Le parole fra noi
DUE POESIE
di Dino Villatico
Da chi sa quali sconfortate, nude
solitudini un gatto può sentirsi
ingoiato se cauto s'avvicina,
balza sulle ginocchia e striscia il muso
contro il tuo petto, poi più su, sul mento,
e zampetta smanioso. Quale pena
lacera il suo cervello, di cui cerca
da te conforto? - Cherubino mio,
sapessi tu la mia, di pena! E forse
la sai, ed è per questo che mi vieni
addosso, fai le fusa, mi sogguardi
innamorato. Ah sì, c'è un'animale
corrispondenza che nessun discorso
sa spiegare. Lo spirito si esalta
da più parti che innalza l'uomo fino
a immaginari ed esclusivi Olimpi,
lo si figura quasi come un dio,
e se ne loda l'intelletto, come
una sua singolarità di specie,
ma è presunzione, ipotesi fallace.
E' vera, invece, questa sensitiva
comprensione. Là fuori, il mondo irride;
filosofia, si dice, con disprezzo.
Ma chi conosce i secoli, i millenni,
e le tante ere in cui s'è trasformata
la nostra vita vegetale e questa
nostra vita di bestie che si sanno
parlare con lo sguardo? Fai le fusa?
Io non so farle, ma tu però senti,
così sdraiato sulle mie ginocchia,
che potrei farle anch'io, e t'addormenti.
Fiano Romano, 6 - 9 dicembre 2018
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Vorrei le mie scompaginate membra,
questi lacerti sofferenti di una
vivisezione di me stesso, perso
tra le nebbie del tempo, come adesso
mi sento, soffocato dal profluvio
di lacrime che mi si fanno tappo
nella gola, vorrei queste mie gambe
vederle sprofondare nei melmosi
flutti del Po, ma meno melma, quando
mi ci tuffavo nudo da ragazzo,
il braccio teso in alto verso i rami
di un salice o di un pioppo, il cui riflesso
ondeggiava nell'acqua, e dopo il ventre
risdraiarlo per terra sulla sabbia,
il sesso risvegliato dal tepore
del morbido cuscino minerale,
vorrei le disconnesse mie giunture
ricompattarle in altro e nuovo corpo,
più indietro da questi anni di declino,
e vorrei riscoprirmi un corpo vivo
di un'altra vita, o della stessa, forse,
che quando mi era chiesta non sapevo
offrire, e adesso certo mi sarebbe
rifiutata. Ma sogno compensati
gli ammanchi degli scambi provvisori,
e allacciate le braccia che non strinsi,
ribaciate le labbra che distratto
avvicinai soltanto di sfuggita.
Sospeso tra quel niente ch'è sparito
e questo buco nero che mi aspetta,
chiedo perdono se il mio corpo, quando
mi fu chiesto, lo ricusai: vorrei
adesso offrirlo, e sentirlo accettato,
ringraziare, anzi, il dono di toccare
e di riguadagnarmene talora
un altro, senza che per questo io debba
implorarlo. Ma il tempo si abolisce:
sospeso a questo sogno, niente chiedo
più dalla vita, che il perenne gioco
di giocarlo da capo e poi sparire.
Fiano Romano, 3 - 11 dicembre 2018