Le Parole fra Noi - Racconti
LE CONFESSIONI DI ANASTASIO II, IL VAMPIRO ONESTO
di Carlo Cenciarelli
Mi pregio augurare una felice giornata a tutti. Mi chiamo Anastasio II, posso vantare il titolo di principe - appartengo a una delle più antiche famiglie dell'aristocrazia romana -e sono un vampiro. So bene che non mi crederete. Che vi tranquillizzerete dicendo che si tratta di una fandonia, di una fantasticheria, di un espediente letterario. Voi non immaginate quanto questa piatta e volgare mentalità illuminista favorisca quel nostro modo di nutrirci che a voi pare mostruoso e a noi, invece, del tutto naturale. Eppure ogni anno in Italia migliaia di donne giovani e belle scompaiono nel nulla, senza nessuna spiegazione razionale possibile. Perché? Dove vanno a finire? A tal proposito mi permetterò d'intrattenervi con una storiella assai significativa.
In questo periodo, per agganciare le ragazze, ho elaborato un metodo che, con qualche variazione decisa sul momento, è il seguente. Di sera o di notte - è una leggenda che noi vampiri ci alziamo a mezzanotte ma è verissimo che non possiamo sopportare in alcun modo la luce del sole - vado in giro per il centro di Roma dove abito e dove, di vittime, in ogni stagione, ce n'è più che a sufficienza, con un bellissimo fiore tra le mani. Può essere un fiore alto, svettante, vistoso come un uccello del paradiso oppure piccolo ma preziosissimo come un'orchidea candida o color tenebra, ma sempre protetto da una confezione accurata e ricca. Comincio ad osservare con molta attenzione le fanciulle che incrocio. Bisogna trovare quella giusta. Quella che un incontrolo desidera davvero, anche se non lo sa neppure lei. Ecco, questa biondina col trench bianco e l'aria malinconica mi sembra la persona adatta.
«Signorina, le chiedo un grande favore: accetti quest'orchidea».
Finge già un'espressione scocciata. Vorrebbe dirmi di lasciarla in pace. Ma io la prevengo.
«No... no...non è un modo per attaccar bottone. Le affido questo bel fiore e me ne vado subito via».
E così faccio, senza voltarmi indietro per nessuna ragione. Quasi sempre è lei a richiamarmi o addirittura ad inseguirmi.
«Signore...ma mi spieghi almeno il perché di questo regalo».
«Vede...stasera avevo un appuntamento proprio lì, davanti a quel palazzetto antico, con una ragazza a cui tenevo molto. E mi è sembrata una cosa carina... molto dolce... aspettarla con un solo fiore ma davvero splendido fra le mani. Ho atteso una mezz'ora, e poi un altro quarto d'ora ma lei non è arrivata. È più che evidente che non le interesso. Ora per me sarebbe troppo triste riportare questo fiore a casa o, peggio, gettarlo via. Sarei meno infelice, al contrario, se finisse tra le mani di una ragazza bella come quella che non mi ha voluto».
Lei sorride. Mi sta già accettando.
«E su! Non sia così abbattuto! Anch'io esco da una brutta storia. Tante volte una crede che sia il grande amore e invece...»
Quasi sempre di lì a poco siamo in un bel caffè o in una pizzeria accogliente.
Fu proprio così che, circa un mese fa, ho agganciato Francesca. Una studentessa di filosofia bella, vivace, molto intelligente, che nel complesso si poteva definire addirittura affascinante. Anche per chi, come me, nel corso dei secoli, di donne ne aveva conosciute in numeri.
Ciò che soprattutto colpiva in lei era la vastità dei suoi interessi ed il fervore con cui ad essi si abbandonava. Finita Filosofia voleva iscriversi a Psicologia e magari diventare psicanalista. Aveva molto sofferto da bambina ed era convinta che proprio grazie a tale sofferenza, dovutamente esaminata ed elaborata, avrebbe potuto aiutare altri in condizioni analoghe. Credeva nel grande amore ma pensava che per trovarlo era necessario fare le esperienze più varie ed io - mi aveva avvertito - ero una di quelle. Finito un libro, ne cominciava subito un altro ed aveva una bellissima collezione di vecchi dischi. Ma non disdegnava la musica più moderna, il rock più hard. Trascinò anche me in alcuni concerti, in mezzo a folle sterminate, sbracate e urlanti, che avrebbero fatto sembrare l'inferno un posto tranquillo. S'interessava anche di politica, partecipando assiduamente alle occupazioni e alle manifestazioni. Ovviamente era di sinistra ma con un'intelligente posizione tutta sua. Infine aveva un gran senso dell'umorismo. Specialmente le persone che si volevano gravi e sentenziose stimolavano in lei delle imitazioni spassosissime, che mi facevano ridere fino alle lacrime.
«Dovresti presentarti a un teatro» le dicevo.
«Alla televisione, magari. E non è detto che un giorno o l'altro non lo faccia» mi rispondeva.
Insomma mi faceva sorridere ma anche, al tempo stesso, addirittura mi commuoveva il fatto che lei si aspettasse tante cose meravigliose da una semplice vita umana, necessariamente misera e breve. Ah! Dimenticavo di dire che aveva da poco compiutovent'anni: l'età più folle per un mortale.
Se, evidentemente, c'era un gran feeling tra noi, esistevano anche cose che ci dividevano. Ad esempio ricordo bene che una volta, al cinema, davanti ad una scena in cui un tale accoltellava per divertimento un altro ed io sogghignavo compiaciuto, lei se ne accorse e mi guardò un po' inquieta. Infatti era piena di idee umanitarie, solidaristiche, tese a rinnovare e migliorare i suoi simili. C'era in lei addirittura qualcosa di cristiano.
Ora, a parte che certi anziani vampiri sumeri che avevano conosciuto il Cristo da vivo me ne parlavano come di un essere molto più ambiguo e sgradevole di quello che la leggenda ci ha tramandato, la dottrina che da lui prende il nome e che fa di tutto per disconoscere le leggi crudeli che governano tanto il mondo naturale che quello sovrannaturale, mi ha sempre disgustato.
Tuttavia, nonostante queste ultime cose, è stata una delle rare volte in cui sentivo, al solito, un desiderio sfrenato di assaporare il suo sangue fresco e dolcissimo ma, contemporaneamente, un pochino mi dispiaceva di troncare così, tutt'a un tratto, quella vita, di far riassorbire dal nulla quell'insieme di sogni e illusioni così vivi, così vibranti...
Di farla diventare una sorella vampira non ho mai pensato: proprio non mi sembrava la persona adatta.
Facciamola breve: non so bene cosa mi prese ma decisi di fare una cosa che voi umani, almeno ufficialmente, proclamate di apprezzare molto, decisi cioè di dirle la verità. Cercai di cominciare gradualmente.
«Secondo te, qual è la ragione per cui io, quando andiamo al ristorante insieme, non tocco cibo?»
«Per quella malattia allo stomaco di cui mi hai detto, no? D'altronde, con tutti i veleni che mettono negli alimenti oggi specialmente nei luoghi pubblici, hai fin troppe ragioni per comportarti così. Invidio la tua capacità di trattenerti che, fra l'altro, ti procura questa tua magrezza impeccabile. Io davanti a un piatto di spaghetti bell'e pronto che non sono stata costretta a cucinare proprio non resisto. Per questo sono un po' cicciottella...»
«Ti sei accorta che ci siamo visti sempre soltanto di sera o di notte?»
«Non mi dà fastidio che durante il giorno tu sia completamente preso dal tuo lavoro di arredatore d'interni. Mi piacciono le persone che si danno con tutte loro stesse ad una vocazione. Più tardi spero di esserne capace anch'io».
Non intuiva nulla. I suggerimenti a parole erano del tutto inefficaci. C'era bisogno d'un'azione clamorosa che le mettesse sotto gli occhi le mie qualità sovrumane. Ora, credo voi sappiate che un vampiro ha una forza incomparabile con quella d'un uomo; che per uno solo di noi è molto facile sopraffare e, volendo, uccidere almeno una dozzina di mortali. Volevo mostraglielo e vedere quale sarebbe stata la sua reazione.
La portai in una discoteca sordida e malfamata oltre il raccordo. Fra i tanti branchi di malnati che potevi trovare lì dentro ce n'era uno particolarmente irritante: era composto da soli uomini - una ventina più o meno - vestiti in modo pacchiano che se ne stavano sbracati ai bordi della pista da ballo e, in mezzo a risa sgangherate e urla altissime, prendevano in giro gli uomini che ballavano e rivolgevano apprezzamenti volgarissimi alle loro donne. Se appena uno osava posare lo sguardo su di loro, questo o quello scattava in piedi e: «Che cazzo hai da guardare! Vuoi che mi girino le palle e mi faccia fare un pompino da quella zoccola che ti porti appresso?»
Il loro leader era uno non altissimo ma tarchiato e molto muscoloso, con un lieve sfregio sulla guancia sinistra e pieno di tatuaggi ributtanti. È a lui che mi avvicinai.
«Insomma la volete smettere con queste urla e queste parolacce?! Non vedete che state dando fastidio a tutti?!»
Il "capo" balzò in piedi, tentando di sghignazzare.
«Chi sei? Il buttafuori del locale?»
«No. Semplicemente uno a cui tu e i tuoi amici date il voltastomaco».
Tremava per la rabbia, ormai non poteva più non reagire ma si vedeva che era piuttosto sconcertato e persino vagamente impaurito dal mio modo di fare. Ebbe un attimo d'esitazione. Proprio in quella frazione di secondo l'afferrai, lo sollevai al di sopra della mia testa e poi, all'improvviso, lo lasciai ricadere a terra. Strillò per il dolore: probabilmente gli avevo fratturato qualche costola.
I suoi sodali, ancorché più frastornati e incerti di lui, mi si fecero tutt'attorno minacciosi. Cominciai a roteare su me stesso, a velocità non umana, le braccia distese in tuttala loro lunghezza e le mani strette a cucchiaio. Le mie braccia divennero formidabili clave che li abbatterono uno a uno, come fantocci o birilli. Poi presi per mano Francesca e abbandonammo quel luogo.
Un lungo silenzio. Infine rotto da lei:
«Capisco che hai fatto quello che hai fatto per proteggere gli altri che sopportavano vilmente. Ma ti rendi conto del perché sei riuscito da solo a sopraffare tutto quel gruppo?»
«Secondo te, perché?»
«Perché in realtà questi bulletti dell'estrema periferia sono fragilissimi, sono dei bambini, e chi, come te, colla sua intelligenza e volontà li domina psicologicamente può farne quello che vuole».
«Credi davvero che basti soltanto "dominarli psicologicamente"?»
«Ma certo! Per questo capisco che tu hai reagito d'istinto ma sono convinta che sarebbe stato molto meglio provare a parlare con loro piuttosto che mettersi subito a picchiarli. Sono proprio come i bambini che vanno compresi e istradati, non puniti».
Proprio non ci arrivava. Magari avevo sbagliato io un'altra volta mostrandole un'azione possibile - sia pure in misura molto minore - anche agli umani. Dovevo trovare qualcosa sempre connesso alla dimensione umana (ad esempio trasformarmi in un pipistrello o in un'altra bestia davanti ai suoi occhi le avrebbe procurato un trauma dalle conseguenze imprevedibili) ma, insieme, del tutto irrealizzabile per un comune mortale.
Avevamo deciso di andare a vedere una mostra dedicata a Salvador Dalì, un pittore che intrigava assai entrambi. Dentro cominciai a fissare con tutta l'ipnotica forza dei miei occhi ogni persona che incrociavo, cancellando quasi immediatamente la sua volontà e trasformandola in un semplice burattino nelle mie mani. Al primo ordinai di raggiungere l'uscita fermandosi lì, a tutti gli altri d'incolonnarsi in perfetta fila indiana dietro di lui. Francesca osservava la scena pensierosa e il suo sguardo si faceva sempre più inquieto. Esultai: cominciava a comprendere, finalmente!»
Fuori non mi trattenni: «Allora, cosa mi dici riguardo quello che hai appena visto?»
«Che questa performance, di sapore più dada che surrealista, mi ha molto colpito. Gli interpreti, anche se tutti sconosciuti, erano bravissimi: sono riusciti ad annullare in loro ogni traccia di emozione umana. Non è una cosa semplice».
Stavo per uscir fuori dai gangheri: «Ma non hai capito che li ho ipnotizzati tutti io?»
«Quello che ho capito è che tu, nonostante tutta la tua intelligenza e sensibilità, sei ancora schiavo di vecchi schemi maschili secondo i quali per conquistare una donna bisogna fare cose eccezionali. Invece mi piaci così come sei, con tutti i tuoi limiti».
«E quali limiti avrei, io?»
«Tanti. Ad esempio non sai guidare un'automobile».
Lei, invece, ne era capace. E difatti ci trovavamo nella sua Smart sotto il mio palazzo. Tornavamo da un concerto di musiche wagneriane che ci era piaciuto moltissimo: il tema d'amore del Tristano ci aveva addirittura inebriati entrambi. Lei mi guardava piena di desiderio, disponibile a tutto. Io ero atrocemente imbarazzato.
«Usciamo insieme da due mesi e tu non hai mai cercato di fare l'amore con me, anche se è più che evidente che ti piaccio. Credo proprio tu abbia qualche problema ma non devi preoccuparti di nulla e tantomeno di fare "una brutta figura". Adesso andiamo su da te e ti comporti come ti viene, con totale spontaneità, e vedrai che andrà tutto benissimo. E se anche così non fosse, riproveremo. Ti voglio molto bene e so come aiutarti».
«A questo punto devo dirtelo nudo e crudo, dato che non riesci a capire: io sono un vampiro, se ti possedessi nel solo, sanguinoso modo che mi soddisfa veramente tu moriresti».
Scoppiò a ridere, così saccente, così stupida, come se a vent'anni già sapesse tutto dell'universo mondo.
Fui sopraffatto dalla rabbia. Sibilai gelido: «Va bene. Saliamo su».
Quando, guardandosi intorno, si accorse quanto fosse fastoso e genuinamente antico l'arredamento dei miei appartamenti, trasalì. Probabilmente cominciò ad avere qualche dubbio, ma ormai era troppo tardi: la spogliai nuda e la morsi per la prima volta.
Conservo ancora il suo cadavere - candido come latte - nelle gelide cantine del mio palazzo, perfette per tale scopo ben più d'una ghiacciaia moderna. Già da gran tempo ho sorseggiato tutto il suo sangue fino all'ultima stilla. Però non riesco a decidermi a bruciarlo e custodirne le ceneri in un ricco reliquiario, insieme a quelle di tutte le altre. Provo non so che amarezza per come sono andate le cose ma devo farcela a scrollarmela di dosso. È sempre sbagliato vivere d'illusioni. Già è difficile comprendersi fra un maschio e una femmina della stessa specie, immaginiamoci tra un vampiro e un'umana!
D'altronde, anche questo raccontino, che non è altro che un sincero avvertimento, non avrà efficacia alcuna su di te mia dolce, giovane e smaliziata fanciulla che ora mi stai leggendo e certo non credi all'esistenza dei vampiri. E così quando un uomo alto, magro, bellissimo, apparentemente sulla trentina, molto pallido e dalle grandi labbra troppo carnose ti corteggerà in maniera incredibilmente strana e seducente, con modi d'una finezza che mai avresti potuto credere di trovare in un uomo, anche tu non resisterai e accetterai di smarrire nel nulla l'anima tua per dar nutrimento alla mia suprema vita eterna. Io, questa volta, non avrò esitazione alcuna, non sarò neppure lontanamente sfiorato dall'idea di risparmiarti ma ti giuro, su Lucifero, mio Dio, che saprò donarti una morte d'una dolcezza inesprimibile...
A molto presto.