
L’INSISTENZA DI ADRIANO
di Francesco Muzzioli

La poesia di Adriano Spatola, sviluppata sui plurimi fronti della "poesia totale", ha continuato ad insistere con lucida coerenza sul campo dell'avanguardia anche dopo lo scioglimento del Gruppo 63, e anche quando l'avvento del postmoderno proclamava impossibile quel tipo di scrittura. Certo, Spatola ha sempre seguito una sua linea e quindi è facile dimostrare che non è riducibile alla poetica del Gruppo, ma il fatto è che il Gruppo non mai avuto una vera poetica comune e il diritto di singolarità vale per tutti, i Sanguineti, i Pagliarani, i Balestrini e via dicendo. C'è semmai da precisare meglio quale sia stata l'avanguardia di Spatola; e questo è possibile farlo oggi grazie alla pubblicazione dell'attesa raccolta completa delle poesie, sotto il titolo Opera, da parte dell'encomiabile editore Diaforia, con cura e ampia introduzione di Giovanni Fontana.
Se lo si legge per intero, dunque, emergono delle linee che partono perfino dal pre-Spatola della raccolta Le pietre gli Dei (1961). Sebbene in questa prima fase l'autore ancora operi nell'atmosfera dell'endecasillabo, tuttavia emerge un elemento sacrale, che non equivale a un conforto mistico-religioso, piuttosto corrisponde al compito di "vedere altrimenti", apertura straordinaria che però periclita, in quanto si troverebbe inscritta nella opacità delle pietre («un rito sacro, inciso sulle pietre / di città morte, in segni indecifrabili»). È la figura del poeta come sciamano. Ed è anche l'avvicinamento alle culture altre, extra-occidentali, come via di contestazione della normalità conformista. Questa dimensione continuerà negli anni Sessanta, ricompresa nell'eredità del surrealismo, per rarefarsi man mano e riapparire nelle fasi finali.

Con L'ebreo negro, che contiene fin nel titolo lo stigma della diversità perseguitata, siamo nel 1966, quindi nel pieno dell'attività della neoavanguardia. Ormai Spatola ha scelto la strada del verso lungo, composto da quantità variabili di accenti principali (prevalentemente cinque o sei), che più che da una regola metrica dipende da una carica ritmica. Un ritmo che sembra rifuggire da qualsiasi intonazione privilegiata per prestarsi a un principio di uniformità, ossia di ripetizione monotonale, reso ancora più assoluto dall'assenza di punteggiatura. Questo assetto, che non favorisce alcuna unità semantica rispetto alle altre, è favorevole alla tecnica surrealista (o "parasurrealista" come preferivano dire all'epoca Spatola e i suoi amici, raccolti sulla rivista "Malebolge") dell'accostamento incongruo, delle associazioni spontanee, dello scarto tra le immagini, oppure della loro mescolanza. Particolarmente indicativa questa prima sezione de La fossa delle Filippine:
come gridano i cani sdraiati sulla luna
bavosa sorridente padrona delle chiavi della diga
contro cui gettano sassi a baionetta innestata
gli alberi alcoolizzati agitati dal vento
così pulsano i corpi gonfi che muovono le dita
dei feroci abitanti del cranio trafitto dagli spilli
mentre risale dal pozzo con la testa piena di succo d'arancia
verso la quale pregano con la bandiera a mezz'asta
i pesci neri supini nel sogno dell'acqua
Dove si nota, insieme alle combinazioni assurde, la presenza degli animali che accompagnano nel suo percorso la poesia spatoliana. Infatti, rispetto alla sicurezza di Breton sull'emersione salvifica dell'inconscio, in Spatola c'è piuttosto un'emersione antropologica; e con essa viene posto in pagina anche tutto il negativo dell'aggressività e della distruttività della società costituita. L'incubo della bomba atomica è in quel periodo lo spettro principale, ma la poesia si riempie anche da un lato dei panorami distopici della natura contaminata e malata, dall'altro di visioni ospedaliere chirurgiche di impassibile decervellamento. Come scrive Fontana nella sua introduzione, la fase parasurrealista «appare fortemente criptica, ma densa di indicazioni figurali che si tramutano in rivelazioni, non solo sul piano impressionistico, ma anche polemico e politico».
Già in questa fase, inoltre, Spatola utilizza tecniche di ripresa (soprattutto iniziale) e di variazione che gli saranno così proprie, tanto che Variation/variateur sarà uno dei suoi ritornelli sonori nonché visivi:

A queste caratteristiche, Majakovskiiiiiiij (1971, già al termine della attività di gruppo), aggiunge in punti nodali delle indicazioni procedurali, metapoetiche, riguardanti la composizione del testo: «guarda come il testo si serve del corpo / guarda come l'opera è cosmica e biologica e logica / (...) guarda ma guarda come la negazione modifica il testo»; oppure: «fino all'eccitazione stagnante nel rendimento del ritmo», e così via. Si fa strada, insomma, l'importanza della consapevolezza tecnica, a tenere a distanza qualsiasi equivoco di spontaneità o ingenuità lirica. Ancora per le edizioni Geiger esce Diversi accorgimenti; è la fase degli anni Settanta, caratterizzata dalla resistenza nel Mulino di Bazzano, che diventa un punto di riferimento essenziale per le nuove sperimentazioni.
Una fase ulteriore si può ravvisare con La piegatura del foglio (1983) e poi la raccolta postuma La definizione del prezzo (1992): nel nuovo clima sfavorevole del postmoderno, la poesia di Spatola sceglie una contestazione più interna, la misura del verso si fa più breve, però sempre rifiutandosi alle impennate e alle soluzioni orecchiabili. Si nota, è vero, il recupero della rima: ma anche in questo caso senza la riscrittura delle forme chiuse. La rima spatoliana, essenzialmente baciata, è a sua volta un procedimento associativo, automatico, che collabora con altre forme di legame ritmico, le riprese iniziali, l'anadiplosi tra una strofa e l'altra e quant'altro. Anche la rima è una forma di insistenza («parlo di un'altra nuca quella seducente / dove l'inferno si agita con luce indifferente / sottratta ai colori della stagione precedente»); ed è un "accorgimento" esplicitamente evidenziato («intanto qualcuno si mette a tagliare / michelangeli molti pochi cilindri / adesso la rima sarebbe in saltare»; e anche: «oppure sono rime che dovranno rimare / il mistero la chioma il fiammeggiare») Magari, in questa fase, c'è un aumento di ironia (Fontana in sede di introduzione parla anche di humour noir) che smonta le pretese oracolari. Il succo però, anche se in un assetto meno prorompente, resta quello della sconnessione semantica, fino alla fine:
Macchie nere tra le stelle e le sedie vuote
tende nascoste che rivelano teste bianche rotonde
forme di libri accanto alle finestre schermate
segregate nel loro guardare verso il mondo
parola con molto bisogno di collocazione
nella mappa celeste praticamente illeggibile
da noi ciechi veggenti distratti dal tempo
che scorre continuamente è sempre in azione
È un brano di Disturbi visivi, titolo significativo che sottolinea la tecnica di scarto, gli sbalzi di euforia e disforia, la funzione poetica contraddittoria del "cieco veggente". Tra gli ultimi testi c'è anche Materia, materiali, recupero dei, che è una sorta di riepilogo dei temi spatoliani come la natura disfatta e l'esito apocalittico («Verso il buio la fine delle scorte alimentari»), il tavolo anatomico, la repressione violenta («Verso le marce militari la regolazione del passo»), il fallimento delle ideologie edulcoranti. Per controllare la fedeltà di Spatola all'avanguardia si può confrontare questo testo conclusivo con uno dei suoi classici degli anni Sessanta, Sterilità in metamorfosi, che così iniziava:
persino è della pietra far vermi questa notte
dentro la pietra sono i suoi capelli
grumo nero impastato con bianchissima calce
e la roccia sta nel mezzo del lago
le sue dita irte di radici sono formiche
grumi neri impastati con bianchissima calce
le cinque dita sono cinque radici nel mondo che si solleva
perché persino la pietra fa vermi questa notte
fondamento del quale purtroppo qui non è luogo
radice comune dalla quale rampollano essi stanotte
è lama di coltello che taglia tra le dita
Ed ecco, a pendant, la prima strofa di Materia, materiali, recupero dei:
Verso la luna alta sconvolta reciproca
al manganese fragile duro splendente
convenzionale come gli aforismi sul mare
oscuro vasto selvaggio con pelle di serpente
guizza strisciando oscilla si distende
ma da questo ansito si muove l'ansimare
si agita la competenza del cosiddetto fuoco
Davvero si potrebbero leggere di seguito e non credo si sentirebbe molto la distanza temporale nel passaggio dall'uno all'altro testo.
Ma c'è di più. Accanto a questo percorso di scrittura "lineare" Spatola ha avviato molto presto una sperimentazione visiva e sonora, verso quella che chiamava la "poesia totale". L'ambito visivo è occupato fin dagli inizi con Poesia da montare (1965) e poi si sviluppa nel periodo di "Tam Tam", con il lavoro artigianale del Mulino di Bazzano. In particolare, la cifra di Spatola sono gli "zeroglifici": grafemi ritagliati, e così strappati alla comunicazione codificata, che diventano elementi visivi, ma niente affatto decorativi; è come se venissero rifunzionalizzati a una nuova significazione che però non riesce a farsi codice e resta allo stato di puntuti e angolosi frammenti. Zero-glifici: quindi significazione nulla, ma pur sempre "geroglifici", segnali di un soggetto attivo.
Un esempio:

A proposito degli zeroglifici, Sandro Sproccati, nel quaderno dedicato a Spatola (1986), ha scritto che
In essi il suono (la vocalizzazione) ènegato dall' assenza di unità minime riconoscibili, e non di meno è riaffermato dall''appartenenza dei tratti grafici alla "materia dell'espressione", un campo esemplificabile come totalità di segni (...). In altre parole, nella misura in cui il proto-segno, il "segnale" zeroglifico, ammette la propria origine grafematica (scritturale, tipografica) determina anche, metaforicamente, la presenza di una lettura negata, solo allusa, balbettata.
Per quanto riguarda il lato della poesia sonora, la pubblicazione di Diaforia comprende un disco allegato, con alcune registrazioni significative, tra le quali il "cavallo di battaglia" Aviation/aviateur. Gianni Fontana sottolinea la varietà di questo ambito:
Insomma, nel suo repertorio di poesia sonora gli aspetti presenti sono molteplici: si passa da pièce articolate su pochi elementi verbali e vocali, a lavori legati alla dimensione rumoristica, fino a veri e propri gustosissimi teatrini sonori, che potrebbero ben figurare nei palinsesti di quella arguta radiofonia giocosa, spesso basata sul nonsense costruito sullo specifico del mezzo, che da qualche anno va prendendo piede.
La mia impressione nel risentire la voce di Adriano, alquanto inestetica a dire il vero, è che anche in questo ambito fisico-corporeo, l'operazione abbia un forte risalto concettuale e spesso ironico. La variazione diventa volentieri reiterazione infinita, quindi insistenza ad oltranza. Cade quindi l'aspetto regolatore della ripetitività e anche il suo aspetto armonico, per giungere a una sorta di effetto-disturbo, nel senso che piano piano la piacevolezza confermativa del ritorno diventa saturazione e infine eccesso. Realizzando un "grado zero" dell'avanguardia che consiste nel prendere la parola e di non volerla più cedere, andando avanti ad ogni costo fino all'ultimo respiro.
