
Edizioni EscaMontage (Plaquette
teatro, 2020)
TIZIANA COLUSSO - IL PRECIPIZIO
Teatro delle voci per Donatella e
RosariaNota introduttiva di Carla Cucchiarelli
Edizioni EscaMontage (Plaquette
teatro, 2020)
TIZIANA COLUSSO - IL PRECIPIZIO
Teatro delle voci per Donatella e
RosariaNota introduttiva di Carla Cucchiarelli

E poi viene fuori il dolore. Quel dolore che non è solo di Donatella e Rosaria, ma di tutte le donne- bambine che hanno conosciuto la vicenda. Un dolore che è tanti dolori, in una storia che è tante storie, condensate, macinate, stritolate nel testo teatrale per voci di Tiziana Colusso che s'intitola Il Precipizio. Incarna lo sgomento e l'aria dei tempi la voce narrante: «nessuno ci insegnava a essere presenti a noi stesse, a essere le guardiane di noi stesse.» Ha quindici anni la giovane che racconta, come l'autrice al tempo, conosce Roma, quella città divisa a metà tra rossi e neri, dove i quartieri sono i portavoce di stati d'animo e credenze da rivendicare, dove "il personale è politico". E c'è la voce autorevole della Maga Circe che ricorda il Precipizio, una specie di presagio inciso nella roccia franata del Circeo, la saggezza d'altri tempi che ancora le donne non sono capaci di ascoltare, mentre la Vox Populi rilancia vicende e ricorda i pregiudizi. «Se questa ragazza si fosse stata a casa, se l'avessero tenuta presso il caminetto, non si sarebbe verificato niente.» Pesante e cupa, drammatica e devastante, la voce degli assassini che si esalta, tra la colonna sonora dell'Esorcista e il viaggio con le due vittime nel portabagagli. «Silenzio, qui ci stanno due morte.»
Restiamo immobili, ricordiamo, noi che a quei tempi eravamo giovani, ma immagini e ricordi arrivano anche a quanti non hanno vissuto quei giorni. Quelli che ora devono sapere. L'orrore, lo stupro, la morte orchestrata e minacciata dai sacchi neri che sanno di delitto premeditato. Lì verranno nascosti i corpi delle vittime. «Ce li hanno mostrati subito. È stato terribile» ricorda Donatella Colasanti che ha vissuto altri trent'anni con quell'incubo nel cuore e tutte le storie che lo hanno popolato. Ci sono le madri cattive, quelle che volevano difendere gli assassini, il processo, otto anni d'attesa prima che si celebrasse a porte aperte e l'avvocato di Izzo che diceva: «L'hanno colpita in testa ma non è uscito neanche un po' di cervello.»
Ecco dunque il bisogno di raccontare, la forza terapeutica delle parole, l'urgenza di rimettere nero su bianco, ancora una volta, quarantacinque anni dopo, quei giorni orribili che Tiziana Colusso fa sua, ritrovando le parole di una Donatella Colasanti, non più vittima ma monito per le generazioni a venire. «Come si esce da questa esperienza? Si esce dicendo queste cose che sto dicendo adesso.» Tiziana prende per mano il lettore, lo trascina nel Precipizio e poi lo riporta a vedere la luce, in quel 29 settembre che non sarà mai più quello cantato da Lucio Battisti ma un rincorrersi di voci e di dolori. Perché questi delitti non vengano dimenticati e soprattutto non si ripetano più. Si legge tutto d'un fiato, poi si pensa. A lungo. A Rosaria, a Donatella, a tutte le altre, con l'impegno morale di denunciare. Sempre
Carla Cucchiarelli , scrittrice e giornalista RAI
Copertina di Silvana Baroni
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Il comunicato stampa
Uno sguardo inedito su un fatto di cronaca che tutti ricordano e su cui molti si sono esercitati a ricostruire e immaginare. Sull'episodio sono stati pubblicati negli anni un paio di libri-inchiesta, dei saggi, un romanzo noir, sono state realizzate alcune performances e pare che sia in preparazione qualcosa per la tv. Segno che, dopo quarantacinque anni, il massacro del Circeo, perpetrato da tre rampolli dell'alta borghesia romana appartenenti alla destra eversiva degli anni 70, ci interroga ancora, e induce a riflessioni che coinvolgono etica, politica, devianza psico-patologica, rapporti di classe oltre che rapporti uomo-donna, proprio negli anni dell'esplosione del movimento femminista. È un "fattaccio brutto" ma soprattutto uno "gnommero" gaddiano, un gomitolo di cause e concause, una rete che di nodo in nodo si fa larga a catturare le storie individuali e collettive. L'urgenza per l'autrice di cimentarsi con questo evento cupo - che per decenni era rimasto come una lacerazione muta della sua adolescenza - è nata durante un lungo soggiorno al Circeo, in occasione dell'iniziativa "Residenza delle Narrazioni. Il mare di Circe". E proprio Circe, assunta come Maga, Pharmakis, terribile e materna a un tempo, diventa il motore narrativo di questa scrittura teatrale sui generis, che non si regge su dialoghi ma su voci ieratiche e assolute: quella di Circe, quella di Donatella (la sopravvissuta), quella della Narratrice (l'ex -adolescente degli anni 70) e altre voci , che compongono una polifonia del dolore e della trasformazione del dolore. Su tutto incombe la presenza del "Precipizio del Circeo", come viene chiamata quella parte del monte Circeo crollata in mare in tempi remoti e che lì rimane come una premonizione di ogni altro precipizio.