
LUIGI BALLERINI
O DELLA POESIA DEL TRANSITO E DI UNA DELIBERATA INADEMPIENZA
LUIGI BALLERINI
O DELLA POESIA DEL TRANSITO E DI UNA DELIBERATA INADEMPIENZA
di Marcello Carlino

Curato da U. Perolino e aperto da un suo saggio, Il remo di Ulisse (Marsilio, 2021) raccoglie una serie di contributi critici sulla poesia di Luigi Ballerini, aggregati intorno ad un nucleo originario di interventi, svolti nel corso di un seminario tenutosi a Pescara e promosso dall'Università "Gabriele D'Annunzio".
C. Bello Minciacchi, S. Colangelo, F. Santini, B. Cavatorta, G. Patrizi, G. Rizzo, F. Muzzioli, T. Pomilio, G. Ferroni, G. Frungillo (si elenca in ordine di apparizione) firmano gli altri scritti. Il libro ospita poi al suo interno alcuni rapidi appunti di Ballerini, messi a fronte del succinto reportage di un'esperienza fotografica di Ch. Traub, lungo un viaggio comune sui luoghi di Lincoln e Masters, mentre una breve antologia dei testi dell'autore è posta in congedo.
La sua stessa composizione in tempi successivi, a partire per altro da un confronto seminariale, conferisce al Remo di Ulisse il carattere di un dialogo in corso che prosegue di sezione in sezione (il volume ha una partizione che si ispira alla cronologia delle opere di Ballerini), nel quale sono frequenti le riprese e le riconsiderazioni di temi e di proposte critiche e il piano diacronico incrocia funzionalmente quello sincronico. Ne consegue uno studio soprattutto focalizzato sul linguaggio e sullo stile, le cui manifestazioni più volte sono passate ad un vaglio tanto stringente quanto minuzioso. Questo aspetto della poesia di Ballerini, nel corpo dei saggi, appare dunque il preminente, benché altri elementi vengano profilati e configurati in un ritratto testuale che risulta comunque compiuto.
Per dire panoramicamente del Remo di Ulisse conviene elencare per punti le rilevazioni storico-critiche, che affiorano dai diversi piani e metodi di analisi - dei capitoli a più voci in indice - e che, nel loro complesso, costituiscono un consuntivo ad oggi di grande significato, nonché una premessa necessaria per qualunque indagine ulteriore voglia essere iscritta a bilancio.
Il primo punto. La poesia di Ballerini ha una storia che affonda le sue radici nel contesto di un realismo lombardo, d'ambiente per lo più metropolitano, le cui coordinate coincidono con le linee di poetica di "Officina" e quelle del "Menabò". È sintomatico, a tale riguardo, che nelle prime prove di scrittura s'avverta un'atmosfera coerente con l'habitat dei frammenti della Ragazza Carla di Pagliarani, cosicché giusto Pagliarani, con la specialità della sua poesia, può ritenersi un ponte di raccordo con la neoavanguardia. La neoavanguardia - ed è carica di indizi la prefazione ad eccetera. E, 1972,di Alfredo Giuliani, altro testimonial "novissimo" per Ballerini - è attraversata tenendosi in conto la sperimentazione e la rivoluzione del linguaggio poetico che vi vengono praticate; ma è la stagione finale del Gruppo 63 quella di cui il poeta fa più diretta esperienza, non abiurando, ma proseguendone e rilanciandone le indicazioni poetico-programmatiche in netto dissenso dalle tendenze neo-orfiche emerse tra gli anni Settanta e gli Ottanta del Novecento. Il confronto denso di consapevolezza progettuale e il riuso irrituale delle forme chiuse della tradizione rappresentano strategie di incremento della motilità, e della forza critico-espositiva, del linguaggio e inoltre si connotano quali strumenti di rivendicazione e di riappropriazione (e di conversione nuovamente propositiva) di una linea altra (spesso trascurata o passata sotto silenzio) della produzione letteraria storicamente convalidata: di tanto è testimone, nello scorcio finale del penultimo decennio del secolo scorso, Che figurato muore. Una scelta operativa siffatta, di marcata impronta sperimentale, continua a distinguere la prassi poetica di Ballerini, anche quando, sulla spinta di una motivazione autoanalitica convergente con una tendenza della quale si riscontrano evenienze in quel torno di tempo, Ballerini si misura con un genere intitolabile ad un'epica che torna aggiornata: così in Cefalonia licenziato alle stampe, dopo una lunga gestazione, sugli inizi del Duemila. La cifra costante di un trattamento della scrittura in contraddittorio con le tendenze e gli usi dominanti, premiati dal mercato delle lettere, resta quale identikit dell'opera del poeta milanese.
Il secondo punto. Una frequentazione della poesia italiana degli anni Sessanta e un ascolto in diretta della poesia nordamericana - con Masters e Pound e Olson che fungono da solide basi - formano la costellazione culturale della poetica e della poesia di Ballerini e concorrono a definirne l'impronta; all'indietro fino a Cavalcanti e in avanti fino alle esperienze recentissime, si allarga poi, via via, il ventaglio della intertestualità chiamata in opera: il poeta milanese, come è noto, è stato prestigioso docente nelle università statunitensi e si è mosso con grande intelligenza critica tra letteratura italiana e letteratura americana, attento in special modo alle avanguardie. La diade Pound-Olson, cointeressati da un contrastato rapporto culturale, mentre rinvia ad un fondamento riconosciuto in premessa ai "novissimi", conferisce alla struttura della versificazione programmata da Ballerini una quota consistente di oralità e concorre a deliberare un transfer spaziale dell'impaginato prosodico, in corrispondenza con le proposte elaborate da Amelia Rosselli.
Il terzo punto. L'oralità della scrittura, che riceve un forte impulso dal dialetto - se ne fa garante Che oror l'orient, del 1991 -, è un segnale delle prospezioni interlinguistiche e intermodali che appassionano la scrittura di Ballerini. E se sotto la giurisdizione del senso della vista ricadono - metapoeticamente - il rimuginio sopra la dialettica visivo-visuale e, all'interno della figura sopra quella tra figurante e figurato, e sopra l'immagine e la sua morte o la sua inadempienza, l'arco della intertestualità balleriniana si arricchisce di spiccate curiosità in ambito artistico, tra pittura e fotografia, di cui le tracce esplicite si riscontrano in Apollo figlio di Apelle, 2016, quelle implicite nella genesi e poi nella esibizione in perspicuità dei versi battuti.
Il quarto punto. Oscillando, nei vari momenti del suo manifestarsi, da forme aperte a forme chiuse, le quali lasciano molteplici pretesti per essere disserrate, persiste la prassi di una disseminazione citatoria o dell'accostamento incongruo e dell'assemblaggio, o del differimento della compiutezza sintattico-semantica in nome e per conto di una gestione in transito della scrittura, o di una contaminazione alto-basso, grave-umile, colto-popolare (in Cefalonia segnatamente): in questo modo è data udienza al comico in compartecipazione con il tragico e finiscono demistificate, al contempo, la proposizione monovalente della storia e la tenuta autoritaria e prescrittiva del senso. Il senso viene così sottratto alle normazioni di una convenzione statutariamente funzionale ed eterodiretta e appare relativizzato, riaperto, rilanciato in vista di un confronto dialettico e dell'interpretazione del lettore. Nel segno di una poesia come autocoscienza e conoscenza senza le asseverazioni del pre-conosciuto, di una poesia quale esperienza attiva (esperienza di accrescimento di vitalità) e quale rivendicazione di uno specifico impegno civile e politico, che sono le spiccate cifre distintive del lavoro poetico di Ballerini.