NICOLA COLOMBO

...DELL' AMORE PERDUTO

racconto

Riprese da dove aveva lasciato. E si ricordò di aver scritto, semplicemente: " Abbiamo giocato all'amore, finora. Ma è giunto tempo di indossare abiti da adulti, e nulla oramai abbiamo da condividere insieme, se non il silenzio e men che mai il ricordo che siamo stati noi due."

Il bigliettino color carta da zucchero ricordò pure di averlo appuntato in un angolino della specchiera dove era certo che lei lo avrebbe trovato, facendo come solito tardi, quella sera.

Perché la prima cosa che la impegnava, rincasando, era quella di struccarsi impegnandosi a contarsi le primissime rughe a lato degli occhi e quelle orrende venuzze bluastre sul collo.

Non lo avrebbe scorto, magari chiamandolo per nome piuttosto che con quella voce suadente, affabile, piana di quando cominciarono a frequentarsi e poi baciarsi, e poi stringersi le mani, e poi fare all'amore. Ma con quel tono adirato, oramai solito, quasi rancoroso e stanco, rassegnato del tutto per una convivenza fattasi alquanto pesante, insopportabile.

Per entrambi, constatava, era un volersi bene giunto al capolinea.

Immaginò, dunque, che nemmeno si fosse poco poco impegnata a scrutare dov'era, cosa facesse, se andato a coricarsi presto in quel letto che non condividevano più come una volta, oppure piegato su quello scrittoio finto-antico dove di solito lui, digiunando o saltando la cena, pigiava sulla Olivetti24 parole inchiostrate come fosse uva destinata a farsi mosto acre per vino guasto.

Dunque, se la immaginò così, men che mai stupita e nemmeno adirata, indifferente nel leggere distrattamente il bigliettino prima di farne coriandoli come fosse carnevale, tempo di lazzi improvvisati e di abborracciati scherzi.

Nella penombra ambrata della casa con il pensiero se la raffigurò che sfilava in silenzio, al pari di un'ombra che sfiatasse sull'ultimo respiro o come non intendesse creare disturbo alcuno.

Nemmeno un filo di rancore, una mezza frase o di rabbia o di rassegnazione. Altro che un interrogativo dubbioso, se lui fosse tornato o meno, se poteva sperare a un ripensamento o cos'altro...

Come se, smorzata l'ultima cicca nel posacenere e spenta l'ultima lampadina in quelle quattro mura dove si era illuso di poterne fare un regno di zucchero filato e felicità, un castello incantato d'amore e gioie, lei fosse piombata in un sonno di pietra identico alla pietra che le aveva sottratto il posto del cuore.

L'indifferenza, allora pensò, non si condensa in un attimo; è un cumulo che necessita di tempo prima di sedimentarsi e dunque tutt'altro che estemporaneità. Non già un colpo di testa, uno scatto d'ira con nervi a fior di pelle, un imprevisto impeto di collera, bensì una condizione dell'esistenza che si solidifica per giorni, settimane, mesi, forse anche anni prima di manifestarsi attraverso inequivocabili segni, quelli della non sopportazione unita al compatimento.

Sopportazione reciproca, ambivalente, beninteso, perché evitando di parlarsi è il silenzio ad erigere il più insormontabile dei bastioni, appunto l' incomunicabilità assoluta. Come se parole da dirsi siano definitivamente esaurite, al pari dei gesti, degli sguardi, delle carezze, dei baci, dell'amore.

Prima, vale a dire specie nei primissimi due anni della loro relazione, così non era stato.

L'amicizia nata per caso si era man mano materializzata in amore, perché lui asseriva che l'amore non risulta incompatibile con l'amicizia, anzi la completa.

Poi l'amore in convivenza, perché lei sosteneva che per pensare e fare assieme le identiche cose abbisognava uno spazio condiviso in comune, al limite anche promiscuo.

Quindi la convivenza quotidiana perché, sostenevano entrambi, ripetere stancamente gli identici ritmi a casa o al lavoro arrugginisce il cervello e corrode i sentimenti. Al punto che, alla fine, non si pensa ad altro che a cambiare registro, fare cose diverse ognuno per conto proprio e non necessariamente di comune accordo.

E così lei che si era dimostrata sempre la più risoluta, non difettando in spavalderia nell'affrontare le più scabrose situazioni, si era costruita un'altra storia.

Clandestina per quanto potesse essere, alla fine la storia era emersa, lei pienamente conscia dello sconquasso che avrebbe prodotto.

Non negò, e neppure tentò minimamente di recuperare.

Si calò in pieno in quel suo caratterino spigoloso: ammettere uno sbaglio non era da lei, specie quando era consapevole che a sbagliare fosse stata lei. In fatto di mea culpa nessuno la batteva!

Anzi, si sentì quasi in dovere di reclamare, vantandosene, quella scelta di rottura traumatica, come fosse stata impegnata in una lotta all'ultimo sangue finalizzata alla sua libertà, quella libertà che il rapporto con lui, sia pure alla pari, non le garantiva più.

Aveva bisogno di respirarla, disse quasi in preda di un attacco isterico, quella libertà agognata per uscire dall'abitudinaria realtà quotidiana che oramai nessun afflato le procurava.

In definitiva, si era accorta che, fluendo il tempo, la tanto conclamata convivenza si era trasmutata in un peso e lei a portarne sulle spalle il fardello non era disposta affatto.

Eppure ammise, forse poco poco a malincuore e quando le domande di lui si fecero più stringenti, che lo aveva amato, e per anni amato alla follia. Lui e solo lui era stato l'uomo più importante della sua vita.

Quella fu l'unica concessione che si sentì di fare, forse per schermirsi ma non per discolparsi.

Magari, come avevano tentato senza riuscirvi, aveva oltremodo bramato che fosse lui, non altri, il padre della creatura che più di ogni altra cosa aveva desiderato durante l'intera convivenza.

Aveva sperato pure che se un figlio nel frattempo fosse arrivato, il suo ruolo di madre e non solo di compagna avrebbe salvato dal naufragio il rapporto di coppia, rinnovando l'ardore cullato nei primi tempi della loro storia. Ma non ne era certa al cento per cento...

Così però non era stato. Alle volte al destino non basta essere cinico e baro, necessita pure che ci metta pure la coda, come il diavolo, godendone del fatto che una fortezza di sogni crolli rovinosamente, identicamente a un castello di sabbia al salire della marea.

Lui ne soffrì, in silenzio. Perché le parole del silenzio sono quelle che dicono di più, specie quando si tratta di vicende che abbiano a che fare con l'anima, i sentimenti, le passioni.

Il silenzio, avrebbe affermato con sicumera qualora avesse deciso di dire qualcosa, è la più ardita montagna da scalare appena l'altro o l'altra si trova nel versante opposto e nessun valico, sia pure accidentato, consente di accorciare il cammino del ricongiungimento.

Il silenzio poi, se condiviso, è ancora più agghiacciante perché non ci si guarda più nemmeno in faccia e pure gli occhi sono ciechi di emozioni.

È come se le ardenti braci delle passioni si siano esaurite, esauste, spente senza bagliori. Uguale alla lava che sgorga, fluisce, si tuffa in mare e si fa roccia, o appunto brace che sfarinandosi in cenere si fredda sferzata da venti impetuosi.

Lei non avvertiva il bisogno di dare la pur minima spiegazione del senso della sua nuova storia, come se avesse deciso di separare le storie, una che si sfalda e l'altra che avvampa, l'antitesi, insomma, di ciò che nel suo cuore oramai regnava. E pure lui, da un certo momento in poi, non avvertì il bisogno di chiedere, sperando di capire...

Quando in quella maledettissima sera lei ammise con sincerità che pure lo aveva amato, lui fu sul punto di risponderle che da parte sua lui l'amava ancora.

Fu lei a non concedergliene il tempo di affermarlo. Non perché se lo aspettasse, anzi lo sapeva, da sempre lo aveva saputo, ma perché per lei tornare indietro sui suoi passi era impossibile. La corsa del gambero non sarebbe stata mai una corsa che avrebbe fatto!

Trascorse altro tempo - settimane?, mesi?, forse pure un anno?, difficile da calcolare... - sulla distesa di deserto di silenzio tra loro.

Oramai erano del tutto cambiati i loro ritmi di vita, quelli che una volta rappresentavano il modo stesso di vivere la convivenza.

Il centellinato fluire dei giorni, per le striminzite ore che capitava trascorressero insieme, era diventato veramente insopportabile.

La cena era una cena di tempi separati, lo stesso il dormire in letti separati, i fine settimana con uscite separate, anzi lui da pantofolaio mai pentito rintanato nella sua cameretta, una volta destinavano agli ospiti, oppure chinato a pigiare sullo scorrere nervoso del nastro inchiostrato dell'inseparabile Olivetti24.

Lei cominciò ad uscire da sola e a tornare sempre più tardi, consapevole che lui mai e poi mai le avrebbe chiesto dove fosse stata. Solamente una volta si permise di chiederle, con voce roca, di uno che per l'attesa aveva rinunciato al sonno:

- A quest'ora torni? Sai che ore sono? Non ti sembra di aver fatto tardi? È quasi l'alba...

Per un fine settimana lungo, con nel mezzo una festa comandata, lei addirittura si assentò per quattro giorni e quando tornò senza degnarsi di salutarlo, lasciò cadere sul divano il borsone che sapeva di viaggi lontani e felici.

Fu l'ultima volta, quella, che fu tentata di ragguagliarlo sia pure a grandi linee di ciò che aveva fatto, dov'era stata e in compagnia di chi... Ma desistette all'istante, appena lui si accese una sigaretta e si alzò di scatto dallo scrittoio voltandogli le spalle.

Allora, gli venne quasi naturale sbattere con violenza la porta, come se quel rumore dovesse sancire il più glaciale dei silenzi tra loro.

Lo fece dopo aver raccolto alla rinfusa una manata di fogli, alcuni ancora intonsi, altri battuti a macchina. Così si ritirò, ignorandola, in quella che oramai considerava il ritaglio di casa nella casa dove albergava da intruso.

Da parte sua, lei non se ne fece un cruccio, come avesse calcolato l'epilogo di una scenata tutt'altro che inaspettata.

Sgattaiolando sulla sua silhouette perfetta, si infilò in bagno per struccarsi. Quindi si concesse una doccia di rilassatezza, bevve una tazza di latte da frigorifero, svuotò il borsone dalla confusione che vi regnava, programmò la lavatrice e infine, lasciando accesa la mezza candela del comodino, si addormentò appena poggiata la testa sul cuscino.

Per lei era come se nulla fosse accaduto in quei lunghissimi giorni di assenza e dimenticanza tra loro.

La cosa si ripetette. Due, tre volte, anche per periodi più lunghi, l'ultima per una quindicina intera, giorni e notti di ferie, lei in giro per il mondo in groppa alla nuova storia e pure lui in giro per il mondo al galoppo delle fantasie pigiando sulla Olivetti24, essa sì inseparabile compagna di vita.

Il silenzio tra loro, ma fu una parentesi che come si aprì così repentinamente si chiuse, rischiò di incrinarsi.

Capitò quando, la sera precedente, lei si era decisa di cenare in casa con la sua nuova fiamma approfittando dell'assenza di lui.

In missione lavorativa, era stato costretto a pernottare in una città sferzata dalle sfuriate della boria che si vantava di avere in corpo e che tuttavia lui trovò amica e gentile.

Al silenzio, e non era oramai una novità che avendo deciso entrambi di non parlarsi avevano pure scelto la via del non sentirsi, per l'occasione lei aggiunse un gesto che lui trovò imprevisto e tuttavia eloquentissimo.

Avvicinatasi alla finestra imburrata di buio, scostò la tendina con l'indice. Era per fargli constatare che fuori insisteva un tempaccio, tirando il diavolo di un libeccio che scuoteva alberi e cose, con il freddo a farla da padrone.

Lui capì e non avvertì altro bisogno di ripetere quanto avrebbe preteso con parole nitide, o magari la bontà di una mezza frase.

Non si infuriò così come non se ne stupì.

Nel fare mente locale sulle ragioni del gesto repentino, gli venne semplice dedurre che il tempaccio, il vento, il freddo rappresentavano esattamente i risvolti del sentimento che oramai dimorava nei cuori di entrambi.

Sole ardente, calma di mare, afa rovente mai più sarebbero tornati a fare da pacieri tra loro.

Era una storia comune giunta ai respingenti di una stazione non di transito ma di fine corsa. Un amore approdato al capolinea.

Lei avrebbe fatto ciò che era solita fare: conquistare il bagno e struccarsi per la notte. Ma quella volta desistette, decidendo di infilarsi di corsa nel letto che era rimasto a due piazze, occupato da lei e abbandonato da lui.

Forse pianse o forse no e sulle ali del sonno intraprese la corsia di un sogno che le sarebbe risultato dolcissimo solo se lo avesse ricordato, svegliandosi. Ma anche questo sapeva: i sogni mai in vita sua che se ne ricordasse uno, appena uno...

Lui accese l'abaut jour posizionata sullo scrittoio finto antico, si adoperò per cambiare il nastro della macchina da scrivere e cominciò a pigiare inventandosi parole nuove sull'amicizia che i fogli bianchi intonsi gli ricambiavano.

Scrisse per tutta la notte, evitando di sbirciare sugli appunti a mano che di solito gli facevano da apripista su ciò che buttava giù.

Andò veloce come un razzo e il ticchettio delle stanghette della Olivetti24 gli fece quasi credere che fosse la sintonia di un Mozart, di un Beethoven... E lì, adagiato sullo scrittoio lo avrebbe trovato lei che dormiva spossato, l'indomani mattina, se avesse tenuto il cruccio di sapere dove fosse.

Indaffarata a prepararsi per il lavoro - scrutando l'orologio a muro si accorse che era in ritardo - si tirò piano il portone alle spalle, uscendo. Fu l'unica premura che tenne per evitare di destarlo.

Per non aggiungere ritardo a ritardo, aveva rinunciato al primo caffettino di giornata, quello che di solito le serviva per impedire di mettere stuzzicadenti agli occhi. Temeva, o forse no, che l'aroma della miscela arabica preferita, forte e intenso, lo potesse svegliare. La verità era che voleva mantenere il divario tra loro, il silenzio tra loro, le non parole tra loro.

Solo si limitò, ancora in pantofole, a scostare la tendina ancora imburrata di buio constatando che aveva smesso di piovere. Sui vetri appannati misurò al tatto quanto fosse cocciuto il coagulo di freddo che vi giaceva rappreso, identico al gelo che testardamente perseverava tra loro due.

Esattamente la sera successiva lui si decise.

Aveva riflettuto troppo tempo, calcolò, sullo stare o non stare, sul vegetare in un luogo che invece di accoglierlo lo spintonava fuori, sul considerarsi un escluso piuttosto che un incluso.

Scrisse con mano tremante ma decisa il foglietto che avrebbe lasciato a lato della specchiera del bagno: " Abbiamo giocato all'amore, finora. Ma è tempo di indossare abiti da adulti, e nulla abbiamo da condividere insieme se non il silenzio e men che mai il ricordo di ciò che siamo stati noi due."

Cancellò qualcosina della prima stesura, come tra le parole abiti e adulti, aggiungendone di nuove.

Rettificò l'ultima frase mutuando quel non ci resta il silenzio da condividere tra noi e nulla abbiamo di che condividere insieme.

Non si firmò, che bisogno di farlo? Lei conosceva la carezzevole durezza della sua penna. E nemmeno trovò logico o utile corredare quel pensiero inchiostrato con una data.

Ebbe tempo, invece, di raccogliere le sue cose: un po' di robe, un faldone di fogli dattiloscritti, la fedele Olivetti24, una pila appena di libri degli oltre mille che possedeva, qualche rimasuglio di albi dell'eroe dei fumetti che amava, e poco altro...

Non fece caso, decidendo a priori che le avrebbe lasciate, alle svariate cose che nel bagno, nei cassetti, in un armadio a muro, sparse qua e là. Aveva pensato bene di lasciare tutto il resto, per quanto non superfluo, in quella casa che non percepiva più essere casa sua.

Un filo di rammarico, come un groppo alla gola dell'impiccato, gli rimase quando si accertò che il resto dei libri e buona parte della raccolta dei fumetti non li avrebbe portati con sé. Avrebbero continuato a fare bella mostra sul doppio ripiano, la libreria tra televisore e apparecchio Hi-FI, ignorava per chi, ma non certo per il proprio diletto. Se ne rammaricò fortemente e quasi inveì contro l'avverso destino che così aveva voluto ai suoi danni.

Mise tutto in macchina. Dal secondo piano senza ascensore fu una faticaccia che durò non meno di tre ore. Terminò subito dopopranzo e solo allora si accorse di aver saltato il pasto, anche il miserevole panino del giorno precedente con affettato e birra.

Quando conquistò il sedile per riprendere fiato e finalmente partire, si ricordò degli LP.

Tornò come una furia in casa e, reperito dallo sgabuzzino un pacco da negozio da abbigliamento, sistemò delicatamente i dischi, almeno una cinquantina, contò a memoria.

Stette particolarmente attento a mettere per primi quelli del suo cantautore preferito. Si premurò di controllare, nel caso ne avesse dimenticato qualcuno. L'ultimo lo sottrasse dal piatto dell' HI-FI dove era riposto avendolo ascoltato e lì lasciato due giorni prima.

La sporta la resse mettendosela sottobraccio per evitare che la fragilità dei manici di carta cedessero.

Il bigliettino destinato alla specchiera fu l'estrema incombenza che si sentì di espletare. Si convinse che era visibilissimo pure a un cieco. Di sicuro lei lo avrebbe notato, appena varcata la soglia del bagno.

Quindi lasciò le chiavi di casa sotto il tappeto del pianerottolo. Era il consueto modo di fare per evitare che si potesse rimane fuori quando per sbadataggine si dimenticavano da qualche parte le chiavi. Cosa che capitava spesso, soprattutto a lei.

Tuttavia aveva chiaro che stavolta lo faceva per liberarsi di un fardello e per non sentirsi addosso il peso di una responsabilità che considerava definitivamente esaurita, non appartenendole più.

Fuori, il tempaccio aveva ripreso lena, sembrava addirittura che fioccasse, cosa che forse da secoli da quelle parti non accadeva. I lampioni già nell'ora del primo pomeriggio erano accesi ed emanavano opalescenze che si immaginò luccichio di pianeti remoti.

In compenso, il vento si era acquietato, o forse a lui così sembrò.

Avvertì dunque che il freddo era meno tagliente, da lama di ghigliottina che era stato nella prima parte della mattinata. Il pomeriggio si era fatto pulito, disossato dai lampi e spolpato dai tuoni.

Però fece lo stesso per rialzarsi il bavero del cappotto. Quindi si sistemò stretta al collo la lunga sciarpa color carminio, calandosi sulla testa il cappello di feltro.

Gli bastarono per conquistare la guida della Panda azzurrina posteggiata sul lato opposto del marciapiede, dove per ore aveva fatto la spola dalla casa per riempirla di ciò che aveva deciso di portarsi appresso.

La macchina tossì due, tre, quattro volte prima di dare segni di vita. Lui pigiò nervosamente due, tre, quattro volte sull'acceleratore prima di far scivolare in basso il freno a mano tirato. E mentre uno sputo di nevischio che gli seppe di sale gli appannò i vetri, sgommando partì alla volta di quel viaggio che nell'ultimo racconto scritto si ricordò di aver intitolato Viaggio di sola andata.

Che l'orizzonte verso cui stava dirigendo la prua della Panda e il biglietto staccato per il viaggio da intraprendere fossero stati esclusivamente di sola andata, era sempre stata una sua idea fissa, quasi una maniacale ossessione, fin da quando era ragazzo timoroso e riservato.

Non a caso ricordava ancora a malincuore che uscire di casa e mettere piede oltre la cinta daziaria del paese dove era nato per intraprendere un inedito percorso di vita, avevano rappresentato desideri inappagati, gioie anelate e non godute, possibilità vanamente ricercate, almeno fino alla maggiore età.

Per distrarsi dal recondito di quei pensieri, non trovò di meglio che accendere la radio, ora che la lingua d'asfalto gli scorreva viscida e traditrice, come immaginò. La trovò sintonizzata sul canale preferito. Scrutò l'orologio e si accorse che quello che a quell'ora era solita mandare in onda brani di cantautori.

Ne scivolarono un paio che a lui dicevano e non dicevano, forse troppo ermetici i testi e gli arrangiamenti così così curati.

Stava quasi per cambiare canale, o magari spegnere la radio. Meditata che forse sarebbe stato più gradevole godersi il panorama che si succedeva silente nella umbratile campagna affettata, dopo che si era lasciato alle spalle gli ultimi orli e listarelle di periferia.

Invece, piuttosto che spegnere gli venne spontaneo aumentare il volume portandolo al massimo.

Era stata messa in onda la canzone in assoluto da lui preferita, del suo cantautore preferito: un capolavoro di poesia, musica, voce in un mix perfettissimodiarmonia, come ricordò di aver leggiucchiato che fosse quel brano.

Pretendeva, ora, farsi stordire da quell'attacco inimitabile che riconobbe all'istante.

Di tutto immaginò, e se si fosse trovato in altre situazioni piuttosto che al volante di una macchina avrebbe chiuso gli occhi e languidamente lasciarsi andare. Però di cantare a squarciagola non glielo avrebbe potuto impedire nessuno, nemmeno domineddio.

Allora ripetette a tono e in precisa sintonia con il brano:

...Ma come fa presto, amore,

ad appassire le rose,

così per noi...

L'amore che strappa i capelli

è perduto ormai,

non resta che qualche carezza,

e un po' di tenerezza...

Trovò il tempo di accendersi una MS, l'ultima della giornata promise a sé stesso. Tirò lentamente qualche boccata lanciandola distrattamente come nuvola innocua nell'abitacolo evitando di abbassare il finestrino, come invece in situazioni normali faceva.

Pure l'impasto di fumo e parole si rivelò ottimo, eccezionale, per quanto impegnato com'era nel rendere nuvole le volute di fumo. Si riconosceva di avere una bella voce, sapendo andare a tono e riuscendo ad imitare alla perfezione l'autore della canzone.

Lanciò uno sguardo distratto nello specchietto retrovisore e scorse che dietro non stesse alcun veicolo. Pure di fronte non incrociava auto o mezzi pesanti. Quindi decelerò, come volesse goderselo pienamente lo smisurato attimo di riconquistata libertà che assaporava. Era una libertà che da tempo agognava e che non voleva per nessuna ragione al mondo condividere con nessuno, né con quella che lasciava e né con altre che avrebbe incrociato.

La strada si baciava con il suo infinito laddove il crepuscolo aveva cominciato a fare capolino, oltre la nuvolaglia e aldilà di uno spazio che credette non conoscesse confini.

Era solo lui, in quell'attimo, a sfidare il mondo e il tempo, ogni cosa. Lui ed esclusivamente lui, riappacificata l'anima con la ragione, il pensiero con il cuore.

Aveva smesso di fioccare, di fare freddo, di piovigginare. Anzi si aveva l'impressione che da un momento all'altro dovesse spuntare il sole, nonostante l'ora tarda. O almeno così a lui sembrò tornando a mettersi di pari passo con la canzone che era sul punto di terminare.

Allora, ma non fu uno scatto di nervi o più semplicemente un colpo di testa, un gesto inconsulto, girò la manopola portando a zero il volume. Non si accontentò e spense la radio.

A lui e solo a lui toccava canticchiare il refrain:

Ma sarà la prima

che incontri per strada

che tu coprirai d'oro

per un bacio mai dato,

per un amore nuovo.

Si sgolò per l'intero viaggio, per l'intera notte, e finalmente un sorriso, uguale al primo raggio di sole del nuovo giorno, gli si pitturò sulle labbra come da tempo il suo viso non conosceva.


NICOLA COLOMBO è nato a Pozzallo ( RG) il 19 febbraio 1958).

Ha conseguito la laurea in Filosofia nell'Università di Catania presentando una tesi incentrata sul dibattito Democrazia - Socialismo sviluppatosi sulle pagine delle riviste Mondoperaio e Rinascita a metà degli anni Settanta, all'indomani della pubblicazione dei famosi saggi di Norberto Bobbio sull'argomento.

È stato " borsista" della FNSI-FIEG con esperienze formative presso La Sicilia di Catania, l'agenzia ANSA di Palermo e Il Piccolo di Trieste.

Ha fondato e, da redattore capo, diretto il mensile I Pozzallesi, il quindicinale Cittànuova e la rivista culturale Itinerari.

È stato dirigente provinciale del PCI-PDS per oltre un decennio e dirigente sindacale della CGIL dal 1999 al 2020.

Consigliere comunale per diverse consiliature nel comune natio, ha ricoperto la carica di assessore e vicesindaco.

Si definisce " operaio di storie", avendo pubblicato, tra romanzi e raccolte di racconti, nove opere letterarie:

  • Il paese delle stelle( Meeting edizioni);
  • L'acqua e il sale di Pinò e altre storie di mare, di costa e d'amore(GDS edizioni);
  • Ritratto di un insegnante elementare, Rino Giuffrida, Maestro di scuola, maestro di vita (edizione privata);
  • La prima vera estate (Melino Nerella edizioni);
  • I traslochi delle passioni (Melino Nerella edizioni);
  • Il viaggio del pescatore fantasma ( Edizioni ilminutod' Oro);
  • L'amore nella notte dei falò e altre storie di mare e di costa ritrovate (Armando Siciliano editore);
  • Il tempo e le storie di Hugo (Operincerta editore);
  • Il ragazzo inquieto. Vanni Rosa l'antifascista siciliano dei tre mondi (Edizioni ANPPIA)
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