
NOTE IN MARGINE A "ESSERE COMUNISTI"
DI LELIO LA PORTA.
di Corrado Morgia

Lelio La Porta è uno studioso serio, preparato e altrettanto prolifico, visti i numerosi titoli della sua bibliografia. Oltre che docente di storia e filosofia nei licei, è collaboratore del Manifesto, di Critica Marxista e di Patria Indipendente, la rivista dell'Anpi, e iniktre membro di Futura Umanità, l'associazione fondata da Paolo Ciofi per conservare e approfondire la storia e la memoria del Pci. Gli interessi scientifici di La Porta spaziano da Lukàcs ad Hanna Arendt, alla filosofia politica del Novecento in generale e più indietro fino a Marx, tutti argomenti sui quali ha prodotto opere molto interessanti, di approfondimento e di divulgazione, realizzando al meglio la sua vocazione di insegnante e di ricercatore impegnato e qualificato. Aggiungo che, a mio parere, ma senza sminuire nessuna delle sue prove, le migliori energie La Porta le ha spese in una meritoria opera di ricognizione e di analisi intorno alla storia e alla cultura del Partito comunista italiano e dei suoi massimi rappresentanti, Gramsci innanzitutto, ma anche Togliatti, Enrico Berlinguer e Luigi Longo, personalità di cui vengono antologizzati alcuni interventi nella sua ultima fatica, "Essere Comunisti, Il ruolo del Pci nella società italiana", silloge pubblicata dagli Editori Riuniti nello scorso 2020. Il testo, arricchito da una introduzione dell'autore, contiene un brano di Gramsci, tre di Togliatti, uno di Longo e cinque di Berlinguer.
Si tratta soprattutto di rapporti e relazioni a vari congressi del partito, e quindi di testimonianze particolarmente significative per delineare il percorso compiuto dai comunisti italiani nei diversi decenni della loro storia, e in particolare dal 1926, con una riflessione di Gramsci sui primi cinque anni della vita del Pci, al 1983, con una intervista di Berlinguer sulle prospettive della rivoluzione tecnologica, allora ai primi passi, con la diffusione dei computer e sulle sorti della democrazia nell'era della rivoluzione elettronica. Il volume ha quindi molti significati, il primo e più rilevante secondo me consiste nel tener viva, appunto, la memoria dei comunisti italiani, in una fase in cui i partiti, in primo luogo quelli che si dichiarano di sinistra, più o meno moderata che sia, sembrano essersi liberati della storia come di una zavorra, considerata quindi inutile se non addirittura addirittura dannosa. Il Novecento, con i suoi drammi, ma anche con le sue lotte e le sue conquiste, è stato come cancellato, come se, per esempio, in Italia ci si dovesse vergognare di essere stati comunisti. Tutto ciò ha procurato, insieme alla "dittatura del presente", come ha detto recentemente Niki Vendola, una sorta di inconsistenza che spesso però diventa debolezza, perché chi non riconosce il suo passato è come un sacco vuoto, non si tiene in piedi, e inoltre legge male anche il presente ed è incerto, o addirittura incapace, nella prospettazione del futuro. La storia non è un peso, è parte della costruzione della propria identità, cancellarla vuol dire non riconoscere più se stessi. Questo è accaduto quando fu deciso di sciogliere il Pci; i fautori della dissoluzione pensando di essere più liberi, sono invece diventati più fragili, esposti a ogni tipo di suggestione, in primis a quella del liberismo, e a tutte le influenze, in base alle quali penetrò il convincimento che storia fosse davvero finita, che fossero scomparse quindi, come per incanto, tutte le contraddizioni, a cominciare dal conflitto di classe, e che ormai quindi non rimaneva altro che gestire il sistema, rendendolo un po' meno ingiusto, ma accettandone come ineluttabili tutti i meccanismi, anche quelli più nefasti, come appunto lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Veniva meno pertanto il pensiero critico, il partito organizzato e di massa diventava un peso e quindi fu ridotto a un simulacro, la militanza attiva era sostituita dal precario rito delle primarie, sistema malamente importato dagli Stati Uniti, e la gestione del potere finiva con l'essere l'unica meta da raggiungere e da mantenere a tutti i costi, avendo smarrito ogni altra finalità che non fosse quella di andare al governo. Azzerata la storia, cancellati i fondamenti, annullate le grandi prospettive, la politica veniva così ridotta a tecnica dell'amministrazione, nel migliore dei casi, o a carriera, in una competizione non di idee, ma di persone in gara per la pura e semplice affermazione di sé. I risultati si vedono, la crisi della politica, della partecipazione e della militanza sono ormai una malattia cronica, le astensioni si contano a milioni, le destre avanzano pericolosamente e si parla addirittura di una candidatura di Berlusconi alla presidenza della repubblica, massima sciagura possibile che potrebbe capitare al nostro paese. Tuttavia, nonostante tutto, rimangono tante energie che, se adeguatamente organizzate e indirizzate, potrebbero opporsi ancora con efficacia agli incombenti pericoli di svolte autoritarie e di ulteriori pericolose manomissioni della nostra costituzione.
Il libro di La Porta rappresenta un farmaco contro tutti questi mali, perché come dice lui stesso, ripropone il "tentativo di fissare i caratteri del progetto di trasformazione democratica della società italiana in direzione del socialismo da parte del partito comunista per bocca dei suoi segretari", tentativo che, ricordiamolo ancora, non fu solo teorico, ma dette anche importanti risultati concreti, la Resistenza e la lotta di liberazione, la vittoria della repubblica nel referendum del 2 giugno del '46,a costituzione democratica e antifascista del 1948, la difesa della democrazia negli anni terribili della strategia della tensione e la costruzione dello stato sociale, pur tutti i suoi limiti e difetti.
Il primo testo tra quelli presentati è un resoconto di Gramsci sui lavori del terzo congresso del partito comunista, svoltosi in semiclandestinità a Lione dal 20 al 26 gennaio del 1926. È la fase in cui Gramsci assume la direzione effettiva del partito e che può essere considerata un vero e proprio momento di rifondazione, dopo il periodo bordighiano, fase che però termina con l'arresto del dirigente sardo avvenuto, a Roma l'8 novembre di quello stesso anno. Gramsci fa un bilancio del lavoro compiuto, sottolinea il ruolo fondamentale del proletariato nella lotta antifascista e si sofferma sulla tematica delle alleanze, operai e nel Nord e contadini meridionali, valorizzando la raggiunta unità del partito con il 90% dei dei voti congressuali confluiti sulle sue posizioni. Il dirigente e pensatore sardo riassume insomma, in una sorta di resoconto giornalistico, tutte le posizioni che caratterizzano la sua gestione del partito e che determinano la profonda differenza di linea rispetto allo schematismo e al settarismo di Bordiga e che avrebbero dovuto portare, se ce ne fosse stato il tempo, alla piena bolscevizzazione del Pci, cioè adesione alla realtà nazionale, alla capacità di analizzare e conoscere meglio i problemi del paese e alla valorizzazione del ruolo degli intellettuali, come avrebbe poi più organicamente elaborato nel saggio "sulla quistione meridionale", ultima riflessione prima del carcere.
Gli scritti di Togliatti sono tratti da I Compiti del Partito nella società attuale, discorso pronunciato a Firenze, ancora in piena guerra, il 3 ottobre del '44; dal rapporto al V Congresso, svoltosi a Roma da 29 dicembre '45 al 6 gennaio '46 e infine dalla relazione all'VIII Congresso, Roma, 8 - 14 dicembre 1956. Siamo nel cuore del pensiero politico di Palmiro Togliatti che, tornato in Italia, dopo lunghi anni di forzato esilio, nel marzo del '44, trova il paese devastato dalla catastrofe della guerra fascista, occupato al centro nord dall'esercito tedesco, ma anche impegnato nella lotta partigiana, guidata dal Comitato di Liberazione Nazionale, di cui i comunisti sono componente fondamentale, mentre dal Sud risalgono le truppe alleate. Dal 18 giugno di quello stesso 1944 inoltre il Pci fa parte del governo Bonomi, per cui il capo dei comunisti italiani esalta il ruolo nazionale della classe operaia, ne valorizza quindi la partecipazione attiva alle varie vicende che caratterizzano quei tempi tragici, sottolinea il carattere popolare e di massa del partito, di cui sollecita l'iniziativa unitaria nei confronti sia dei socialisti che della Democrazia Cristiana, alla quale però non risparmia osservazioni critiche.
Con il Rapporto al V Congresso siamo alla vigilia di ulteriori appuntamenti decisivi, dopo il 25 aprile e la Liberazione dal nazifascismo sono infatti imminenti il Referendum del 2 giugno '46 e le contemporanee elezioni per l'Assemblea Costituente. Secondo lo stile che gli è proprio, Togliatti unisce storia e politica e fa discendere la linea politica, di lotta per la repubblica e di impegno per le prime consultazioni politiche libere dopo più di un ventennio, dalla analisi e dalla ricostruzione storica, non senza riconoscere gli errori delle sinistre, ma esortando alla unità, all'organizzazione del partito nuovo, alla mobilitazione per costruire finalmente nel nostro paese un regime democratico di libertà e di progresso. Quanto al partito si procede, alla fine del congresso, alla modifica dello statuto, per cui si stabilisce che l'adesione avviene in base al programma politico e pur rimanendo il Pci ancorato ai principi del marxismo - leninismo, si tratta pur sempre di un passo avanti verso una forma di laicizzazione e di ampliamento della democrazia interne, con la esortazione alla disciplina, ma anche al dibattito aperto e alla discussione.
L'VIII congresso come è noto rappresenta un rilancio della autonomia e della originalità del Pci dopo il periodo più acuto della guerra fredda e della contrapposizione tra Usa e Urss. Alle spalle ci sono i fatti di Polonia e di Ungheria, con gli errori compiuti, ma anche con i permanenti pericoli dell'iniziative imperialistica, la cui aggressività è dimostrata dal tentativo anglo - francese di impedire a Nasser la nazionalizzazione del canale di Suez. La proposta di Togliatti consiste nella elaborazione più compiuta di una via italiana al socialismo, in una visione policentrica dei rapporti con gli altri partiti comunisti, e anche di interesse nei confronti delle grandi socialdemocrazie europee, e nella lotta per le riforme di struttura, contro l'arretratezza del capitalismo italiano e lo strapotere dei monopoli, lotta da condurre nel quadro democratico. parlamentare previsto dalla costituzione del '48. Togliatti reclama maggiore libertà nelle fabbriche e piena occupazione, migliori assicurazioni sociali, la riforma agraria, la nazionalizzazione dell'energia elettrica e la realizzazione dell'ordinamento regionale. Inoltre nella Dichiarazione Programmatica che conclude il congresso, redatta quasi integralmente dallo stesso capo del partito, si ribadisce solennemente la linea costruita fin dal '44, esaltazione del regime parlamentare con il libero gioco delle maggioranze e minoranze e la possibilità della costruzione di una società socialista attraverso le riforme e la piena attuazione della Costituzione.
Luigi Longo è presente nella antologia con un brano tratto dal rapporto al XII congresso, Bologna, 8 - 15 febbraio 1969. Longo fu tutt'altro che un segretario di transizione, anche se dovette presto lasciare la direzione attiva del partito a causa di un malore che ne aveva menomato le facoltà fisiche. Subito dopo la morte di Togliatti autorizzò la pubblicazione del Memoriale di Yalta, prese una decisa posizione contro l'intervento sovietico a Praga nell'agosto del 1968, accentuando quindi l'autonomia del Pci, si schierò a fianco del movimento studentesco nello stesso anno, quello che fu definito l'anno degli studenti, avvisaglia dell'autunno caldo del 1969, guidò il partito, di cui accentuò il carattere laico, al successo nelle elezioni politiche dello stesso '68, all'insegna dell'unità delle sinistre e con la parola d'ordine della piena attuazione della Costituzione, rilanciando la strategia delle riforme di struttura e l'iniziativa politica di massa. Inoltre valorizzò il ruolo della Federazione Giovanile Comunista, favorendo una discussione aperta attraverso una interpretazione dinamica e non chiusa del centralismo democratico. Di fronte ala primavera di Praga e al maggio francese, Longo invita il partito ad aprirsi alle novità, perché solo con l'entrata in campo di nuovi soggetti sarà più agevole percorrere la strada per l'estensione della democrazia e per il socialismo. Ebbe il merito di promuovere nuovi dirigenti e di individuare Enrico Berlinguer come suo successore.
La presenza di Berlinguer nell'antologia è quella quantitativamente più consistente. Eletto vice di Longo al XII congresso, Bologna, 8 - 15 febbraio 1969, Berlinguer diventa poi segretario al termine del congresso successivo, il XIII, Milano, 13 - 17 marzo 1972. Due mesi dopo sarebbe stato eletto alla camera, nel collegio di Roma, con 230.000 preferenze.
Ancora oggi la figura di Enrico Berlinguer è molto popolare anche tra persone che non l'hanno conosciuto, i suoi funerali furono la più grande manifestazione di massa nella storia della repubblica,.Durante i giorni della sua agonia, dopo il malore che lo aveva colpito a Padova, durante un comizio, il 7 giugno dell'84, si può dire che gran parte dell'Italia tenne il fiato sospeso, perché grande era l'affetto e quasi unanime era la stima che lo circondava, visto che perfino il segretario del Msi Almirante si recò a rendere omaggio alla sua salma, esposta nell'atrio del palazzo di via delle Botteghe Oscure. Indimenticabili furono i suoi discorsi al termine delle Feste de L'Unità, quando centinaia di migliaia di militanti si accalcavano negli enormi spazi davanti al palco, fin dalla mattina, per seguire in composto silenzio le parole del segretario forse più amato.
Il primo brano della raccolta è tratto da un intervento di Berlinguer al Comitato Centrale e alla Commissione Centrale di Controllo nella riunione comune del 14 - 16 gennaio 1970. L'argomento riguarda il rinnovamento e il rafforzamento del partito di fronte alle esigenze della società italiana, e i temi toccati, sulla scorta della lezione di Gramsci e di Togliatti, sono la creazione di un nuovo "blocco storico", il rilancio dell'iniziativa politica, anche duttile e realistica, ma sempre nella prospettiva del socialismo, la lotta per la libertà, la giustizia e l'uguaglianza, elementi costitutivi di una battaglia per le riforme e la democrazia.
Il secondo pezzo della selezione, è tratto dal rapporto al CC e alla CCC del dicembre '74, in preparazione del XIV congresso del partito che si sarebbe svolto nel marzo dell'anno successivo, sul tema "Per un partito impegnato nella lotta e nel dibattito ideale e politico". Berlinguer prende le mosse da una riaffermata solidarietà internazionalista con l'indomito popolo vietnamita, in lotta contra l'imperialismo statunitense, e con il Cile democratico, a sua volta vittima del colpo di stato militare dell'anno precedente, sanguinoso "golpe", che aveva portato alla morte del presidente socialista Salvador Allende, democraticamente eletto, e all'uccisione e all'arresto di una quantità enorme di suoi sostenitori, barbaramente torturati o costretti all'esilio. Poi, nel ribadire il radicamento nella storia d'Italia della via nazionale al socialismo, Berlinguer esorta il partito a fare politica, mantenendo il rigore e la diversità propria dei comunisti, a impegnarsi anche sul fronte ideale e culturale, a conoscere meglio la propria storia e la storia del paese, a combattere contro l'estremismo, a curare la formazione e la selezione dei quadri, non senza trascurare anche riflessioni autocritiche.
Il terzo dei passi proposto è del 1981, e ha come tema le prospettive di trasformazione del paese e la specificità del Pci. Si tratta di una intervista a Critica Marxista, rilasciata in occasione del 60° anniversario della fondazione del partito, quindi densa di considerazioni e di analisi, prevalentemente orientate sul presente e sulla politica, sia pure declinata attraverso "pensieri lunghi". Le sue sconsiderazioni spaziano dai problemi di politica estera all'impegno internazionalista; dal tema della diversità, e laicità, dei comunisti italiani alle varie fasi attraversate negli anni dal movimento comunista; dalla peculiarità del Pci all'eurocomunismo, definizione adottata per distinguersi ancor meglio dal modello sovietico, alla crisi della politica e al permanente bisogno di cambiamento e di trasformazione democratica delle strutture economico sociali del nostro paese e da ultimo al rilancio delle grandi finalità, dalla qualità dello sviluppo, al rifiuto dell'accumulazione per l'accumulazione, legge del capitalismo che va respinta, per garantire la realizzazione più alta e compiuta dell'esistenza umana. Si sente in queste parole non solo l'influsso dei padri del comunismo italiano, ma anche di Marx, del Marx giovane, che lotta contro l'alienazione, per uno sviluppo onnilaterale dell'uomo, per la costruzione di una società di liberi e uguali e per rendere concreto ciò che appare maturo dentro la storia.
Il penultimo brano antologizzato è tratto dalla relazione al XVI congresso, tenuto a Milano nel 1983. Berlinguer parla il 2 marzo, di fronte alla folta platea dei delegati sull'iniziativa e le proposte dei comunisti italiani davanti ai rischi per l'economia e per lo stato e alle gravi minacce alla pace in Europa e nel mondo. L'inizio del discorso è centrato sulla diffusa coscienza che ormai la storia del pianeta è una, che non esistono più confini, soprattutto per la rapidità con la quale si diffondono le notizie e per l'ingresso sulla scena mondiale di nuovi soggetti, classi, nazioni, popoli ed etnie prima esclusi. e per il risveglio delle grandi masse femminili. Il secondo elemento che caratterizza la contemporaneità è rappresentato, secondo Berlinguer, dalla rivoluzione scientifica e tecnologia, fenomeno inarrestabile che però dovrebbe essere posto al servizio dell'umanità intera, pena l'alterazione degli "equilibri ecologici", già precari, e il pericolo di forme di involuzione autoritaria, infine, riprendendo un ammonimento di Togliatti del lontano 1954, Berlinguer mette in guardia dagli incombenti pericoli rappresentati dagli armamenti atomici e termonucleari, che, se usati, potrebbero all'estinzione dell'intera civiltà umana. Il discorso prosegue con la presa di distanza dal socialismo realizzato e la prospettazione di una terza via, o terza fase, nella costruzione di un socialismo intrinsecamente legato alla democrazia e nella valorizzazione di quelle nuove soggettività, già menzionate, a cominciare dai movimenti femministi e ambientalisti, che possono rappresentare preziosi alleati del mondo del lavoro per la costruzione di una alternativa al sistema di potere della democrazia Cristiana e per correggere in profondità le dinamiche spontanee del capitalismo.
La piena occupazione, la scuola, la ricerca scientifica, l'agricoltura, i trasporti, il mezzogiorno d'Italia, la moralizzazione della vita pubblica, sono i punti che vanno investiti da un processo di trasformazione e di riforme, per modernizzare il paese, lottare contro gli sprechi e rendere più giuste le condizioni di vita dei subalterni. La strada è quella della costruzione dell'alternativa democratica, in primo luogo con i socialisti e le forze laiche minori, cui non vengono risparmiate tuttavia anche osservazioni critiche pur nella valorizzazione di comuni esperienze di governo negli enti territoriali e locali. Il discorso termina con l'appello al rafforzamento e all'unità del partito, che non è rituale perché Berlinguer era consapevole delle grandi difficoltà del momento e voleva quindi salvare il grosso delle forze, ancora intorno al 30% dei voti, e del suo insediamento sociale tra gli operai, i giovani e le donne, per successivi impegni e imminenti nuove battaglie. Come sappiamo la sua vita fu prematuramente stroncata da un malore fatale, ma ebbe ancora il tempo, nell'intervista rilasciata a L'Unità, il 18 dicembre del i983, a pochi mesi dalla scomparsa quindi, di ragionare intorno alle grandi innovazioni in atto, alla rivoluzione informatica in primo luogo, per cercare di comprenderne il senso e soprattutto per capire se e chi controllava il processo e dove questo potesse portare. Berlinguer si mostra molto attento a tutte le novità, ma si interroga fondamentalmente su un punto, come le scoperte scientifiche possano migliorare la vita degli uomini e come possano contribuire alla liberazione dell'umanità e quindi alla costruzione di un nuovo socialismo, evitando di cadere in una sorta di nuovo medio evo tecnologico.
L'antologia si ferma qui e mi sembra che che molti siano gli spunti, le informazioni, le suggestioni fornite, per cui ne raccomando la lettura, per i motivi che ho già cercato di indicare e che confermo a conclusione di queste note. Tuttavia una questione vorrei sollevare, non per criticare ma, se qualcuno lo vorrà, per stimolare una discussione, Mi riferisco all'assenza dalla antologia di Alessandro Natta, che è stato l'ultimo segretario del Pci, dal giugno '84 al giugno '88. Quando fu, per così dire, richiamato in servizio e convinto a succedere a Enrico Berlinguer, Natta da tempo si era messo in disparte, a presiedere, se non sbaglio, la Commissione Centrale di Controllo, per dedicarsi alla formazione dei nuovi quadri dirigenti del partito. Aveva ricoperto ne numerosi incarichi, nel campo culturale, all'Istituto Gramsci, per esempio, ma anche in ruoli di dirigente complessivo, sia con Togliatti che con Berlinguer. I
lluminista, giacobino e comunista, come lui stesso si definisce, Natta, iscritto al Pci dal 1945, era un intellettuale, ma conosceva bene la macchina del partito che cercò, nel periodo della sua direzione, di mantenere unito, nonostante difficoltà di vario ordine, politiche, con divisioni accentuate tra destra migliorista di Napolitano, attratta dal Psi di Craxi, e le sinistra di Ingrao, ma anche personali, come quelle rappresentate dagli scalpitanti Occhetto e Petruccioli, che ambivano a succedergli rapidamente. Affiancato da dirigenti di grande valore, come Ugo Pecchioli e Aldo Tortorella. Natta guidò il Pci alle elezioni politiche del 1987 quando, nonostante tutto, il partito ottenne un più che dignitoso 26,57% con dieci milioni e duecentocinquantamila voti, mentre alle successive elezioni del '92 il Pds di Achille Occhetto, che avrebbe dovuto conquistare chissà quali mirabolanti successi dopo l'improvvido scioglimento del Pci, ottenne un misero 16%, che solo D'Alema successivamente riuscì a recuperare. Penso dunque che Natta vada preso in considerazione nel complesso della sua opera di esemplare comunista italiano, chiamato a guidare il partito suo malgrado in un momento particolarmente complicato, con risultati, tutto sommato, non da sottovalutare. Credo pertanto che si debba rendere giustizia a questo gentiluomo comunista, tra gli ultimi rappresentanti della generazione tolgiattiana.