PER LA CRITICA

RECENSIONE AL ROMANZO

DI MARCELLO CARLINO

“IL REGIONALE DELLE SEI E QUARANTATRÉ”,

ROBIN EDIZIONI, 2017

di Antòn Pasterius

I temi di questo notevole, ampio e primo romanzo di Marcello Carlino sono le vicissitudini di un treno, definito pendolare, che trasferisce quotidianamente una piccola folla di umani da una cittadina, che si deve supporre indovata nel Lazio, ad una possibile Roma, intesa come luogo di lavoro giornaliero.

Il titolo vuole fare del regionale delle sei e quarantatré il protagonista del romanzo. Ma in effetti le cose non stanno proprio così: il protagonista assoluto è invece il viaggiatore vecchissimo e allampa-nato moltissimi anni prima di quel treno così disfunzionante.

Mentre la vaga, e anonima, immagine di copertina, che raffigura un veliero dalle vele volanti, suggerisce il viaggio per mare.

Un mare inteso come il nobile ricettacolo di piccole e grandi fisse che si impongono alla mente del viaggiante; ciò a partire dalla prima rammemorazione di un pregresso viaggio in Turchia (Erdoan e il burqa, più tecnicamente il niqab - scusate non conosco la lingua competente -) ove convivono senza mai combattersi la coppia di due contrarii e differenti fondamentalismi: il consumismo e l'umiliazione della donna.

I colori dentro i quali si muove il piccolo convoglio sono quelli d'un'alba illuminata unicamente e soltanto dalle luci d'un successivo tramonto, mentre i ricordi vengono saturati dalle mille e una pellicola che il protagonista vede e rivede incessantemente, con uno Zampanò, sempre pervicacemente in primo piano.

Pagato nel secondo capitolo il tributo al nouveau roman, in quello successivo l'Autore lo riscrive e lo completa in termini discorsivi e appassionati, risultando semi esilarante.

Anche l'uso del dialetto, un mezzo napoletano rivisitato, aggiunge garbo, leggibilità e realismo alle fantasie mirate che l'Autore svolge in quei capitoli che ne sono stati forniti.

E poi c'è, densa e inarrestabile, tutta l'epopea - la saga - delle toilette fuori servizio, che non funzionano, lo sdegno del passeggero pendolarista e di tutti i fruitori obbligati del regionale delle sei e quarantatré, un treno assolutamente paradossale anche perché, "fa acqua da tutte le parti" (sic, pag.152).

Una agrodolce epopea del corpo, corpo ferito, taglieggiato e tagliuzzato, nella sua costante e costitutiva debolezza ontica.

Poi, l'attenzione si sposta sull'endemico Terlizzi (presente e dialogante in tanti dei ventotto capitoli che danno vita al romanzo), il funzionario ferroviario del convoglio mattutino, l'onestuomo fortemente diviso fra i propri compiti di istituto e la partecipazione responsabile ai drammi dei propri temporanei sudditi (il che fa tornare in mente a chi scrive il celebrato Un uomo a metà, di Vittorio De Seta).

Ed è il Terlizzi, il personaggio-simbolo dellagrande allegoria che viene rappresentata in questa eccezionale opera narrativa.

Nella insistita, spesso iperbolica narrazione, vi è la frequentissima presenza del cinema - non si perde neppure un Sukorov - ma anche le testimonianze di frammenti di poesie e di rimandi letterari, come di citazioni musicali d'ogni tipo e livello che compaiono accanto alla grande pittura e alle immagini sempre a portata di mano, capienti e abbienti mani, tasche, borse e sporte carrellate.

Il plagiare l'Autore, che già risulta con chiarezza da molte di queste poche righe, è stato per l'estensore di queste note (sto-nate) qualcosa di spontaneo e involontario.

La fraudolenta emulazione si è imposta a questo scrivere con la forza di un fascino assoluto che spazia tra il comune parlare, le costruzioni raffinatissime e iperboliche e l'incrocio tra i generi.

Ci sono perfino, come già annotato, dei lacerti di un vernacolo, che rimanda alla questione meridionale e che si pongono in armonico contrasto conflittuale con le parole difficili, da professionista del lemma.

Marcello Carlino è l'inventore dell'indirigibile e indigeribile diretto delle sei e quarantatré ma anche di antropici fetori assortiti che vanno fortemente a caratterizzarlo.

L'Autore mette costantemente in campo una prosa semplice, detta con parole sue, sempre creativa ai multipli e ai massimi livelli, facendo man bassa non soltanto nei ricordi letterari ma riguardante (infatti, non guarda una sola volta) anche i costituenti morfologici delle terga del femminile, l'affascinante corpo di dietro della donna.

(Che grande esperienza quella di guardare senza essere visti!)

Il ragionale delle sai e quarantatrà (così pronuncerebbe la giovane e avventurosa lettrice che si inerpicasse in siffatte letture) è, in buona sostanza un romanzo-complice poiché il suo lettore-tipo si trova in genere a conoscere e riconoscere il campo dissodato dall'Autore e probabilmente condivide quei disvelamenti che quella attività mette via via in luce.

"Ho rispetto per chi legge, se qualcuno c'è che eventualmente legge" (pag.262)

Il viaggio mattutino di colui che non è l'Autore, "ma che un po' gli assomiglia", (dichiarazione spontanea di Carlino alla prima presentazione del suo romanzo, in un recente e stimolante pomeriggio all'Aleph, Roma) possiede - come fosse un contrappasso - il carattere dei peggiori e più oscuri tramonti.

L'impellenza di dover scaricare subito le liquide scorie nelle quali si è trasmutata l'alimentazione, trasferisce questo ampio e articolato racconto-colto in un moderno trattato di filosofia da buduar dell'oggi. Qualcosa che lambisce o s'impenna ad aggredire tutti i campi dell'esistere, dalla terza alla prima pagina d'un quotidiano che non lasci da parte neppure la cronaca, ubicata nelle pagine a seguire.

Palcoscenico della varietà dell'essere, passerella dell'esibizione muscolare e mentale di che ama comandare sotto la presunta copertura di svolgere un servizio pubblico mai richiesto, si colloca in un ambito assolutamente europeista e si intuisce funzionale anche ad altrii treni, magari meno sbomballati, che percorrono in corto e in stretto l'Europa.

Enciclopedia totale, sembra proprio che il demiurgo abbia pensato a tutto. Faccio prima a dire quello che latita la speranza d'un mondo migliore e la fiducia nel futuro. L'Autore sferza il lettore sforzandolo verso una crisi definitivamente avanzante. "Tutti hanno perso la nozione di tutti in una terra di nessuno".

Responsabilmente, poi aggiunge:"Compresso in apposito compostaggio, noi conteniamo

ciò che rifiutiamo: e noi siamo, irreversibilmente, i nostri rifiuti".

Un grande originalissimo saggio pluriarticolato che tocca e sfruculia i punti nevralgici degli uomini, presentato surrettiziamente come fosse un romanzo. E scusate se è poco.

Concludo il mio discorso sulla dolce fatica del prof affermando, a titolo del tutto gratuito, che ne seguiranno altre: secondo me, l'Autore ci si è divertito un mondo a scriverlo, adottando todo corde il metodo della libertà espressiva che più ampia non si può.

E probabilmente non vorrà più rinunciare a questo intenso ed inedito piacere.

A questo punto, la mia paranoiacostruttivami suggerisce proditoriamente che l'assunto segreto del geniale ferrocarril mattutino potrebbe anche funzionare come quelle tecniche che si adoperano a favore dei bambini viziati dal vizio (tipo, sostenere la "a" affinché - nella loro oppositività - siano costretti a pensare "zeta")

Tuttavia, dato che è difficile ignorare o cambiare le cose che l'Autore ci descrive, è forse possibile convertire il nostro approccio di vedenti, in vista d'un miglioramento della nostra acuità visiva?

Il capitolo conclusivo del romanzo sembra aprire a qualche possibile apertura positiva; personalmente, ho avuto molto a cuore il narrante quando si allucina come un guerrillero che si fionda contro le mafie delle armi e della droga...

(Che ci vuoi fare caro Marcello, con la mia vecchiaia esagerata, mi ritrovo ancora oggi nei panni d'un irreparabile e mai curato ottimista.

Le cose possono di continuo trasformarsi, qualcosa potrà sempre accadere...

Pensa tu che io credo nella ventura denuclearizzazione universale e, per dirla tutta, perfino in una rinascita della Sinistra)

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