PER LA CRITICA
PLAUSI & BOTTE
di Gualberto Alvino
IL SOGNO DI UNA COSA
Primo approccio alla narrativa di Mario Quattrucci
È certo che, a prima vista, chiunque, persino il lettore di professione, sia fortemente tentato di assegnare il Quattrucci romanziere (non già alla classe dei giallisti ameni e di diporto, sarebbe avviso aberrante, ma) alla razza degli espressivisti mistilingui mossi da polemismo e acre risentimento nei confronti d'una temperie socio-culturale che ha ormai smarrito bussola e costrutto; noi stessi, auscultando le mille schegge di discorso vivo e le stratificate voci romanesche che risuonano polifonicamente nelle storie di Marè, abbiam creduto ravvisare non senza una punta di diffidenza, oltreché atletismo verbale e vieta mimesi della phoné, una troppo stretta parentela col sound del Pasticciaccio, del Pasolini borgataro e loro epigoni; ma le impressioni iniziali, si sa, sono solo impressioni, e l'arte esige ben più severe industrie.
«So che i miei romanzi (tinti di giallo) non sono libri di pura evasione - dichiara il Nostro in un testo autoesegetico diffuso in Rete - e, specialmente quest'ultimo, non sono scritti per indorar la pillola con latte e miele. [...] declinano invece impietosamente l'amarezza di chi vede naufragare nella débâcle della cultura italiana ed europea il 'sogno di una cosa'. Vogliono essere anche un discorso di estetica, di sociologia, di storia patria, di controinformazione storica e culturale... come Brecht anche io "deduco la mia estetica, e anche la mia morale, dalle necessità della lotta"».
Non si può non sottoscrivere in toto.
Ciò che forma il fascino e la singolarità del narratore romano è il suo reputare la letteratura - come dice Mengaldo di Montale - l'attività «sostitutiva di chi veramente non vive» o abita una realtà che ripudia (Weltschmerz definiscono icasticamente i tedeschi la sensazione di tristezza al pensiero dei mali del mondo) e assegna all'arte della parola una funzione mai soterica e consolatoria, sì essenzialmente conoscitiva.
Una prosa orecchiabile e fluente, sorvegliatissima ma riluttante a giocolare cogli strumenti stilistici, centrifuga (puntando meno alla struttura verbale che agli oggetti), insomma anticalligrafica e antidecorativa (specie nell'ultimo Troppo cuore),[1] insaporita di movenze affettive e colloquiali, immersa nel quotidiano, lessicalmente ridotta perché intonata alla tenerezza per un contesto storico e un'umanità odiosamati, e costellata di momenti d'acceso lirismo (Quattrucci è anche poeta di razza) in cui il fatto è trasformato in pretesto per significare «impietosamente l'amarezza di chi vede naufragare nella débâcle della cultura italiana ed europea il 'sogno di una cosa'».
Realismo, dunque? Pedinamento del reale in ogni suo minimo aspetto, esterno e interno?
Nessun dubbio che la raffigurazione (non già meccanica riproduzione come nei colleghi di genere, beninteso) del milieu capitolino, ferocemente e insieme bonariamente e malinconicamente ironica (una miscela gustosa e felicissima, che costituisce il proprium del tono Quattrucci, non ravvisabile - se non c'inganniamo - in nessun altro scrittore), sia il criterio-guida di una tal narrativa; ma non si trascuri un dato essenziale: le cose, benché inquadrate da uno sguardo in apparenza tradizionale (ergo risonanti d'infiniti echi intertestuali) rappresentano il correlato oggettivo d'un disegno più mentale che fisico, di un'introspezione d'amplissimo raggio che vira puntualmente, spesso mirabilmente, in appropriazione gnoseologica.
Ma qui si deve far alto e promettere studio.
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PER UN 'NUOVO' CONTINI
Continista tra i più "fedeli", informati e criticamente dotati (esemplare la sua curatela del carteggio Cecchi-Contini: L'onestà sperimentale, Milano, Adelphi, 2000, arricchita da una memorabile introduzione, tuttora imprescindibile tanto per l'aficionado che per lo specialista), Paolo Leoncini - docente di Letteratura italiana, Lingua italiana e Critica e Teoria della letteratura presso l'università Ca' Foscari di Venezia - si dedica ormai da decennî all'opera del grande critico-filologo principalmente sulle pagine di «Ermeneutica letteraria», la rivista da lui fondata e diretta, nell'intento di svelare le implicazioni etiche e storico-politiche del sistema ermeneutico continiano opponendosi energicamente al sempre crescente novero di quanti, con argomenti non sapremmo se più insensati o peregrini, vorrebbero negarne valore e attualità.
L'ultimo studio del critico veneziano (Per un "nuovo" Contini: contributi recenti, «Ermeneutica letteraria», xii 2016, pp. 153-166; xiii 2017, pp. 140-149) traccia un consuntivo ragionato («tutt'altro che esauriente», minimizza il competente in umiltà) dei contributi più recenti sul Domese apparsi in occasione del ventesimo anniversario della morte (2010) e del centenario della nascita (2012) in tre numeri monografici di «Ermeneutica letteraria» (vi 2010, vii 2011 e x 2014, locupletato dagli Atti del «Colloque» Gianfranco Contini entre France et Italie. Philologie et critique, tenutosi all'Université Blaise Pascal di Clermont Ferrand nel maggio-giugno 2013) e nei due volumi che raccolgono le relazioni del convegno fiorentino del dicembre 2012: Il giovane Contini, a cura di Claudio Ciociola (Pisa, Edizioni della Normale, 2014) e Attualita di un protagonista del Novecento, a cura di Lino Leonardi (Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, 2014).
Ma è il saggio di Guido Lucchini, Studi su Gianfranco Contini: «fra laboratorio e letteratura». Dalla critica stilistica alla grammatica della poesia (Pisa, ets, 2013), il punto di riferimento della ricognizione «per un nuovo Contini»: un saggio, diversamente dai su menzionati, a vocazione complessiva, che, movendo dall'àmbito idealistico-crociano (Croce/Gröber-Vossler-Spitzer) e dalla Stilkritik, si concentra sul nucleo centrale della critica delle varianti, la quale, secondo Lucchini, «si innesta nel crogiolo crociano» (parola di Leoncini) per tramutarsi in critica verbale nei monumentali saggi danteschi del 1965.
«Lucchini approda alla "grammatica della poesia" di Jakobson - nota il critico - passando attraverso i sondaggi sincronici su Gadda e sull'espressionismo: espressionismo che, peraltro, secondo le sollecitanti ipotesi di Roberto Antonelli, costituisce un "nuovo canone"; i sondaggi su Montale, recepiti in una linea Blasucci-Solmi, vengono da Lucchini commisurati al "canone" della tradizione crociana», mentre gli anni dell'immediato dopoguerra sono indagati alla luce dei carteggi Contini-Russo e Contini-Capitini.
Viene ipotizzata in sostanza - secondo la proposta di Antonelli - una linea alternativa nel lavoro filologico-critico continiano rispetto a quella canonico-crociana, «che individua un percorso evolutivo dal magistero rosminiano all'espressionismo, da un lato, e all'etica della prassi politica, dall'altro. [...] Ciò in interno dissenso con la storia emergente e con la storiografia istituzionale; e secondo un'ermeneutica del valore, inteso in senso pluridimensionale e aperto («valori in divenire»/«approssimazione al valore»/valore-limite) connesso alle dimensioni della totalità (come co-implicazione di letteratura e umanità) e di verità (come movimento della verità)».
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UNA LETTERA INEDITA DI BAZLEN
A MONTANO SU PIZZUTO
Si deve ad Agostino Contò, acuto interprete pizzutiano e responsabile della Biblioteca Civica di Verona, il rinvenimento nel Fondo Chiappelli[2] di una lettera indirizzata da Roberto Bazlen[3] a Lorenzo Montano[4] il 13 agosto 1958, avente per oggetto l'opera prima di Antonio Pizzuto Signorina Rosina.[5] Lo scrittore che non scriveva, l'eminenza grigia della letteratura italiana, lo scopritore di Svevo (fu lui a segnalare La coscienza di Zeno a Montale) esorta con mille cautele («Mettendo bene in chiaro che non sono in nulla e per nulla identico con Pizzuto; anzi che non c'entro») il fondatore della «Ronda» a leggere il romanzo del «questore in pensione», perché superiore alla media narrativa del tempo («più personale e più impegnativo di quasi tutto quello che si confezioni in Italia»), benché non ne apprezzi certe «bizzarrerie di stile, un po' passées» e le «spiritosaggini provinciali», come del resto il suo sodale Sergio Solmi, che - pur affascinato dal prosatore palermitano - lo collocava «tra i Firbank e i Limbour». Non conosciamo la risposta di Montano, ma è certo che nei quindici giorni di vita che gli restarono non accolse né il suggerimento di recensire il romanzo né tanto meno l'invito a «scrivere due righe» d'incoraggiamento all'anziano esordiente. Sappiamo soltanto che Bazlen non si diede per vinto: qualche settimana dopo portò personalmente il romanzo «stampato in casa» a Roberto Lerici, il quale aprì immediatamente e con un clamore mediatico senza precedenti il caso Pizzuto.
Lettera dattiloscritta solo recto su tre foglietti in carta filigranata «extra Fabriano» di cm 18×13,5, con interventi correttorî in penna biro blu; busta indirizzata a Monsieur / lorenzo montano / park hotel / burgenstock / (Vierwaldestattersee); timbro postale di partenza: Roma Centrale 13 viii 1958. Ho conservato tutte le peculiarità grafiche e interpuntive dell'originale, incluse le sviste, come è prassi per le scritture non letterarie, salvo l'accento grave in luogo dell'acuto.
Roma, 13 VIII 1958
7 via Margutta
Mio caro Montano,
la Ljuba,[6] raccontandomi della tua malattia, non m'ha scritto (e oggi so che non lo sapeva) del periodo molto doloroso che l'ha preceduta. So che, in questi casi, voler consolare è assurdo. Ma sai della mia solidarietà con te in tutti i casi della tua vita.
Capisco il senso di vuoto in cui ci si può trovare. Ma «tirare avanti» perché «65 anni», questo poi no! In un momento in cui le età non esistono più,a se dietro all'anarchia si intravvede una regola, si constata con molta meraviglia che i due periodi veramente vivi, creativamente vivi, sono gli anni intorno ai 20 e quelli intorno e dopo i 70 (20 - moderne Physik; 70 - moderne Seelenerfahrung).[7] Scusa questa schematizzazione un po' hoelzern;[8] ti dirò poi perché non posso scriverti a lungo. (Del resto: io ho praticamente lo stesso Lebensstil[9] di quand'ero studente; hoechstens[10] con più disinvoltura e un po' meno di paura; quando Bach, sui quarant'anni, ha voluto mettersi in viaggio, l'hanno implorato di non farlo perché data la sua età era lebensgefaehrlich.[11] E non sono passati poi mica tanti secoli).
Ti ho mandato un romanzetto un po' strano di un certo Pizzuto:[12] 65 anni;[13] siciliano; questore in pensione; simpaticcisimo;[14] molto mio amico; non ci siamo mai visti; inaccessibilmente sordo (pare);[15] ci scriviamo spesso (tanto per semplificare: sempre per interposta persona); abita a Roma in via Fregene 6; è coltissimo; sa molte lingue; non ha soldi.
A me (e anche a Sergio Solmi)[16] questo romanzetto è sembrato più anstaendig,[17] più personale e più impegnativo di quasi tutto quello che si confezioni in Italia, e malgrado molte riserveb (certe bizzarrerie di stile, un po' passées - e certe quasi spiritosaggini provinciali) meno offensivo di quasi tutta la narrativa che ha avuto il premio Viareggio (sono stato a Viareggio, sempre per necessità pratiche, tre o quattro volte quest'anno, Juni/Juli,[18] e mi puoi credere sulla parola dass man von einer solchen Stadtt bei Gott keinen Preis zu bekommen hat!).[19] Il risultato della pubblicazione (anche perché, come hai visto, il libro è stampato in casa)[20] è stato: recensioni nessuna; vendita: copie due).
Solmi m'ha dettoc (di sua iniziativa) che vorrebbe far pubblicare qualche capitolo inedito del work in progress di Pizzuto in non so quale rivista, facendoli precedere da una sua presentazione; ed ha trovato anche un ragazzo che forse ne scriverà su uno dei grandi quotidiani milanesi; ecc.
Tu, per favore, dà un'occhiata al romanzo. Se non ti va, lo butti via, e non se ne parla più. Se ti va, te la sentiresti di fare in uno dei tuoi giornali o riviste una (lunga o breve) segnalazione? Se non ne hai voglia, ma se il ti va,[21] di scrivere due righe al povero Pizzuto, was fuer ihn sehr aufregend e sehr ermutigend wäre?[22] - Comunque, vedi tu. Mettendo bene in chiaro che non sono in nulla e per nulla identico con Pizzuto; anzi che non c'entro. Nur[23] che mi è più simpatico degli altri.
Non credere che mid esageri il suo valore; dopo averlo letto, so dass man nicht "sein Leben aendert".[24] E Solmi, del resto, lo colloca irgendwohin[25] tra i Firbank e i Limbour.[26] Però il capitolo z.B.[27] del viaggio verso l'isola è, mi pare, un bel capitolo.[28]
Perché non posso scrivere a lungo: facendo tutte le corna del caso, spero di andare dalla Ljuba, in Inghilterra, la settimana prossima, comunque non prima di mercoledì; e sono alle prese con tutte le faccende che ho trascurato da mesi, e che vorrei mettere a posto prima della partenza, per poter stare a Londra con buona coscienza un mese, o un mese e mezzo. Poi hélas nuovamente ewige Stadt,[29] dove sembra mi deciderò a mettere giudizio.
Stammi bene, e se te la senti, scrivimi due parole. O nei prossimi giorni qui, o più tardi c/o Ljuba.
Un saluto affettuoso
dal tuo Bobi
a) non esistono più, e in cui, b) malgrado molte riserve] con tutte le riserve corretto nel margine sinistro c) m'ha detto che è disposto d) mi aggiunto nell'interlinea
[1] Mario Quattrucci, Troppo cuore. L'ultima inchiesta di Marè, Torino, Robin, 2018.
[2] Fredi Chiappelli (Firenze 1921-Los Angeles 1990), storico della lingua e letteratura italiana: a lui lo scrittore veronese aveva affidato le carte che ora costituiscono il fondo Montano della Civica di Verona. «Le carte del fondo [...] riguardano materiali di lavoro di Montano [...] (bozze di racconti, articoli, progetti di nuovi libri), ma anche un rilevante numero di lettere, scambiate con artisti di teatro (molte le lettere scambiate con Gordon Craig, ad esempio), pittori (Morandi, Casorati, Savinio...) e, naturalmente, con alcuni dei maggiori nomi della letteratura italiana della prima metà del secolo scorso. Tutti personaggi con i quali Montano era stato, fin dalla prima apparizione del giovanile Discordanze, in contatto non occasionale: gli amici de "La Voce", di "Lacerba" e, soprattutto, gli altri 'savi' fondatori de "La Ronda": da Cardarelli a Bacchelli e Soffici. Naturalmente nel fondo esistono (tranne pochi casi in cui è conservata la copia dell'invio) unicamente le lettere ricevute, e occorrerà poco alla volta provare a ricostruire i carteggi nella loro integrità, ove possibile; il lavoro è stato avviato» (Agostino Contò, «Siamo moderni!». 14 lettere di Giuseppe Ungaretti a Lorenzo Montano, «Comunicare letteratura», 2012, 5, pp. 9-21 [pp. 9-10]; cfr. pure Id., Montano/Montale: un'anticipazione, in Aa.Vv., Studi per Gian Paolo Marchi, a cura di Raffaella Bertazzoli et alii, Pisa, Edizioni ETS, 2011, pp. 315-22).
[3] Roberto (Bobi) Bazlen (Trieste 1902 - Milano 1965), intellettuale eccentrico e raffinatissimo, grande influenzatore della cultura italiana, non pubblicò in vita mai nulla di proprio. Consulente di case editrici come Frassinelli, Einaudi, Astrolabio, Bocca, Guanda, Boringhieri e soprattutto Adelphi, che fondò nel 1962 con Luciano Foà impostandone il catalogo, tradusse L'interpretazione dei sogni di Freud (1948) e Psicologia e alchimia di Jung (1950). «Bon vivant, amante del buon vino, curioso di tutto, capace di percorrere venti chilometri a piedi per scoprire una nuova osteria, fu soprattutto un impareggiabile suggeritore e suscitatore di sempre nuove inquietudini intellettuali e morali» (Montale).
[4] Su Danilo Lebrecht, alias Lorenzo Montano (Verona 1893 - Montreux 1958) vd. la voce del Dizionario Biografico degli Italiani (vol. 64, 2005).
[5] Roma, Macchia, 1956; ristampata, con varianti, da Lerici (Milano, 1959), dal medesimo in paperbacks nel 1967 e, postumo, da Einaudi (Torino, 1978); l'edizione più recente è quella curata da Antonio Pane (Firenze, Polistampa, 2004). Nato a Palermo il 14 maggio 1893 da famiglia di antiche tradizioni umanistiche, Antonio (anagraficamente Antonino) Pizzuto compie gli studî superiori nella città natale, dove si laurea in Giurisprudenza con una tesi di economia e statistica sulla coltivazione del caffè in Brasile, quindi in Filosofia con una dissertazione sullo scetticismo di Hume, relatore Cosmo Guastella, il cui fenomenismo radicale avrebbe esercitato un'influenza determinante sulla poetica del futuro narratore. Intrapresa per necessità economiche la carriera della Pubblica Sicurezza, fu nominato nel giro di pochi anni vicepresidente della Commissione Internazionale di Polizia Criminale e, quale rappresentante della sezione italiana, fu inviato in molti paesi europei e negli Stati Uniti dove, nel 1933, partecipò a un incontro col presidente Roosevelt. Profondo conoscitore delle lingue moderne, oltreché del greco e del latino, traduce l'intera opera di Platone e nel 1942 dà fuori una versione chiosata dei kantiani Fondamenti alla metafisica dei costumi, mentre legge nelle edizioni originali l'odiosamato Proust, Kafka, Th. Mann e soprattutto Joyce, da lui ritenuto l'autore più rappresentativo del secolo. Congedatosi dalla Pubblica Sicurezza nel 1950 col grado di questore, si dedica completamente all'attività letteraria pubblicando, nell'arco di soli tre lustri, opere tra le più ardue e sperimentali del secondo Novecento. Muore a Roma il 23 novembre 1976, dopo aver faticosamente atteso a Giunte e virgole e Spegnere le caldaie.
[6] Liuba (Valerie) Blumenthal, la compagna di Bazlen, ebrea espatriata in Inghilterra in séguito alle leggi razziali fasciste; destinataria di una breve poesia delle Occasioni di Montale, A Ljuba che parte.
[7] fisica moderna - esperienza dell'anima moderna
[8] rigida
[9] stile di vita
[10] tutt'al più
[11] correva rischio di morire
[12] Antonio Pizzuto, Signorina Rosina, Roma, Macchia, 1956.
[13] Nato nel 1893 come Montano.
[14] Sic.
[15] «È bene tu sappia fin d'ora: a) che sono sordo dell'orecchio destro, donde la necessità di darmi la destra, e semisordo nell'altra» (Da una lettera di Antonio Pizzuto a Gianfranco Contini del 10 ottobre 1963, in A. Pizzuto-G. Contini, Coup de foudre. Lettere (1963-1976), a cura di G. Alvino, Firenze, Polistampa, 2000, p. 14-16).
[16] Il poeta e saggista Sergio Solmi (Rieti 1899-Milano 1981) si sarebbe occupato di Pizzuto due anni dopo (Inchiesta sulle nuove tecniche narrative, «Il Verri», 1, febbraio 1960, p. 89).
[17] discreto
[18] giugno/luglio
[19] in una città del genere non si ricevono premi da Dio!
[20] «Allora, quando io l'ho scritto [Signorina Rosina], venne a trovarmi la signora Pieraccini [Pintacuda, nipote di Emilio Cecchi], che è amica di famiglia, e le chiesi di farmi il piacere di copiare il manoscritto [...]. Quando finalmente io fui a Roma, una volta, di passaggio, lei mi fece trovare una edizione completa di mille copie tirata in multilit (sai, quelle che ora sono le fotocopie): un'edizione completa! E, essendo andata a trovarla Bobi Bazlen, lei prese una di queste copie e gliela diede. Il Bazlen corse a Milano e andò da Lerici. Lerici stette tutta la notte a leggere questo libro. L'indomani prese un fotoreporter, un assegno da cinquantamila, un contratto, e spunta qui a Roma, da me, viene a cercarmi: facciamo il contratto. Questa è l'origine del libro» (Pizzuto parla di Pizzuto, a cura di Paola Peretti, intr. di Walter Pedullà, Cosenza, Lerici, 1978, pp. 97-98).
[21] Sic.
[22] che sarebbe per lui molto emozionante e incoraggiante
[23] Soltanto
[24] che non "cambia la vita"
[25] da qualche parte
[26] Il romanziere decadente Arthur Annesley Ronald Firbank (Londra 1886 - Roma 1926) e lo scrittore surrealista francese Georges Limbour (Courbevoie 1900 - Cadice 1970).
[27] Abbreviazione del ted. zum Beispiel 'per esempio'.
[28] Il cap. xi, nel quale Compiuta tenta invano di raggiungere l'amante, il protagonista Alberto Conte detto Bibi, su un'isola in cui lavora al restauro di un penitenziario.
[29] città eterna