
COMBATTIMENTO E
POESIA
COMBATTIMENTO E POESIA
di Massimo Mori

Il senso della vita
si compendia nella lotta.
Karl Marx. 'Il Capitale'.
Alle donne che lottano
agli uomini di pace.
Le mie riflessioni non recensiscono tre recenti pubblicazioni che mi attraversano cuore e mente, ma mi riguardano nelle modalità del 'praticare' la poesia nell'accezione generale del fare creativo. Pensando al 'combattimento' non mi riferisco alla poesia epica di gesta eroiche e guerreggianti, ma alla sua propria energia, potenza e forza nel confronto contrastivo. La 'poesia in azione' trova qui il suo campo e canto di battaglia, che non è la guerra del poeta soldato, ma quello della lotta del militante della poesia intesa anche come forma di critica.
Le riflessioni emergono dalle potenzialità virali della parola e della lingua nella poesia e nella stessa narrazione. Evito accuratamente di porre attenzione alla l'infodemia, al venefico impiego informazionale della parola e della lingua (qui sì ci vorrebbero oltre la mascherina ed i guanti, i tappi nelle orecchie e la benda sugli occhi) nella comunicazione mediatica, commerciale, pubblicitaria, politica ecc. Comunicazione che si accumula nella discarica disinformatica del condizionamento sociale. Da tale accumulo affiorano attualmente con maleolente effluvio: 'cambio di passo', 'webinar', 'resilienza', 'nuovo paradigma', 'cronoprogramma' e, appunto, 'virale'. Ahimè, si dovrebbe fare almeno una raccolta differenziata delle parole e delle poetiche stantie e delle pagine patogene prima di indirizzarle ad un termovalorizzatore.
La prima delle tre pubblicazioni sopra richiamate è Opera di Adriano Spatola a cura di Giovanni Fontana (dia-foria, 2020). Ponderosa e irrinunciabile raccolta, corredata da DVD, di tutta la produzione del mitico poeta sperimentale, estraneo ad ogni compromesso, che ha fratto lo status quo scritturale ed esecutivo della poesia contemporanea. Maestro della poesia totale generatore d'una galassia multi ed intermediale di produzione poetica.
La seconda pubblicazione, di Ilenia Appicciafuoco, è Nei Sentieri Della Linguavirus (Novecento, Roma, 2019). Saggio sull'opera poetica di Marco Palladini, autore tra i più prestigiosi e poliedrici della scena contemporanea, molto attivo nel panorama riguardante poesia, performance, teatro e critica militante, nonché già direttore della straordinaria rivista Le reti di Dedalus ed ora de L'Age d'Or.
La terza pubblicazione è il numero 72 della rivista il verri sul tema La poesia fa male (2020) in riferimento alle due distinte poesie di Nanni Balestrini La poesia fa male e La poesia fa bene e alle conseguenti considerazioni generative di Paolo Fabbri sulla forza del linguaggio poetico. Tra il bene e il male si giocano le duali contrapposizioni alla base dell'energia e della forza di ogni espressione poetica ed artistica, e nella loro efficacia di incidere sia nella sfera delle emozioni affettive che in quella delle relazioni effettive interindividuali e sociali.
Cercherò di mescidare le considerazioni sulle tre pubblicazioni percorrendo il filo che vedo collegarle. Visione condizionata dalle personali vicissitudini intrecciate di praticante d'arte marziale orientale, di poesia intermediale e di medicina, confluenti in una visione poematica olistica riferibile al principio Tai Chi dello Yin-Yang e del Tao-Jia. Visione che ho estesamente tratteggiato in 'Poematica del Principio Tai Chi' (Clichy, 2020). L'emozione - emo agere - che anima questo articolo è innescata dall'aver condiviso eventi di poesia in azione con Adriano Spatola nell'ultimo decennio della sua presenza, e molti altri eventi con Giovanni Fontana e Marco Palladini. Con gli amici de il verri l'innesco non è solo al recente numero citato, ma anche al saggio di Edi Bacciotti Performare l'esistere ivi pubblicato nel numero 49 del 2012 (saggio che qui non v'è spazio per commentare).
Inizio dalla medicina dove è abbastanza agevole distinguere il bene dal male riferendoli al dolore e alla malattia o allo star bene e in salute. Se nello star male comprendiamo anche il disagio mentale e sentimentale - Il male di vivere di Montale -, entriamo nel poetico-psicologico Bosco dell'essere (2000) di Stefano Lanuzza, bosco dove tanti poeti hanno abitato e sofferto.
L'Organizzazione Mondiale della Sanità saggiamente definisce la 'salute' comprensiva non solo di uno stato psicofisico individuale, ma anche della relazione e della condizione sociale. Nel rapporto tra individuo e società si compone il fluido profilo di ciò che si ritiene 'normale'. Non solo in riferimento a parametri fisiologici ma anche alla zona d'ombra dove sfumano le distinzioni tra il normale e il patologico, tra un albero e l'altro del Bosco dove ogni ramo è diverso.
Un testo classico degli studi medici di Kӧhler-Zimmer titola I limiti del normale e l'inizio del patologico nell'indagine radiologica. Limiti d'un equilibrio instabile della mente di cui filosofia, scienza, psicologia, metafisica e scienze umane si sono ampiamente occupate spingendosi in territori lontani dalla visione riduzionista della costituzione umana, giungendo ad una visione olistica dove corpo-mente e spirito sono indissolubilmente collegati e la composizione dell'essere si realizza nella conformazione risultante di energia-struttura-informazione. La prima di queste è rappresentativa del campo magnetico universale, la seconda di quello morfogenetico e la terza di quello relazionale, campi tra lori connessi ed interdipendenti dai quali sviluppano con l'evoluzione la coscienza e la consapevolezza, non risultanti né riconducibili ad una semplice sommatoria organicista dei singoli componenti.
Il filo parte dalla opportunità sia del male che del bene, del contrasto e della lotta, del poetico e dell'impoetico, del bello e del brutto ecc. Queste ed altre categorie oppositive sono estranee ad una distinzione morale, ma semmai conseguenti ad una scelta etica, e comunque la 'poesia' è estranea ad un giudizio morale o etico ed è riferibile, come definito nel 1920 da Thomas Stearns Eliot in The sacred wood (il bosco sopra richiamato) ad un 'correlativo oggettivo'. Ossia ad una possibile soggettiva attribuzione poetica ad ogni oggetto, azione od evento e, contemporaneamente, ad una loro intrinseca qualità.
Pertanto, in modo sintetico, una 'cosa' esiste non solo 'in sé' ma anche 'in me' ed è nella fenomenologia della relazione il considerarla in un modo o nell'altro. In questa relazione si esprime l'ineluttabile pulsione alla 'narrazione' e la poesia può fare bene o far male e si riconosce al linguaggio poetico che la esprime una forza potenzialmente contrastiva.
Si impone una generalizzazione di ciò che si intende per bene o male tenendo conto che in una direzione di relazione contrappositiva (Yin-Yang) ciò che è bene per alcuni, è male per altri e che può esser dolce naufragar in questo mare (Leopardi). Ma nel periodo degli 'Stati Combattenti' - o nel ritrovarsi sotto il bombardamento in guerra, o in una violenta aggressione personale, o nella destruente infezione virale - non v'è la dolcezza del naufragio.... Lao Zi, ritirandosi in montagna col suo bufalo, ripudia la guerra e la violenza, ed indica nel Tao Te Ching la necessità di un'armonia degli opposti: similmente la legge Wu Xing dei cinque elementi nella filosofia e fisiologia taoiste, mostra la convivente alternanza di creazione e distruzione, di ordine e caos, di bene e male.
Il libro di Ilenia Appicciafuoco sulla poesia di Palladini, prefato da Simona Cigliana, ci ricorda il grande Giorgio Manganelli che diceva 'Un libro deve infettare'. In un periodo funestamente pandemico è opportuno porre l'attenzione sul campo in cui l'infezione di un libro o di una poesia può incidere e fare male, com'è il titolo de il verri, e d'altra parte far bene nell'ambito medico della Medicina Narrativa, già standardizzata. È importante, ma qui non analizzabile, quanto fatto e scritto da Giovanni Fontana sulla 'poesia epigenetica', riconoscendo a questa un potere 'salvifico', incidente anche nella semiotica di un codice genetico.
In una condizione duramente contrastiva quali sono le motivazioni, le modalità e le finalità di una poesia in azione? Si è già osservato che il contrasto è alla base dell'esistere, così come la presenza di virus malefici o benefici al nostro stesso vivere. In una condizione di 'normalità' - come range di sopportabilità tra bene e male - le primarie motivazioni alla lotta sono il benessere personale e la responsabilità di specie. Se il male peggiore sono la violenza e la guerra guerreggiata dobbiamo distinguere tra contrasto e conflitto. Il primo è generativo e contributivo della stessa opposizione, il secondo è distruttivo ed elide la stessa necessità del male, cioè di quel che lo contrasta. Dobbiamo coltivare il contrasto ed evitare il conflitto. È esemplificativo il film La via lattea del grande regista Luis Buñuel (1969) dove due prelati si sfidano a fil di spada e la vittoria armata sancisce la verità teologica del vincitore. Si tornerebbe all'ordalia che impone purtroppo la verità dei vincitori con l'uso della spada; ma l'arma del poeta è nelle sue parole, nel suo linguaggio anche critico che sopravvive all'impego della violenza e della sopraffazione. La lotta del poeta non è il ribellismo del casseur, del picchiatore squadrista di qualunque colore ideologico pronto ad intervenire purché ci siano teste da spaccare, fosse anche ai bordi d'una partita di calcio... Il rifiuto della violenza e della guerra non è, insomma, in discussione.
Nella socialità la peggior devianza dalla virtù è rappresentata dal conflitto armato, già condannato da Lao Zi perché "...guerra alla guerra è la guerra da fare" scrive Sanguineti (Ballata della Guerra, 1982); e questo 'fare' non è un'azione violenta.
Le arti marziali, se sono arti e non tecniche, preservano la pace. Coerentemente il maestro giapponese di Aikido Morihei Ueshiba non aveva condiviso la scelta del Giappone belligerante; in tal modo si era espresso anche il maestro Makiguchi. In L'arte della guerra (VI-V secolo a.C.) Sun Zi ha scritto: "L'arte si esprime al suo più alto grado nel vincere una guerra senza fare una guerra, senza spargimento di sangue". L'altro più noto testo sull'argomento è, trascorsi i secoli, di Carl Von Clausewitz: Della Guerra (1832); dove resta famosa la frase "La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi". L'asserzione del generale prussiano porterebbe a considerare la tortura la prosecuzione d'un interrogatorio con altri mezzi, o la schiavitù un diverso rapporto lavorativo, o la lotta poetica come diritto ad imporre l'obbligo di imparare a memoria le poesie del condottiero.
Se la 'poesia in azione' deve giustamente far male all'opponente, il suo campo d'azione è nell'esercizio critico: in questo esercizio la poesia che 'fa male' è salvifica, mentre è male la brutta poesia. Qui si aprirebbe un vasto e interessante ventaglio contrastivo che va dal Cantico delle creature a Cecco Angiolieri, alla Ballata degli impiccati di François Villon. È partendo da quest'ultimo che Chiara Portesine, nel richiamato numero de il verri, mette in chiaro come il combattimento della poesia debba svolgersi nell'ambito della critica e scrive "...lo spettro della militanza, insomma, dovrebbe tornare ad aggirarsi nei dipartimenti...per insegnare a mettere in discussione le categorie (e non le persone)...dovrebbe ritornare ad essere, per dirla con Sanguineti, la 'missione del critico' ". Le fa eco,nello stesso numero della rivista, Viola Amarelli (potenza di queste due donne e dei loro nomi) che a sua volta scrive: "Siamo quindi in una dimensione dinamica di 'battaglia' che tende a squarciare veli, strappare sipari...,dove il 'nemico' - un 'tu, voi' specchio del parlante 'io, noi' - incombe con la forza della sua presenza,..." e più oltre :"...siamo nella concretezza della prassi...perché il male va riconosciuto e affrontato e soprattutto - lavorando nel e con il linguaggio - va detto...anche quando, ed è il rischio di una forma nata guerriera, a sua volta ferisce come una lama a doppio taglio, con la cattiva retorica.". Opportuno mettere a confronto la 'lama a doppio taglio' con il film del regista Buñuel che abbiamo già incontrato, mentre per quanto riguarda il profilo della figura del 'nemico' è interessante lo scritto di Marco Venanzi, medico e maestro di arti marziali: "Il nemico originario di Indra è chiamato in sanscrito Vrtra, che significa essenzialmente 'potenza dell'impedimento' ... e per il suo solo esistere si oppone al flusso della Vita. 'L'inerzia è il nemico', ciò che rallenta e spegne il flusso della vita intesa nel senso più ampio, quel capitale di energia, vitalità e potenzialità di cui tutti gli esseri dispongono e che vorrebbe esprimersi pienamente e costantemente. Contro questo nemico universale, che vediamo riproporsi ovunque, a livello culturale, politico, spirituale, sociale, il guerriero prende posizione, dentro di sé innanzitutto, per sé e per risvegliare intorno a sé la volontà di difendere ciò che veramente ha valore' (in Inchiesta, n.196, 2017). Pertanto il poeta lotta contro la potenza dell'impedimento all'espressione e alla potenzialità di esprimersi pienamente.
Tornando alle prime righe di questo scritto: la poesia in azione trova il suo campo e canto di battaglia non nella guerra del poeta soldato, ma nella lotta del militante critico 'lavorando nel e con il linguaggio'; ed è Marco Palladini a disseminare la sua vasta multiforme operatività. Di questo autore rammento con stima e sintonia Autopia (1991) , Iperfetazioni (2009), È guasto il giorno (2015), e lo rivedo ed ascolto come grande performer in Litania per Emilio Villa, Poetry Music Machine e Trans Kerouac Road. In questa veloce rivisitazione, trovo a lui affiancabile con altri moduli espressivi d'una esplicita lotta poetica il sodale Lello Voce che porta nel cognome la cifra della sua importante presenza. Poi, andando indietro negli anni mi sovviene la rivista "Lotta Poetica" di Sarenco, dove l'opposizione combattiva derivava in gran parte dalla dimensione caratteriale.
Il potere della parola - enfatizzato dal silenzio nell'oralità e dai risguardi bianchi nella pagina scritta - è ben conosciuto e dovrebbe essere impiegato con cautela, ho già scritto della potenzialità pervasiva nel respiro della poesia. La parola e la poesia nascono dal ritmo del respiro e "I can't breathe" rantola l'uomo a cui si soffoca questa potenzialità e 'non respiro' sospira l'infetto dal virus ai suoi soccorritori.
Alla fine è il linguaggio a vivere e vincere nelle parole 'Black lives matter' che attraversano e cambiano i comportamenti umani in tutto il globo, ed è la conoscenza medico scientifica a combattere l'invasione pandemica. I virus da sempre convivono con noi e possono essere benefici e malefici, comunque indispensabili e non razzisti. Sono un''informazione' che altera la funzione cellulare. La cellula, nelle sue organizzazioni, specializzazioni e replicazioni è alla base degli organi degli esseri viventi. La medicina quantistica ed olistica hanno già chiarito i rapporti e la natura di questi componenti. Nella dimensione poetica - mentre il virus è vitale o mortale - l'informazione è comunque formativa. D'altra parte, le proprietà intellettuali del sapiens sono espressione d'una natura ondulatoria, vibrazionale, armonica, alterna e contrastiva: come il respiro. Da questo deriva la possibilità dell'uomo di esprimere, a livello superiore, la parola alla base dell' 'informazione'.
Le righe seguenti mi sono ispirate dalla conoscenza di Giovanni Fontana, maestro di poesia sonora con il suo impareggiabile libro La voce in movimento (2003), primo prosecutore e curatore di Opera di Spatola. Con la fonazione si attua l'oralità e quando questa diviene connotativa si esprime uno stato d'animo, una parola poetica. Nell'oralità e nella scrittura il 'fonema' e il 'grafema' rappresentano i mattoni (le cellule) significanti della comunicazione linguistica, La poesia si manifesta prima nella dimensione vocale, e poi in quella scritturale. Il fonema alla base della vocalizzazione si pone come valore prelogico e precategoriale della parola, estrinsecazione dell'unità percettiva esterna e propriocettiva interna alla base della biosemia dell' 'io', ed anche come fonazione prodromica all'espressione del 'sé'.
Non intendo proporre, contro una parola virale o patogena, un banale vitalismo, ma la vita è luogo a procedere e Valéry e Bergson esaltano l' élan vital, lo slancio vitale mentre all'inferno può essere sufficiente rimanervi una stagione non l'intera esistenza (Rimbaud). La trasgressione appare salvifica solo nella giovinezza, come il morbillo, la varicella, la scarlattina ecc.; o come la malattia infantile dell'estremismo.
Se non si intende proporre la poetica d'una vitalità da fitness, nel taoismo a cui sono prossimo non ha senso una contrapposizione tra benessere e malessere, e nemmeno tra morte e vita, ma conta la modalità trasformativa di gestire i due ambiti strettamente intrecciati nell'alternante facoltà della 'procedente' natura tra virus benefici o meno. "L'uomo libero a nessuna cosa pensa meno che alla morte: e la sua saggezza è una meditazione della vita, non della morte" chiosa Baruch Spinoza. Nel poetico film di Steven Fisher 'Stand Up Guys' (2012) Al Pacino, alla sepoltura d'un compagno di crimini, commenta "Dicono che si muore due volte, quando il respiro lascia il nostro corpo e quando una persona pronuncia per l'ultima volta il nostro nome. Poi la nostra vita sarà dimenticata come quella di tutti gli altri poveri coglioni che hanno avuto la gloria di vivere". Possiamo essere coglioni, ma ha un valore questa 'gloria'; qualcuno la chiama 'grazia': e qui la invoco 'poetica' per una vita non 'disgraziata' come quella del personaggio del film, che avrebbe dovuto essere un po'-etica.
La poesia, anche quella sperimentale, deve superare la fase della pura, dura e virale negazione (o della fuga solo parzialmente liberatoria verso pratiche ludiche), per ridivenire propositiva, anche con modalità eversive fino ad una 'scrittura in guerra', come, per esempio, quella di Mario Lunetta. Si deve ritessere una connessione forte, una produzione e rappresentazione di senso tra il presente e la storia, tra progetto, immaginazione e pandemico timore, anche se 'Il mondo è spietato e la vita non è elegante' (Palladini) e il Tao Te Ching, Classico della Via e della Virtù 'recita 'la natura tratta gli uomini come cani di paglia'. Le occupazioni performative consce di se stesse, sostengono anche da sole l'opportunità e la poematica del vivere nello scenario del mondo. Qui si favoriscono infezioni poetiche rafforzanti la difesa immunitaria e si evitano infezioni letali. In ogni caso ci occupiamo della modalità di 'andare' della allure, e non ci preoccupiamo della fine della strada: questa arriva da sola. Occuparsi e non preoccuparsi è una modalità da seguire, anche portando la mascherina che, se non altro, dovrebbe limitare il parlarne fino all'estinzione, come fanno virologi e politici. Chiosa Stefano Lanuzza, nella esemplare recensione al libro Linguavirus sulla militanza 'poietica' di Marco Palladini, che la sua è invece "...una linguavirus votata, proprio tecnicamente, a intridere demistificare destabilizzare, ma poi anche 'sanificare' in modi omeopatici l'intero discorso della poesia italiana novecentesca...".
Il contenuto filosofico del citato Tao Te Ching si polarizza sui due concetti di 'via' e 'virtù'. Del resto, fuori dal moralismo, la virtù allusa non sarà mai virtuosa, tanto meno virtuosistica, e conterrà sempre un po' del suo opposto. Lungo la via si fa collana di perle con i sassi che feriscono il piede, ma si evita l'abisso. L'attrazione di questo è smisurata, senza fondo: per non precipitare siamo aggrappati al bordo della poematica fluttuante dell'esistere. Così la poesia, ai suoi estremi, può essere strappata alla vita e anche alla morte, una vera 'poesia a strappo'.
Se per creare una stella danzante bisogna avere dentro di sé il caos (Nietzsche), è opportuno che essa stia lontana da un buco nero, e la poesia da un buco in vena. Né il senso del vivere è delegabile unicamente ad un aldilà. Di converso, quando la condizione dell'esistere supera i dolorosi limiti d'una irrimediabile tragedia, anche la stella può spegnersi e prevale il valore di sorella morte, anche ricercata. Il grande poeta Li Sao, di cui in Cina si celebra annualmente l'anniversario, prima di andare a scomparire nel fiume privilegiando i pesci agli uomini scriveva "Nessuno, ormai, con cui condividere bellezza e buon governo! Seguiterò dunque per la dimora di Peng Xian". Faceva così eco, senza saperlo, al Critone di Platone che riporta (nella traduzione di Manara Valgimigli) "Se non che, vedi un po' tu se proprio è il vivere che importa, o non più tosto e solo il vivere secondo verità e giustizia'. Così può essere grande anche la poesia che fa male a se stessi e giunge al silenzio.
Considerando nuovamente la prima pubblicazione citata come innesco a queste riflessioni: Opera di Adriano Spatola, mi viene da pensare in modo plausibile come il suo uscire dalla redazione di Quindici e andarsene da Roma a Mulino di Bazzano, sia stato anche un allontanarsi dalla politica degli anni di piombo per la poietica che sposta il conflitto distruttivo sul piano del contrasto generativo, senza compromessi. Non abbandonando la lotta ma ponendola nella poesia in azione: sonora, visiva, performativa, nella critica poetica "lavorando nel e con il linguaggio" ( come riportato sopra da Chiara Amarelli). Anzi lavorando con tutti i linguaggi comunicativi fino alla intermedialità, senza tornare a farsi seghe con il poetese, come recita la bella poesia di Carmine Lubrano nel numero de il verri ricordando anche le parole di Guccini.
L' Opera di Spatola vale soprattutto per la sua 'operatività' che era 'tradizione' delle avanguardie riferibile a quella 'tradizione del nuovo' teorizzata da Luciano Anceschi (fondatore de il verri) di cui Adriano era stato ammirato allievo nel decennio in cui a Bologna si apriva il D.a.m.s. Questa tradizione del nuovo partiva dalle avanguardie storiche. Sommariamente: nella musica dalla melodia al Rumorismo, al Concretismo, al Minimalismo, alle sonorità elettroniche, come rispettivamente in Russolo, Cage, Webern, Grossi; nel teatro dal copione alla centralità semantica del corpo, come in Beckett o Ionesco o Kantor; nella pittura dal ritrattismo all'astrattismo con Cubisti, Futuristi e Dadaisti; nella narrativa e nella poesia dal testo significante alla sperimentazione linguistica 'lineare', come in Joyce o nel 'verso libero' di Lucini, o nelle 'parole in libertà' di Marinetti. Tutte forme di lotta poetica. L'orizzonte delle avanguardie diviene l'inesauribile ed inesausta 'poesia totale' ed è sempre, nell'andare oltre, un "Nuovo Orizzonte"; nome della scuola di Tai Chi che ho aperto a Firenze nel 1996 dopo l'esperienza di Ottovolante, circuito di produzione di poesia. Scuola di Tai Chi che è il principio superiore olistico, o trave maestra, di cui il Tai Chi Chuan è solo la declinazione marziale.
Se penso d'istinto ad alcuni personaggi che mi sono stati di riferimento nella lotta poetica oltre Spatola, anche se non più presenti ma a me contemporanei, mi compaiono davanti: Edoardo Sanguineti, Eugenio Miccini, Carmelo Bene, Dario Fo e Arrigo Lora Totino. Se la lotta diviene rivoluzione, Deleuze afferma che le rivoluzioni sono sempre state perdenti. Ciò può tornare per la lotta politica, o armata, ma la lotta poetica seppure perdente non è mai sconfitta perché nel suo campo d'azione modifica i segni, i segnali, i simboli e i codici espressivi che dopo di lei persisteranno, condivisi o meno.
Per comprendere l'Opera di Spatola è irrinunciabile il saggio introduttivo di Giovanni Fontana che ne ripercorre in modo protocollare la vita e la produzione multiforme. Ma soprattutto Fontana è impareggiabile nel mostrarne le motivazioni, le modalità e gli esiti, anche aperti a tutti coloro che praticano la multimedialità, l'intermedialità e l'intermodalità. È illuminante quanto egli scrive al termine del suo saggio "A trent'anni dalla scomparsa di Adriano Spatola tante conquiste di allora sono state ormai acquisite... .ma la lezione di Spatola ci mette in guardia e ci indica che le strade percorribili ancora oggi sono quelle caratterizzate dal forte atteggiamento critico, quelle che...garantiscano sempre un'alternativa al sistema linguistico istituzionale, nel senso che sappiano costruire il linguaggio, così come diceva Max Bense 'scrivere significa costruire il linguaggio, non spiegarlo' ". Andando dal termine del saggio alla quarta di copertina del libro Opera, brilla la stella della A della firma di Adriano, alla quale Alfabeta (tra i cui redattori erano anche Balestrini e Sanguineti) dedicava alla sua scomparsa una pagina verbovisiva che avevo preparato.
La poesia come tecnica di lotta, è una rivolta sistemica e semiotica contro tutte le forme e le istituzioni che si reggono su formalizzazioni autoreferenziali del proprio sistema di controllo, di potere politico, economico, informazionale, culturale, artistico. Ma il poeta, nell'oscurità del suo daimon, è coerentemente in critica con se stesso, una lotta al suo interno dove coesistono Yin e Yang che aspirano, nel contrasto, ad un dinamico equilibrio armonico, sempre da ricercare, sempre irraggiungibile. Pertanto accomiatandomi, posto qui una foto della performance 'Combattimento con l'ombra', nominazione attribuita all'arte marziale del Tai Chi Chuan che coltivo tra natura e cultura.

Massimo Mori nella performance 'Combattimento con l'ombra'. Mulino di Bazzano.
Festival 'Gli anni del Mulino' a cura di Daniela Rossi, settembre 2008, foto di Licia Ianniello.