PRAGA 27 GIUGNO 1968
“MANIFESTO DELLE DUEMILA PAROLE”
di Ludvík Vaculík
Duemila parole dirette agli operai, ai contadini, agli impiegati, agli scienziati, agli artisti, a tutti (il "Manifesto delle duemila parole")
Il testo è opera dello scrittore Ludvík Vaculík. Uscì sul Literární listy (n. 18, del 27 giugno 1968) con 70 firme di accademici, dirigenti di università, tra cui il rettore di quella praghese, scrittori e poeti di primo piano, registi e attori di cinema e di teatro, olimpionici e campioni dello sport cecoslovacco. In pochi giorni le adesioni si contarono a decine di migliaia.
Duemila parole dirette agli operai, ai
contadini, agli impiegati, agli scienziati, agli artisti, a tutti (il "Manifesto
delle duemila parole"). Dapprima fu la guerra a minacciare la vita della nostra
nazione. Seguirono poi altri brutti tempi, con avvenimenti che misero in
pericolo la sua salute spirituale e il suo carattere. Speranzosa, la
maggioranza della nazione accettò il programma del socialismo. La sua direzione
però capitò nelle mani degli uomini sbagliati. Non sarebbe importato tanto che
non avevano sufficienti esperienze di statisti, conoscenze pratiche e neppure
istruzione filosofica, se almeno avessero avuto più comune buon senso e
correttezza, se fossero stati capaci di ascoltare le opinioni altrui e avessero
accettato di poter essere gradatamente sostituiti dai più capaci. Il partito
comunista, che dopo la guerra riscuoteva una grande fiducia tra la gente,
cambiò gradualmente la stessa con gli uffici, fino ad averli tutti, tanto da
non avere altro che questo. Sono cose che dobbiamo dire, e le sanno anche quei
comunisti tra noi la cui delusione per i risultati ottenuti è grande quanto la
delusione degli altri. La linea sbagliata della direzione ha mutato il partito
da partito politico e comunità unita dalla stessa ideologia in organizzazione
di potere che aveva una grande attrattiva anche per avidi egoisti, codardi
petulanti e uomini dalla coscienza sporca il cui ingresso influì sul carattere
e sul comportamento del partito; questo poi all'interno non era organizzato in
modo che, senza incidenti scandalosi, vi potessero acquistare influenza uomini giusti,
capaci di tenerlo continuamente al passo coi tempi moderni. Molti comunisti
lottarono contro la degenerazione, ma non riuscirono a impedire nulla di quanto
è accaduto. La situazione nel partito comunista fu modello e causa di un'uguale
situazione nello Stato. Il legame con lo Stato ha fatto sì che il partito
perdesse il vantaggio della separazione dal potere esecutivo. Non c'era la
critica per l'attività dello Stato e delle organizzazioni economiche. Il
parlamento 2 Il testo è opera dello scrittore Ludvík Vaculík. Uscì sul
Literární listy (n. 18, del 27 giugno 1968) con 70 firme di accademici,
dirigenti di università, tra cui il rettore di quella praghese, scrittori e
poeti di primo piano, registi e attori di cinema e di teatro, olimpionici e
campioni dello sport cecoslovacco. In pochi giorni le adesioni si contarono a
decine di migliaia. 86 disimparò a dibattere, il governo a governare e i
direttori a dirigere. Le elezioni persero importanza e le leggi non ebbero più
peso. Non si poteva credere ai propri rappresentanti di qualsiasi comitato, e
quando pure se ne fosse potuta avere l'occasione, non si poteva pretendere
nulla, visto che non erano in grado di ottenere alcunché. Ancora peggio: quasi
non si poteva più credere l'uno all'altro. Decaddero l'onore personale e quello
collettivo. Con la lealtà non si otteneva nulla ed è vano parlare di un qualche
apprezzamento secondo capacità. Per questo la maggioranza perse interesse per
la cosa pubblica e si occupò soltanto di sé e del danaro. E la gravità della
situazione è maggiore per il fatto che quello stesso danaro non ha poi tanto
valore. Si guastarono i rapporti tra gli uomini, si perdette la gioia del
lavoro, in breve: arrivarono tempi minacciosi per l'integrità spirituale e per
il carattere della nazione. Siamo tutti responsabili dello stato attuale, più
di tutti i comunisti; ma la responsabilità maggiore spetta a coloro che furono
partecipi o strumenti di un potere incontrollato. Il potere di un gruppo
ostinato che tramite l'apparato di partito si stendeva da Praga fino all'ultimo
distretto e comune. L'apparato decideva chi e che cosa si dovesse o non si
dovesse fare, dirigeva le cooperative invece dei cooperatori, le fabbriche
invece degli operai, i comitati nazionali3 invece dei cittadini. Nessuna organizzazione,
in realtà, apparteneva ai suoi membri, neppure quella comunista. La colpa
principale, l'inganno maggiore di quei governanti consiste nel fatto che
presentavano il loro arbitrio come volontà della classe operaia. Volendo
credere all'inganno, oggi dovremmo incolpare gli operai della rovina della
nostra economia, della imputazione di delitti a innocenti, dell'introduzione
della censura, la quale impedì che si scrivesse di tutto questo; gli operai
sarebbero colpevoli degli investimenti sbagliati, delle perdite nel commercio,
dell'insufficienza di case. Nessuna persona ragionevole, è chiaro, può credere
a una simile colpevolezza degli operai. Tutti sappiamo, e soprattutto lo sa
ogni operaio, che gli operai praticamente non decidevano nulla: era qualcun
altro a decidere chi doveva essere eletto a funzionario operaio. Mentre molti
operai pensavano di governare, governava in loro nome uno strato
particolarmente istruito di funzionari di partito e statali. In pratica questi
avevano preso il posto della classe rovesciata e diventarono i nuovi signori. È
giusto tuttavia dire che alcuni di loro da tempo si sono resi conto di quanto
andava accadendo; I tre Organi del potere locale, corrispondenti ai consigli
comunali, provinciali e regionali. li riconosciamo oggi perché riparano torti,
correggono errori, restituiscono il potere decisionale agli iscritti e ai
cittadini, limitano i poteri e la quantità della burocrazia. Sono con noi
contro le opinioni arretrate all'interno del partito. Ma la gran parte dei funzionari
si difende dai cambiamenti e ha ancora peso! Continua ad avere nelle mani
strumenti di potere, soprattutto nei distretti e nei comuni, dove può usarli in
modo coperto e impunemente. Dall'inizio di quest'anno viviamo un processo
rigeneratore di democratizzazione. È cominciato in seno al partito comunista.
Dobbiamo dirlo e lo sanno anche quei non comunisti che ormai non si aspettavano
più niente di buono dal partito. È però necessario aggiungere che tale processo
non poteva avere inizio altrove, poiché soltanto i comunisti, per ben venti
anni, hanno potuto vivere una qualche sorta di vita politica; soltanto la
critica comunista conosceva i fatti; soltanto l'opposizione comunista aveva il
vantaggio di essere a contatto con l'avversario. L'iniziativa e gli sforzi dei
comunisti democratici rappresentano quindi solo il pagamento di una rata del
debito che l'intero partito ha verso i non comunisti, mantenuti in una
posizione di inferiorità. Al partito comunista perciò non va detto grazie, va
però il riconoscimento di uno sforzo onesto per utilizzare l'ultima occasione
di difendere l'onore proprio e quello nazionale. Il processo di rinascita non
presenta niente di particolarmente nuovo, avanza idee e temi molti dei quali
più vecchi degli errori del nostro socialismo, e altri che pure nascevano sotto
la superficie degli avvenimenti visibili e che avrebbero dovuto essere espressi
già da tempo e invece furono soffocati. Non illudiamoci che queste idee ora
vincano per la forza della verità. Per il loro successo, oggi, è stata decisiva
piuttosto la debolezza della vecchia direzione, che doveva prima stancarsi,
evidentemente, di un governo ventennale esercitato senza opposizione;
evidentemente dovevano prima giungere a completa maturazione tutti gli elementi
guasti già contenuti nelle basi e nell'ideologia di quel sistema. Non
sopravvalutiamo perciò l'importanza della critica uscita dalle file degli
scrittori e degli studenti. L'economia è la fonte delle trasformazioni sociali.
Le parole giuste hanno importanza solo quando sono dette in condizioni ben
preparate. Condizioni ben preparate: con ciò purtroppo si devono intendere, nel
nostro paese, la nostra indigenza e la rovina totale del vecchio sistema di
governare, quando, in silenzio e in tranquillità, uomini politici di un certo
tipo si sono compromessi a nostre spese. La verità, dunque, non vincerà; la
verità semplicemente, resta quando tutto il resto è stato scialacquato! Non 88
c'è quindi ragione per un Te Deum, ma solo motivo di nuova speranza. Ci
rivolgiamo a voi in questo momento con una speranza che è però continuamente
minacciata. Ci sono voluti alcuni mesi prima che molti di noi fossero convinti
di poter parlare e molti non sono ancora convinti. Ma abbiamo già parlato
tanto, e tanto ci siamo esposti che una volta dobbiamo pur portare a termine il
disegno di umanizzare il regime; altrimenti la rivincita delle vecchie forze
sarebbe crudele. Ci rivolgiamo in particolare a coloro i quali finora si sono
limitati ad aspettare: i giorni che verranno saranno decisivi per molti anni. I
giorni che verranno sono quelli dell'estate, delle vacanze, quelli in cui, per
antica abitudine, si è portati a lasciare molte cose insolute. Scommettiamo,
tuttavia, che i nostri cari oppositori non si prenderanno le ferie,
mobiliteranno gli uomini a loro legati e vorranno prepararsi fin d'ora
tranquille feste natalizie. Facciamo attenzione, dunque, a quanto accadrà:
sforziamoci di comprendere e rispondere. Rinunciamo alla impossibile pretesa
che chi è in alto possa darci sempre una sola spiegazione delle cose, e una
sola, semplice conclusione. Ognuno deve trarre da sé le conclusioni,
assumendosene la responsabilità. A conclusioni comuni si può giungere soltanto
con la discussione, per la quale è necessaria la libertà di parola, che è in
pratica l'unica nostra conquista democratica di quest'anno. Dobbiamo andare
incontro ai prossimi giorni con propria iniziativa e proprie decisioni.
Anzitutto dovremo opporci a qualunque idea, ove fosse avanzata, che sia
possibile realizzare un qualsiasi rinnovamento democratico senza i comunisti, o
peggio contro di loro. Sarebbe ingiusto e irragionevole. I comunisti dispongono
di organizzazioni già costruite, in esse bisogna sostenere l'ala progressista;
dispongono di funzionari sperimentati, infine hanno ancora nelle loro mani le
leve e i pulsanti decisivi. Hanno presentato all'opinione pubblica il loro
Programma d'azione, che è pure il programma per un primo riassestamento dei
maggiori squilibri, e nessun altro è in possesso di un programma altrettanto
concreto. Bisogna rivendicare che presentino programmi d'azione locali
all'opinione pubblica di ogni distretto e di ogni comune. Sono atti questi più
che ovvi e attesi da lungo tempo. Il Partito comunista cecoslovacco si prepara
al congresso che eleggerà il nuovo Comitato centrale. Chiediamo che sia
migliore di quello attuale. Se oggi il partito comunista afferma che per il
futuro intende fondare la sua posizione 89 dirigente sulla fiducia dei
cittadini e non sulla violenza, crediamogli, per quanto possiamo credere agli
uomini che già ora esso invia come delegati ai congressi distrettuali e
regionali. Negli ultimi tempi la gente è preoccupata, ritiene che si sia
arrestata l'avanzata della democratizzazione. Questo sentimento deriva in parte
dalla stanchezza conseguente agli avvenimenti eccitanti, in parte corrisponde
alla realtà del momento: è passata la stagione delle rivelazioni sconvolgenti,
delle dimissioni di alti funzionari, dei discorsi inebrianti conditi di parole
insolitamente audaci. Ma lo scontro continua, pure se dissimulato: si combatte
per il contenuto e il tenore delle leggi, per la portata dei provvedimenti
pratici. Inoltre, ai nuovi uomini: ministri, procuratori, presidenti e
segretari, bisogna concedere il tempo necessario al lavoro. Hanno il diritto di
disporre del tempo necessario ad affermarsi o a rivelarsi incapaci. D'altra
parte non si può più aspettare negli organismi politici centrali. Pur senza
volerlo hanno dimostrato di possedere virtù mirabili. La qualità concreta della
futura democrazia dipende da ciò che accadrà delle imprese e nelle imprese. Con
tutte le nostre discussioni, alla fine, siamo nelle mani degli economisti.
Bisogna cercare e affermare i buoni amministratori. È vero che in confronto ai
paesi evoluti, siamo tutti mal pagati, alcuni ancora peggio. Possiamo chiedere
più danaro: la carta moneta si può stampare e così perderebbe ancora valore.
Chiediamo, piuttosto, che i direttori e i presidenti ci spieghino cosa e a
quali costi vogliono produrre, a chi e per quanto vendere, quanto si potrà così
guadagnare, quale parte del ricavo andrà all'ammodernamento della produzione e
quanto sarà possibile dividerci. Sotto titoli apparentemente noiosi, sui
giornali è possibile cogliere il riflesso di una durissima lotta per la
democrazia o per le prebende. Gli operai, in quanto imprenditori, possono
intervenire scegliendo gli uomini adatti da eleggere nelle amministrazioni
imprenditoriali e nei consigli aziendali. In quanto dipendenti, possono
difendere meglio i propri diritti eleggendo negli organismi sindacali i propri
capi naturali, uomini capaci e leali, senza tener conto della tessera di
partito. Se oggi non è possibile attendersi di più dagli attuali organi
politici centrali, è necessario ottenere di più nei distretti e nei comuni.
Esigiamo le dimissioni di coloro che hanno abusato del potere, danneggiando la
proprietà pubblica e si sono comportati con slealtà o crudeltà. Bisogna trovare
il modo per costringerli ad andarsene. Per esempio: critica pubblica,
risoluzioni, 90 dimostrazioni, brigate dimostrative di lavoro, collette per
l'acquisto di regali ai «pensionabili», sciopero, boicottaggio nei loro
confronti. Occorre però rifiutare i metodi illegali, indegni e rozzi, che
potrebbero sfruttare per influire su Alexander Dubček. La nostra repulsione
alle lettere volgari deve essere così decisa da far sì che ogni lettera, che
possono ancora ricevere, sia possibile considerarla come se l'avessero scritta
da sé e indirizzata a se stessi. Ravviviamo l'attività del Fronte nazionale.
Rivendichiamo la pubblicità delle sedute dei comitati nazionali. Per le
questioni che nessuno vuole affrontare costituiamo appositi comitati di
cittadini e commissioni. La cosa è semplice: si riuniscono alcune persone,
eleggono un presidente, redigono verbali, pubblicano le proprie decisioni,
chiedono soluzioni, non si lasciano zittire. Trasformiamo la stampa
distrettuale e locale - degenerata in tromba ufficiale - in tribuna di tutte le
forze politiche positive. Rivendichiamo la costituzione di comitati redazionali
di rappresentati del Fronte nazionale, oppure fondiamo altri giornali.
Costituiamo comitati per la difesa della libertà di parola. Organizziamo nelle
nostre assemblee un proprio servizio d'ordine. Se ci capita di ascoltare
notizie strane, controlliamole; inviamo delegazioni presso gli uffici
competenti e magari affiggiamo le risposte sui portoni delle case. Sosteniamo
gli organi di sicurezza, quando perseguono attività realmente delittuose: non
aspiriamo a provocare l'anarchia o uno stato di insicurezza generale. Evitiamo
le liti da comari, non ubriachiamoci di frasi politiche. Smascheriamo i
confidenti. L'animato movimento estivo in tutta la repubblica suscita interesse
per il regolamento del rapporto costituzionale tra cechi e slovacchi.
Consideriamo la federalizzazione un modo di risolvere la questione nazionale;
in altre parole: come uno degli importanti provvedimenti per la
democratizzazione delle attuali condizioni. Ma questo provvedimento, di per sé,
non è detto che debba significare una vita migliore per gli slovacchi; un
regime particolare per i cechi e un altro per gli slovacchi non è ancora la
soluzione. Il governo della burocrazia partitico-statale potrebbe addirittura
continuare meglio di prima, in Slovacchia, visto che potrebbe vantare «la
conquista di una maggiore libertà». La grande inquietudine degli ultimi tempi
deriva dalla possibilità che forze straniere possano intervenire sulla nostra
evoluzione. Di fronte a ogni forma di supremazia, poi, possiamo solamente
insistere sulle nostre ragioni e non cominciare a leticare per primi. Al
governo possiamo far sapere che 91 siamo al suo fianco, magari con le armi in
pugno, se farà secondo il nostro mandato; possiamo rassicurare gli alleati che
terremo fede ai trattati di alleanza, di amicizia e agli accordi commerciali.
Eventuali nostri rimproveri irritati e sospetti infondati sortiranno il solo
effetto di complicare la posizione del nostro governo senza esserci di alcun
aiuto. Rapporti di parità potremo assicurarceli soltanto nella misura in cui
miglioreremo qualitativamente la situazione interna e porteremo il processo di
rinnovamento tanto lontano finché un giorno nelle votazioni eleggeremo uomini
di Stato in possesso di tanto coraggio, di tanto senso del dovere e di tanta
intelligenza politica da essere in grado di stabilire e mantenere rapporti del
genere. Questo è del resto un problema che vale assolutamente per tutti i
governi di tutti i piccoli Stati del mondo. Questa primavera ci ha restituito,
come dopo la guerra, una grande occasione. Abbiamo di nuovo la possibilità di
prendere nelle nostre mani la nostra causa, che ha il titolo provvisorio di
socialismo, e darle un volto corrispondente a quella che una volta era la
nostra buona fama, alla relativamente buona opinione che avevamo di noi stessi.
La primavera è appena finita e non tornerà più. Il prossimo inverno sapremo
tutto. Si chiude così questo nostro proclama agli operai, ai contadini, agli
impiegati, agli artisti, agli scienziati, ai tecnici, a tutti. È stato steso su
iniziativa degli
Duemila parole dirette agli operai, ai
contadini, agli impiegati, agli scienziati, agli artisti, a tutti (il "Manifesto
delle duemila parole"). Dapprima fu la guerra a minacciare la vita della nostra
nazione. Seguirono poi altri brutti tempi, con avvenimenti che misero in
pericolo la sua salute spirituale e il suo carattere. Speranzosa, la
maggioranza della nazione accettò il programma del socialismo. La sua direzione
però capitò nelle mani degli uomini sbagliati. Non sarebbe importato tanto che
non avevano sufficienti esperienze di statisti, conoscenze pratiche e neppure
istruzione filosofica, se almeno avessero avuto più comune buon senso e
correttezza, se fossero stati capaci di ascoltare le opinioni altrui e avessero
accettato di poter essere gradatamente sostituiti dai più capaci. Il partito
comunista, che dopo la guerra riscuoteva una grande fiducia tra la gente,
cambiò gradualmente la stessa con gli uffici, fino ad averli tutti, tanto da
non avere altro che questo. Sono cose che dobbiamo dire, e le sanno anche quei
comunisti tra noi la cui delusione per i risultati ottenuti è grande quanto la
delusione degli altri. La linea sbagliata della direzione ha mutato il partito
da partito politico e comunità unita dalla stessa ideologia in organizzazione
di potere che aveva una grande attrattiva anche per avidi egoisti, codardi
petulanti e uomini dalla coscienza sporca il cui ingresso influì sul carattere
e sul comportamento del partito; questo poi all'interno non era organizzato in
modo che, senza incidenti scandalosi, vi potessero acquistare influenza uomini giusti,
capaci di tenerlo continuamente al passo coi tempi moderni. Molti comunisti
lottarono contro la degenerazione, ma non riuscirono a impedire nulla di quanto
è accaduto. La situazione nel partito comunista fu modello e causa di un'uguale
situazione nello Stato. Il legame con lo Stato ha fatto sì che il partito
perdesse il vantaggio della separazione dal potere esecutivo. Non c'era la
critica per l'attività dello Stato e delle organizzazioni economiche. Il
parlamento 2 Il testo è opera dello scrittore Ludvík Vaculík. Uscì sul
Literární listy (n. 18, del 27 giugno 1968) con 70 firme di accademici,
dirigenti di università, tra cui il rettore di quella praghese, scrittori e
poeti di primo piano, registi e attori di cinema e di teatro, olimpionici e
campioni dello sport cecoslovacco. In pochi giorni le adesioni si contarono a
decine di migliaia. 86 disimparò a dibattere, il governo a governare e i
direttori a dirigere. Le elezioni persero importanza e le leggi non ebbero più
peso. Non si poteva credere ai propri rappresentanti di qualsiasi comitato, e
quando pure se ne fosse potuta avere l'occasione, non si poteva pretendere
nulla, visto che non erano in grado di ottenere alcunché. Ancora peggio: quasi
non si poteva più credere l'uno all'altro. Decaddero l'onore personale e quello
collettivo. Con la lealtà non si otteneva nulla ed è vano parlare di un qualche
apprezzamento secondo capacità. Per questo la maggioranza perse interesse per
la cosa pubblica e si occupò soltanto di sé e del danaro. E la gravità della
situazione è maggiore per il fatto che quello stesso danaro non ha poi tanto
valore. Si guastarono i rapporti tra gli uomini, si perdette la gioia del
lavoro, in breve: arrivarono tempi minacciosi per l'integrità spirituale e per
il carattere della nazione. Siamo tutti responsabili dello stato attuale, più
di tutti i comunisti; ma la responsabilità maggiore spetta a coloro che furono
partecipi o strumenti di un potere incontrollato. Il potere di un gruppo
ostinato che tramite l'apparato di partito si stendeva da Praga fino all'ultimo
distretto e comune. L'apparato decideva chi e che cosa si dovesse o non si
dovesse fare, dirigeva le cooperative invece dei cooperatori, le fabbriche
invece degli operai, i comitati nazionali3 invece dei cittadini. Nessuna organizzazione,
in realtà, apparteneva ai suoi membri, neppure quella comunista. La colpa
principale, l'inganno maggiore di quei governanti consiste nel fatto che
presentavano il loro arbitrio come volontà della classe operaia. Volendo
credere all'inganno, oggi dovremmo incolpare gli operai della rovina della
nostra economia, della imputazione di delitti a innocenti, dell'introduzione
della censura, la quale impedì che si scrivesse di tutto questo; gli operai
sarebbero colpevoli degli investimenti sbagliati, delle perdite nel commercio,
dell'insufficienza di case. Nessuna persona ragionevole, è chiaro, può credere
a una simile colpevolezza degli operai. Tutti sappiamo, e soprattutto lo sa
ogni operaio, che gli operai praticamente non decidevano nulla: era qualcun
altro a decidere chi doveva essere eletto a funzionario operaio. Mentre molti
operai pensavano di governare, governava in loro nome uno strato
particolarmente istruito di funzionari di partito e statali. In pratica questi
avevano preso il posto della classe rovesciata e diventarono i nuovi signori. È
giusto tuttavia dire che alcuni di loro da tempo si sono resi conto di quanto
andava accadendo; I tre Organi del potere locale, corrispondenti ai consigli
comunali, provinciali e regionali. li riconosciamo oggi perché riparano torti,
correggono errori, restituiscono il potere decisionale agli iscritti e ai
cittadini, limitano i poteri e la quantità della burocrazia. Sono con noi
contro le opinioni arretrate all'interno del partito. Ma la gran parte dei funzionari
si difende dai cambiamenti e ha ancora peso! Continua ad avere nelle mani
strumenti di potere, soprattutto nei distretti e nei comuni, dove può usarli in
modo coperto e impunemente. Dall'inizio di quest'anno viviamo un processo
rigeneratore di democratizzazione. È cominciato in seno al partito comunista.
Dobbiamo dirlo e lo sanno anche quei non comunisti che ormai non si aspettavano
più niente di buono dal partito. È però necessario aggiungere che tale processo
non poteva avere inizio altrove, poiché soltanto i comunisti, per ben venti
anni, hanno potuto vivere una qualche sorta di vita politica; soltanto la
critica comunista conosceva i fatti; soltanto l'opposizione comunista aveva il
vantaggio di essere a contatto con l'avversario. L'iniziativa e gli sforzi dei
comunisti democratici rappresentano quindi solo il pagamento di una rata del
debito che l'intero partito ha verso i non comunisti, mantenuti in una
posizione di inferiorità. Al partito comunista perciò non va detto grazie, va
però il riconoscimento di uno sforzo onesto per utilizzare l'ultima occasione
di difendere l'onore proprio e quello nazionale. Il processo di rinascita non
presenta niente di particolarmente nuovo, avanza idee e temi molti dei quali
più vecchi degli errori del nostro socialismo, e altri che pure nascevano sotto
la superficie degli avvenimenti visibili e che avrebbero dovuto essere espressi
già da tempo e invece furono soffocati. Non illudiamoci che queste idee ora
vincano per la forza della verità. Per il loro successo, oggi, è stata decisiva
piuttosto la debolezza della vecchia direzione, che doveva prima stancarsi,
evidentemente, di un governo ventennale esercitato senza opposizione;
evidentemente dovevano prima giungere a completa maturazione tutti gli elementi
guasti già contenuti nelle basi e nell'ideologia di quel sistema. Non
sopravvalutiamo perciò l'importanza della critica uscita dalle file degli
scrittori e degli studenti. L'economia è la fonte delle trasformazioni sociali.
Le parole giuste hanno importanza solo quando sono dette in condizioni ben
preparate. Condizioni ben preparate: con ciò purtroppo si devono intendere, nel
nostro paese, la nostra indigenza e la rovina totale del vecchio sistema di
governare, quando, in silenzio e in tranquillità, uomini politici di un certo
tipo si sono compromessi a nostre spese. La verità, dunque, non vincerà; la
verità semplicemente, resta quando tutto il resto è stato scialacquato! Non 88
c'è quindi ragione per un Te Deum, ma solo motivo di nuova speranza. Ci
rivolgiamo a voi in questo momento con una speranza che è però continuamente
minacciata. Ci sono voluti alcuni mesi prima che molti di noi fossero convinti
di poter parlare e molti non sono ancora convinti. Ma abbiamo già parlato
tanto, e tanto ci siamo esposti che una volta dobbiamo pur portare a termine il
disegno di umanizzare il regime; altrimenti la rivincita delle vecchie forze
sarebbe crudele. Ci rivolgiamo in particolare a coloro i quali finora si sono
limitati ad aspettare: i giorni che verranno saranno decisivi per molti anni. I
giorni che verranno sono quelli dell'estate, delle vacanze, quelli in cui, per
antica abitudine, si è portati a lasciare molte cose insolute. Scommettiamo,
tuttavia, che i nostri cari oppositori non si prenderanno le ferie,
mobiliteranno gli uomini a loro legati e vorranno prepararsi fin d'ora
tranquille feste natalizie. Facciamo attenzione, dunque, a quanto accadrà:
sforziamoci di comprendere e rispondere. Rinunciamo alla impossibile pretesa
che chi è in alto possa darci sempre una sola spiegazione delle cose, e una
sola, semplice conclusione. Ognuno deve trarre da sé le conclusioni,
assumendosene la responsabilità. A conclusioni comuni si può giungere soltanto
con la discussione, per la quale è necessaria la libertà di parola, che è in
pratica l'unica nostra conquista democratica di quest'anno. Dobbiamo andare
incontro ai prossimi giorni con propria iniziativa e proprie decisioni.
Anzitutto dovremo opporci a qualunque idea, ove fosse avanzata, che sia
possibile realizzare un qualsiasi rinnovamento democratico senza i comunisti, o
peggio contro di loro. Sarebbe ingiusto e irragionevole. I comunisti dispongono
di organizzazioni già costruite, in esse bisogna sostenere l'ala progressista;
dispongono di funzionari sperimentati, infine hanno ancora nelle loro mani le
leve e i pulsanti decisivi. Hanno presentato all'opinione pubblica il loro
Programma d'azione, che è pure il programma per un primo riassestamento dei
maggiori squilibri, e nessun altro è in possesso di un programma altrettanto
concreto. Bisogna rivendicare che presentino programmi d'azione locali
all'opinione pubblica di ogni distretto e di ogni comune. Sono atti questi più
che ovvi e attesi da lungo tempo. Il Partito comunista cecoslovacco si prepara
al congresso che eleggerà il nuovo Comitato centrale. Chiediamo che sia
migliore di quello attuale. Se oggi il partito comunista afferma che per il
futuro intende fondare la sua posizione 89 dirigente sulla fiducia dei
cittadini e non sulla violenza, crediamogli, per quanto possiamo credere agli
uomini che già ora esso invia come delegati ai congressi distrettuali e
regionali. Negli ultimi tempi la gente è preoccupata, ritiene che si sia
arrestata l'avanzata della democratizzazione. Questo sentimento deriva in parte
dalla stanchezza conseguente agli avvenimenti eccitanti, in parte corrisponde
alla realtà del momento: è passata la stagione delle rivelazioni sconvolgenti,
delle dimissioni di alti funzionari, dei discorsi inebrianti conditi di parole
insolitamente audaci. Ma lo scontro continua, pure se dissimulato: si combatte
per il contenuto e il tenore delle leggi, per la portata dei provvedimenti
pratici. Inoltre, ai nuovi uomini: ministri, procuratori, presidenti e
segretari, bisogna concedere il tempo necessario al lavoro. Hanno il diritto di
disporre del tempo necessario ad affermarsi o a rivelarsi incapaci. D'altra
parte non si può più aspettare negli organismi politici centrali. Pur senza
volerlo hanno dimostrato di possedere virtù mirabili. La qualità concreta della
futura democrazia dipende da ciò che accadrà delle imprese e nelle imprese. Con
tutte le nostre discussioni, alla fine, siamo nelle mani degli economisti.
Bisogna cercare e affermare i buoni amministratori. È vero che in confronto ai
paesi evoluti, siamo tutti mal pagati, alcuni ancora peggio. Possiamo chiedere
più danaro: la carta moneta si può stampare e così perderebbe ancora valore.
Chiediamo, piuttosto, che i direttori e i presidenti ci spieghino cosa e a
quali costi vogliono produrre, a chi e per quanto vendere, quanto si potrà così
guadagnare, quale parte del ricavo andrà all'ammodernamento della produzione e
quanto sarà possibile dividerci. Sotto titoli apparentemente noiosi, sui
giornali è possibile cogliere il riflesso di una durissima lotta per la
democrazia o per le prebende. Gli operai, in quanto imprenditori, possono
intervenire scegliendo gli uomini adatti da eleggere nelle amministrazioni
imprenditoriali e nei consigli aziendali. In quanto dipendenti, possono
difendere meglio i propri diritti eleggendo negli organismi sindacali i propri
capi naturali, uomini capaci e leali, senza tener conto della tessera di
partito. Se oggi non è possibile attendersi di più dagli attuali organi
politici centrali, è necessario ottenere di più nei distretti e nei comuni.
Esigiamo le dimissioni di coloro che hanno abusato del potere, danneggiando la
proprietà pubblica e si sono comportati con slealtà o crudeltà. Bisogna trovare
il modo per costringerli ad andarsene. Per esempio: critica pubblica,
risoluzioni, 90 dimostrazioni, brigate dimostrative di lavoro, collette per
l'acquisto di regali ai «pensionabili», sciopero, boicottaggio nei loro
confronti. Occorre però rifiutare i metodi illegali, indegni e rozzi, che
potrebbero sfruttare per influire su Alexander Dubček. La nostra repulsione
alle lettere volgari deve essere così decisa da far sì che ogni lettera, che
possono ancora ricevere, sia possibile considerarla come se l'avessero scritta
da sé e indirizzata a se stessi. Ravviviamo l'attività del Fronte nazionale.
Rivendichiamo la pubblicità delle sedute dei comitati nazionali. Per le
questioni che nessuno vuole affrontare costituiamo appositi comitati di
cittadini e commissioni. La cosa è semplice: si riuniscono alcune persone,
eleggono un presidente, redigono verbali, pubblicano le proprie decisioni,
chiedono soluzioni, non si lasciano zittire. Trasformiamo la stampa
distrettuale e locale - degenerata in tromba ufficiale - in tribuna di tutte le
forze politiche positive. Rivendichiamo la costituzione di comitati redazionali
di rappresentati del Fronte nazionale, oppure fondiamo altri giornali.
Costituiamo comitati per la difesa della libertà di parola. Organizziamo nelle
nostre assemblee un proprio servizio d'ordine. Se ci capita di ascoltare
notizie strane, controlliamole; inviamo delegazioni presso gli uffici
competenti e magari affiggiamo le risposte sui portoni delle case. Sosteniamo
gli organi di sicurezza, quando perseguono attività realmente delittuose: non
aspiriamo a provocare l'anarchia o uno stato di insicurezza generale. Evitiamo
le liti da comari, non ubriachiamoci di frasi politiche. Smascheriamo i
confidenti. L'animato movimento estivo in tutta la repubblica suscita interesse
per il regolamento del rapporto costituzionale tra cechi e slovacchi.
Consideriamo la federalizzazione un modo di risolvere la questione nazionale;
in altre parole: come uno degli importanti provvedimenti per la
democratizzazione delle attuali condizioni. Ma questo provvedimento, di per sé,
non è detto che debba significare una vita migliore per gli slovacchi; un
regime particolare per i cechi e un altro per gli slovacchi non è ancora la
soluzione. Il governo della burocrazia partitico-statale potrebbe addirittura
continuare meglio di prima, in Slovacchia, visto che potrebbe vantare «la
conquista di una maggiore libertà». La grande inquietudine degli ultimi tempi
deriva dalla possibilità che forze straniere possano intervenire sulla nostra
evoluzione. Di fronte a ogni forma di supremazia, poi, possiamo solamente
insistere sulle nostre ragioni e non cominciare a leticare per primi. Al
governo possiamo far sapere che 91 siamo al suo fianco, magari con le armi in
pugno, se farà secondo il nostro mandato; possiamo rassicurare gli alleati che
terremo fede ai trattati di alleanza, di amicizia e agli accordi commerciali.
Eventuali nostri rimproveri irritati e sospetti infondati sortiranno il solo
effetto di complicare la posizione del nostro governo senza esserci di alcun
aiuto. Rapporti di parità potremo assicurarceli soltanto nella misura in cui
miglioreremo qualitativamente la situazione interna e porteremo il processo di
rinnovamento tanto lontano finché un giorno nelle votazioni eleggeremo uomini
di Stato in possesso di tanto coraggio, di tanto senso del dovere e di tanta
intelligenza politica da essere in grado di stabilire e mantenere rapporti del
genere. Questo è del resto un problema che vale assolutamente per tutti i
governi di tutti i piccoli Stati del mondo. Questa primavera ci ha restituito,
come dopo la guerra, una grande occasione. Abbiamo di nuovo la possibilità di
prendere nelle nostre mani la nostra causa, che ha il titolo provvisorio di
socialismo, e darle un volto corrispondente a quella che una volta era la
nostra buona fama, alla relativamente buona opinione che avevamo di noi stessi.
La primavera è appena finita e non tornerà più. Il prossimo inverno sapremo
tutto. Si chiude così questo nostro proclama agli operai, ai contadini, agli
impiegati, agli artisti, agli scienziati, ai tecnici, a tutti. È stato steso su
iniziativa degli
scienziati.