Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine, Déborah Danowski e Eduardo Viveiros de Casteo, Trad. Alessandro Lucera e Alessandro Palmieri, Nottetempo Milano, 2017 (orig. 2014).
Pianeta Terra. Antropocene. La fine del mondo è un tema apparentemente sconfinato (almeno finché non accadrà). Il registro etnografico restituisce una varietà di modi in cui le culture umane hanno immaginato la disarticolazione dei cardini spazio-temporali della storia. Oggi stiamo davvero rischiando, non sono solo le scienze naturali e la cultura di massa che se ne alimenta a registrare la deriva del mondo: religioni, metafisica, cinematografia, letteratura, immaginario e paure collettive riverberano questa diffusa inquietudine e le distopie proliferano. Antropocene è la denominazione proposta per designare la nuova epoca geologica che segue l'Olocene e che sarebbe iniziata con la Rivoluzione Industriale, per poi intensificarsi dopo la Seconda Guerra Mondiale. Una filosofa ecologista e un antropologo sociale, entrambi brasiliani, presentarono oralmente questo testo a Tolosa il 21 dicembre 2012 (giorno della Fine secondo un presunto "calendario maya"), poi divenuto anche saggio di una raccolta di scritti. L'edizione portoghese risale al 2014, la traduzione italiana al 2017 (la breve specifica prefazione segnala solo poche correzioni e aggiornamenti). Il primo capitolo illustra i termini oggettivi del problema: i confini planetari di nove processi biofisici in via di raggiungimento, l'accelerazione delle alterazioni ambientali con un tasso percepibile nell'arco di una o due generazioni, la prospettiva scientifica di una qualche estinzione di massa. E, sembra, come specie non abbiamo la minima idea di cosa dobbiamo fare per garantire a tutti sopravvivenza e riproduzione. Il tempo dell'Apocalisse è interessante, in effetti.
La migrazione dal mondo (l'attuale pianeta Terra) non è la principale delle alternative prese in considerazione negli ultimi decenni da ecologi, antropologi, filosofi per far fronte alla "fine del mondo". Sono emersi ragionamenti, oltre che annunci, su: un mondo ancora (finalmente per qualche specie!) senza umani (come accadde oltre sei milioni di anni fa); un mondo senza più fattori biotici (come accadde oltre quattro miliardi di anni fa), tutti estinti dagli umani (senza che qualcuno di noi riesca a migrare e, nemmeno, a raccontarlo); un altro mondo ricreato popolato da un altro popolo o da altri popoli umani; un mondo diversamente resiliente. Vedremo (forse). Per elaborare una griglia critica di ipotesi e letture, i restanti sette capitoli del bel libro prendono in esame la letteratura no fiction (scientifica) e fiction sulla materia. Con notevole capacità di introspezione, di comparazione, di approfondimento. Sono molto attenti a termini e definizioni, evitano enfasi catastrofistiche e destinano saggiamente alle altre specie reti, luoghi, scale e dimensioni molto lontane dalla nostra giurisdizione epistemologica e immaginazione tecnologica. Peccato non citino né Margaret Atwood, la straordinaria competente scrittrice canadese che molto ha fatto riflettere sulle distopie e ha coniato il termine cli-fi, né il grande biologo Edward O. Wilson che un paio d'anni fa ha lanciato il progetto almeno "mezzo mondo", Half Earth, lasciare i fattori biotici non umani "liberi" di evolvere come "credono" nel 50 per cento degli habitat. E nemmeno Leopardi. In fondo, prima di una ricchissima bibliografia interdisciplinare, si rivolgono alla sinistra, alla frattura fra chi punta un poco sull'intransigenza locale e chi fa troppo i conti con la complessità globale. Insistono, però, sulle innumerevoli entità, lignaggi e società non umane che costituiscono il pianeta, sui numerosi mondi nel Mondo, sulla possibilità di credere nel mondo attraverso un necessario "incessante ridivenire-indio" (soprattutto in Brasile).
La transazione, Riccardo La Cognata, Ventura, 2018
Roma. Tra maggio e novembre 2015. Il 20 giugno il tranquillo giudice Vito Pennisi compie 40 anni e decide di radersi a zero mento e cranio. I genitori sono morti, vive in una gran bella casa con terrazza, si accompagna volentieri a donne. Da due mesi lavora con lui la 28enne Luisa Altieri di Roccabruna, splendida uditore (uditrice) assegnatagli dal procuratore, con la quale c'è stata una prima volta, anche ultima secondo lui. Sta conducendo un'indagine su un presunto falso in bilancio che si rivela un intreccio di crimini finanziari, tra faccendieri e corrotti di ogni istituzione e religione, prelati e killer. Qualcuno cerca subito di ammazzarlo e la vicenda diventa internazionale. L'avvocato sportivo (dalla capitale per il mondo, in ogni modo) Riccardo La Cognata (Ragusa, 1969) con "La transazione" è all'esordio letterario: la trama interessante ruota tra il mondo della giustizia e loschi riciclaggi, fra personaggi stimolanti spicca a Nassau la creola Maya Navarro.
Rien ne va plus,Antonio Manzini, Sellerio, 2019
Aosta e Roma. Da martedì 10 a mercoledì 18 dicembre 2013. Non poteva finire lì. Rocco non era convinto del movente omicida e intendeva continuare a indagare. Era riuscito a far arrestare il croupier che aveva accoltellato il vedovo ragioniere in pensione Romano Favre, ex ispettore presso lo stesso casinò de la Vallée (Saint Vincent), ma non è certo di mandanti e intrecci. Ora poi si aggiunge, lungo la statale 26 prima di Châtillon, la sparizione del portavalori blindato che avrebbe dovuto portare i proventi del gioco ad Aosta, duemilioniottocentoventinovemilasettecento euro in tre cassette d'alluminio, evidentemente una sofisticata rapina, il furgone fatto salire su un camion giallo, persi tutti i contatti, l'allarme satellitare e i gps. Il vicequestore Rocco Schiavone ha la fondata personale opinione che vi sia un legame con l'omicidio, anche se è molto distratto dalle notizie raccolte sul pentito che lo bracca e deve continuamente andare nella capitale. Pare che Enzo Baiocchi abbia precisamente indicato alla polizia dove si trova il cadavere del fratello Luigi, colpito e sepolto a Roma da Rocco e dai suoi amici, dopo che aveva sparato all'amata moglie del vicequestore. Il magistrato ha deciso di credergli e sta disponendo lo scavo nel luogo segnalato, Sebastiano continua a rendersi irreperibile, Brizio e Furio sono preoccupati e si danno da fare, Rocco prende in considerazione di fuggire all'estero prima di essere arrestato come responsabile del delitto. Intanto, mentre la Guardia di Finanza sta cercando le prove della truffa ai danni della Regione e dello Stato intorno alla gestione del casinò, reincontra in vario modo i protagonisti della vicenda e guida i suoi sulla pista giusta per risolvere i vari casi. Fanno tutti squadra in questura, non solo i diversi fidati (ormai amici) Italo e Antonio: sia uomini che donne, intelligenti più o meno, molto o poco difettosi, trovano l'occasione per farsi valere.
Ottavo romanzo dell'eccelsa sospesa serie Schiavone per l'attore e regista Antonio Manzini (Roma, 1964), originale anche perché concepita come opera unica "alla ricerca del tempo perduto". Dal 2013 finora ha narrato quindici mesi valdostani del suo personaggio (comunque frequenti le incursioni sugli antefatti romani, non solo nei racconti), sempre con uno straordinario meritato successo (anche in tv, seconda serie terminata nell'autunno 2018). Tutto avviene in terza persona, quasi fissa, al passato. Quel che Rocco definisce come il proprio "metodo" sono perlopiù perquisizioni non autorizzate, indispensabili, riesce a entrare ovunque anche in questo caso. I malati di ludopatia del precedente romanzo ci ricascano tutti, anche se forse non in modo stabile. La razza di Lupa trova finalmente esteriore esplicita certificazione (a pag. 292), è proprio una Saint-Rhémy-en-Ardennes! E nascono forse nuovi amori: la sospettosa palermitana commissario della Scientifica Michela Gambino con il medico legale squartatore di cadaveri Alberto Fumagalli, due scienziati che si intendono in laboratorio?, l'imbranato metodico agente (prossimo alla pensione) di origini pugliesi Ugo Casella con la graziosa curata vicina di casa divorziata Eugenia Artaz, due sperduti che si trovano?, l'altro lento agente 37enne Domenico D'Intino con il breve amore di gioventù (abruzzese) rimasta presto vedova, Pupa Iezzi, due ricordi che non si dimenticano? E Rocco non riesce a lasciare alle spalle il passato remoto e recente: continua a dialogare con Marina, ma resta ferito da Caterina, attratto da Lada (come non potrebbe?), incuriosito da Sandra, sorpreso da Cecilia e le pensa spesso, pur mantenendo insospettabile atteggiamento paterno per Gabriele. Le mani e i fiori parlano più delle parole, ad Antonio manca il mare di Senigallia, circa il prezzo dei bei ristoranti (non solo) di Aosta bisogna soprattutto fare attenzione al vino. Mozart e Waldteufel sono le migliori musiche da abbinare a quei meravigliosi paesaggi alpini.
Camila Giorgi, il Tennis e la Metafora della Vita. Da t.o. a DFW passando per la Teoria del Caos, t.o. & Tommaso Onofri, ElleÒ edizioni, 2018
Campi da tennis. Da un po'. Il tennis è gioco e spettacolo, resta sport solo nelle fasi giovanile e post-agonistica. Nel periodo professionale dei tornei, lungo 11 mesi l'anno su tre diverse superfici, è solo spettacolo e business, appartiene ad associazioni private (ATP uomini, WTA donne), prima con una parziale eccezione di 4 Grandi Slam, ora nemmeno più della Coppa Davis. I migliori tre o quattro guadagnano più di altri sportivi di pari livello, dieci moltissimo, cento abbastanza, poi in genere meno di altri. La giovane maceratese Camila Giorgi, ora l'italiana più alta in classifica (circa 25°), è un personaggio atipico nel circuito per stile di gioco, scelte professionali, contesto familiare. Divenuto frequentatore dei tornei e amico dei Giorgi, pur non avendo mai giocato a tennis, l'umbro esperto di marketing e Start Up innovative Tommaso Onofri (con il troll t.o.) ha scritto un curioso interessante volumetto per offrire notizie e qualche spiegazione ad appassionati e profani.