
UGO PISCOPO,
L'UOMO DALLE TANTE VITE E DALLE TANTE PAGINE
di Piero Antonio Toma

Valeva la pena che Carlo Di Lieto, supportato anche dai contributi di Felice Piemontese e di Matteo Palumbo, s'impegnasse così tanto in questa ricca raccolta su e di Ugo Piscopo. Danno loro man forte anche un nutrito stuolo di studiosi, da Argan a Barberi Squarotti. Le ragioni sono insieme molteplici ed evidenti. La prima di tutte e che tutte le compendia è la difficoltà di definire Piscopo e la sua opera. Perché è stato ed è tante cose e ha quindi vissuto tante vite. Docente liceale e universitario, saggista, romanziere, poeta, drammaturgo e storico del teatro, critico letterario e critico d'arte, giornalista e opinionista, traduttore, epigrammista, e infine esperto di avanguardie letterarie italiane ed europee avendo adoperato vocaboli originali per Alberto Savinio, per Massino Bontempelli (senza di lui gli italiani forse continuerebbero ad ignorare James Joyce) e per il futurismo di Marinetti e di Cangiullo. E come traduttore egli ha saputo conferire al testo "una nuova vita, una vera vita nostra, italiana". Una sua Antologia dei primi anni 70 incontrò tanto di quel successo che alcuni alunni di un liceo classico di Rona chiesero all'insegnante di istituire per loro "Il Piscopo". Era cioè "diventato una nuova materia".

E in tutte queste "vite" del pensiero, egli se l'è cavata alla meglio profondendo una identità peculiare e innovativa. Un senso del nuovo che affonda nella sua più remota memoria. Tanto che in questo prezioso libro-breviario si legge di Piscopo come uno che ha pochi eguali in Italia. Una sorta di Leonardo che spazia su una tastiera amplissima e dalla quale egli è capace di cavare note sempre di alta qualità e sempre "multidisciplinari", qualunque spartito egli affronti. Palumbo lo definisce "insuperabile archivista dell'immaginario" , Piemontese uno dei migliori poeti degli ultimi anni, e De Lieto conferma che "la poesia è sempre stata per lui in primo piano e viene intesa come una 'sfida' all'interno della sua vasta produzione". Ed è lo stesso Piscopo a definirsi mai succubo del "raggiungimento di questo o quell'obiettivo", ma sempre libero nel "ricominciare a rischio di fallire" esiliando quell'"esistente che vuole essere adorato come un feticcio" per puntare sullo "spostamento in avanti delle frontiere ideali". Va infatti osservato che la sua poeticità si è sempre dibattuta fra il culto del moderno alla stregua dei futuristi (modernolatria) e la civiltà contadina con l'amore per la natura. Se uno gli chiedesse: Quanti hai anni? Sicuramente risponderebbe: Ho l'età del mio libro segreto che continuo a scrivere vivendo.
"Scena onirica" e "radialità dell'immaginario" nell'opera di Ugo Piscopo, Carlo Di Lieto, Edizioni Scientifiche Italiane, pagg. 334, € 38