CI VORREBBE UN PABLITO ...

di Ugo Della Seta

La scomparsa di Paolo Rossi, grande campione ed eroe dei Mondiali di Calcio in Spagna, ha sollevato una forte emozione.

Paolo Rossi e la Nazionale del 1982 hanno assunto negli anni, soprattutto per gli italiani della mia generazione, un valore identificativo e simbolico.

Gli Azzurri del Mundial hanno rappresentato per molti un emblema dell'Italia: un Paese pieno di problemi, che si confronta con realtà che sembrano schiacciarlo, che pare inadeguato ad affrontare la sfida, ma che all'ultimo momento - in maniera imprevedibile e quasi inaspettata - trova risorse straordinarie e affronta con successo il suo destino.

Paolo Rossi, alias Pablito, Antonio Cabrini, Marco Tardelli, etc. etc. sono diventati figure simbolo di una certa idea di noi, di una determinata epoca, di un modo di pensare all'Italia, travalicando e trascendendo il loro comunque enorme valore di atleti.

Pablito è stato davvero l'icona di quel Mondiale e di questo Paese: giunto in Spagna sull'onda della dolorosa vicenda della squalifica, in condizioni fisiche e psicologiche inadeguate, dopo una serie di prestazioni sconfortanti, nel momento più impensabile - proprio contro gli extraterrestri fuoriclasse del Brasile - ha di colpo ritrovato forza, intelligenza, velocità e intuito, mettendo il proprio marchio su quella che molti ritengono la più bella partita di calcio della storia.

Da lì in poi l'Italia è diventata meravigliosa, bellissima, inarrestabile: niente è più riuscito a fermare quel gruppo di ragazzi in maglia azzurra, né i fortissimi avversari né i rovesci della sorte.

Come di recente ha scritto Giuseppe Lupo, "Paolo Rossi portò alla vittoria un'Italia data per spacciata, fragile come la sua figura e pur tuttavia figlia di una maniera d'essere tutta nostra, idealista e concreta".

La Finale di Madrid dell'11 luglio 1982 è stata ed è tuttora, per generazioni di italiani, un irripetibile crogiuolo di immagini, di sensazioni e di emozioni.

Ma se dovessi fissare il tutto in un unico fotogramma, non avrei dubbi sulla scelta: Antonio Cabrini che, dopo il rigore sbagliato, con evidente rammarico ma altrettanta determinazione, alza la testa e riprende a correre.

Oggi il Paese versa in una situazione davvero drammatica e ci sarebbe assoluto bisogno di quella tenacia, di quella fantasia, di quel coraggio, per scrollarci di dosso le avversità e andare di corsa verso il domani.

Ecco, quello che colpisce di più, nel frangente che stiamo attraversando, è la mancanza di coraggio da parte della nostra classe dirigente.

Tutti affermiamo unanimemente che la crisi da Coronavirus sta fungendo da acceleratore e da catalizzatore del cambiamento, che una volta usciti dall'emergenza nulla sarà come prima, che la società che ci attende non potrà che risultare molto diversa da quella attuale.

E poi da tutti, ma proprio da tutti, arrivano soltanto comportamenti miopi e di corto respiro.

Il Governo si limita a gestire il quotidiano, in modo faticoso e improvvisato, procedendo per piccoli aggiustamenti, quasi giorno per giorno, senza che nulla lasci intravvedere una visione lucida e lungimirante.

L'Opposizione si mette furbescamente a specchio rispetto al Governo, in maniera se possibile ancora più strumentale e deludente: se il Premier dice "chiudiamo", l'Opposizione dice "bisogna aprire"; se il Premier dice "apriamo", l'Opposizione dice "bisogna chiudere"; e via dicendo.

Le Forze Politiche sono strenuamente impegnate in una guerra di trincea, modificando mano a mano il proprio posizionamento in modo quasi impercettibile, con occhio attento soltanto ai sondaggi del giorno e agli umori del momento.

Il Sindacato conferma di avere perso qualsiasi autentico collegamento con il cuore del Paese ed ogni efficace spinta propulsiva, impegnandosi in battaglie di sconfortante retroguardia e dando vita ad iniziative altamente inopportune e intempestive.

Il Mondo della Cultura appare arido, prostrato, ripiegato e chiuso nel proprio particolare, concentrato sulla apertura o sulla chiusura di musei, librerie, cinema e teatri, preso a sollecitare prebende, aiuti e ristori, senza la forza di offrire alla comunità idee alte e visioni altre.

Le Imprese guardano al momento, difendono la propria esistenza, si industriano nel trovare il modo di resistere alla tempesta; nei casi migliori pensano a come sfruttare le opportunità offerte dagli stravolgimenti in atto, ma senza una progettualità originale e avanzata per il futuro.

Davvero il panorama è sconsolante.

Ove volessimo trovare un'idea generale, un concetto di sintesi, potremmo dire che tutti navighiamo a vista, presi in operazioni di piccolo cabotaggio, senza visioni di largo raggio e ambizioni di ampio respiro.

Si afferma l'inevitabilità del cambiamento, si riconosce l'inderogabilità dell'innovazione, ma poi non si propone nulla di nuovo, si pensa solo al quotidiano e ci si confina nel proprio orticello.

Sarebbe davvero urgente e necessario che il Paese trovasse uno dei suoi inaspettati colpi di coda, che a sorpresa tirasse fuori dal cilindro slancio, fantasia e coraggio.

Ci vorrebbe un Pablito ...

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