FASTI & NEFASTI
FORO ROMANO
di Aldo Pirone
AUSCHWITZ E L'EUROPA
Il 27 gennaio del 1945 i soldati dell'Armata rossa liberarono Auschwitz, il più grande e famigerato campo di sterminio nazista. Lì erano stati eliminati dagli hitleriani circa un milione e mezzo di esseri umani in gran parte ebrei ma non solo.
Nel giorno della "memoria" non è inutile ricordare che la politica di sterminio degli ebrei da parte del nazismo non era ignota alla coalizione delle nazioni che combattevano i tedeschi hitleriani in Europa. Già il 17 dicembre del 1942 gli Alleati (i governi del Belgio, Cecoslovacchia, Grecia, Jugoslavia, Lussemburgo, Norvegia, Olanda, Polonia, Regno Unito, Stati Uniti d'America e Unione Sovietica e anche del Comitato Nazionale Francese) denunciarono "il proposito di Hitler, molte volte annunciato, di sterminare la popolazione ebraica in Europa. Da tutti i territori occupati gli ebrei sono trasportati in condizioni del più abbietto orrore e brutalità verso l'Europa dell'Est. In Polonia, trasformata nel principale macello nazista, i ghetti istituiti dall'invasore tedesco vengono sistematicamente svuotati di tutti gli ebrei, all'infuori di pochi operai, altamente specializzati, richiesti dalle industrie di guerra. Non si hanno più notizie di nessuno di quelli portati via. Coloro che sono in buone condizioni fisiche muoiono lentamente per sfinimento in campi di lavoro. Gli infermi sono lasciati morire all'aperto o per fame o sono deliberatamente uccisi in eccidi di massa. Si calcola che il numero delle vittime di queste crudeltà letali sia di molte centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini, del tutto innocenti".
L'anno dopo, in ottobre, alla Conferenza di Mosca Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica tornarono sull'argomento crimini di guerra con una specifica dichiarazione firmata da Roosevelt, Churchill e Stalin in cui tra l'altro si prometteva: "Stiano attenti coloro che non hanno finora macchiato le loro mani con sangue innocente ad unirsi ai criminali poiché in tal caso le tre Potenze Alleate li cercheranno fin nei più remoti angoli della terra per catturarli e consegnarli ai loro accusatori affinché sia fatta giustizia".
L'orrore dei campi di sterminio l'opinione pubblica lo poté vedere e valutare in tutta la sua demoniaca disumanità solo quando le truppe alleate a est e ad ovest entrarono in quegli inferni e li registrarono con le cineprese. Purtroppo alla fine della guerra diversi nazisti scamparono alla giustizia anche per le divisioni incipienti fra gli Alleati dovute al nascere della "guerra fredda". Molti criminali godettero di compiacenze e protezioni e di una via di fuga per lo più verso l'America latina, tra cui la cosiddetta "rat line", organizzata dal vescovo austriaco Alois Hudal rettore del Collegio germanico di Santa Maria dell'Anima a Roma.
Rammentare oggi a quali abissi di abiezione umana possa giungere e sia giunto l'homo europaeus è oltremodo necessario perché quel ventre che partorì il mostro del nazifascismo in Europa è ancora fecondo. Lo dimostra in modo allarmante il ritorno in auge di chi nel nostro Continente cerca di riproporre pose, atteggiamenti e politiche razziste. Di per sé i vari Kascinskij, Orban, Salvini, Le Pen, Strache ecc. sarebbero solo personaggi farseschi, ma non lo sono perché la loro pericolosità si fonda su un senso comune che hanno diffuso e cavalcato a livello di masse popolari in gran parte dei paesi europei, secondo cui tutte le difficoltà sociali sono principalmente riconducibili all'immigrazione, in particolare quella africana.
Questa diffusione è stata permessa dalle politiche socio economiche delle classi dirigenti europee, moderate e neoliberiste, che hanno goduto della subalternità della sinistra socialista e socialdemocratica. Costoro hanno imposto una politica economica fondata sull'austerità che ha scavato la fossa alle forze progressiste ed europeiste ipnotizzate dal luccichio neoliberista e aperto la strada al sovranismo xenofobo e razzista.
Se questi fenomeni, rigurgitanti da un ignobile e inumano passato, si vogliono combattere e debellare è innanzitutto sul piano economico e sociale, nazionale ed europeo, che bisogna agire mettendo in campo politiche opposte a quelle neoliberiste. Altrimenti l'europeismo che da più parti si cerca di sbandierare e attorno al quale si chiama a raccolta contro il sovranismo di destra, risulta patetico e anche ipocrita se a farsene portatori sono quelle stesse élite nazionali ed europee che finora hanno praticato un sovranismo certo meno evidente e urticante ma che ha foraggiato quello xenofobo e razzista attualmente in ascesa. Un sovranismo moderato che ha impedito, per egoismo nazionale, di procedere oltre l'"Europa dei mercanti", come la stigmatizzò sprezzantemente il Presidente partigiano Pertini molti anni fa.
Per le persone di sinistra e progressiste ogni discorso veritiero sulla costruzione dell'unità europea deve partire da due punti fondamenti programmatici: la dismissione delle politiche neoliberiste e di austerità e il superamento deciso e di segno federalista del metodo intergovernativo e confederale per ciò che riguarda le Istituzioni politiche europee.
Lo dobbiamo innanzitutto ai "sommersi" di Auschwitz e di tutti i campi di sterminio nazifascisti.
GUIDO ROSSA
Operaio comunista e antifascista, sindacalista e alpinista, Guido Rossa morì all'alba del 24 gennaio di quarant'anni fa, assassinato davanti casa da un commando delle "Brigate rosse". Lo dovevano solo gambizzare e così fecero. Ma un componente della banda, Riccardo Dura, tornò indietro e lo finì con due colpi di pistola perché, disse, le spie devono morire. Rossa fu assassinato perché aveva voluto difendere la Repubblica dall'attacco terroristico al movimento operaio e alla democrazia. Aveva denunciato un fiancheggiatore delle BR, Francesco Berardi, che in fabbrica, all'Italsider di Cornigliano, metteva, di nascosto, i volantini brigatisti in giro per lo stabilimento. L'attacco terroristico alla democrazia repubblicana e antifascista ebbe, come è noto, molte complicità ai piani alti del potere statale e anche nei servizi segreti domestici e stranieri. Singolare fu la preoccupazione dell'ambasciatore americano Gardner sul vantaggio politico che da quell'esecuzione brigatista avrebbe potuto ricavarne il PCI che, costretto dall'involuzione politica della DC e dei suoi alleati, era in via di uscita dalla maggioranza di governo. Il governo guidato da Andreotti si dimise, infatti, alla fine del mese.
Al termine degli "anni di piombo" molti hanno detto che quell'attacco fu respinto, che la democrazia vinse. E' vero solo in parte, forse in piccola parte. Perché quei "compagni che non sbagliavano" furono il braccio armato eterodiretto da forze reazionarie e conservatrici di vario grado e colore che colpì al cuore il tentativo di rinnovamento politico e progressista che - con tutti i suoi limiti e ingenuità, contraddizioni ed errori - fu messo in moto dall'iniziativa politica di Berlinguer con il "compromesso storico" e che aveva nel Presidente della DC Moro il suo interlocutore privilegiato. Non a caso Moro fu rapito e assassinato pochi mesi prima di Guido Rossa. Il declino e il degrado del sistema politico democratico fondato sui partiti e la partecipazione popolare iniziò allora, in modo ancora impercettibile ai contemporanei che certo non immaginavano i fasti di cialtroneria che la politica avrebbe partorito in seguito e i vertici raggiunti oggi. Con il fattivo contributo di tanti leader politici, purtroppo anche di sinistra, succedutesi in questo quarantennio.
Insieme al "terrorismo rosso" operò in quegli anni quello stragista "nero". Di cui oggi si tende a sottovalutare, e quasi dimenticare, che iniziò la sua opera infame ben prima di quell'altro. Di ambedue i terrorismi alcuni, troppi, agenti e protagonisti sono sfuggiti alla giustizia e vivono all'estero. Hanno goduto, dopo aver compiuto il loro sporco lavoro, di una sorta di nuova "rat line" simile a quella di cui beneficiarono i nazisti sfuggiti alla giustizia nel secondo dopoguerra e che si nascosero in America latina.
I "brigatisti rossi" solevano apostrofare i militanti del Pci come "comunisti berlingueriani"; c'era una certa assonanza con quel "comunisti-badogliani" con cui i nazisti definivano gli uomini e le donne della Resistenza. Ai camalli di Genova - i portuali allora considerati all'avanguardia del movimento operaio genovese - glielo spiegò succintamente il socialista e partigiano Pertini, appena eletto Presidente della Repubblica, chi e cosa erano le BR. Disse che lui le "brigate rosse" le aveva conosciute bene. Erano quelle partigiane che attaccavano i nazifascisti e non gli operai e i servitori dello Stato repubblicano sorto dalla Resistenza. Concluse il concetto con una sola parola: "vergogna". E dopo un momento di incertezza venne l'applauso corale e liberatorio dei lavoratori.