
SPECIALE 100 ANNI DI PCI
ALLA RICERCA DEL PCI PERDUTO.
PER CHI 'SI' RI-SCRIVE...
di Antonino Contiliano

"Stelle" di Franco Angeli, 1961
Sono come le parole nel pozzo della Sibilla cumana o le altre, quelle sparse al vento, come le foglie che, da noi, d'autunno cadono dai rami addormentati e depositano i colori fluenti sulla terra. Spesso è il vento di scirocco o di tramontana con gli altri odori della rosa dei venti che, incrociando sul mare di Capo Boeo la corrente del golfo, ondeggia a zonzo la memoria culturale dell'"io noi" come un attrattore proprio alla farfalla di Lorenz. Non saprei, poi, per quanto Proust e Sartre potrebbero condividere queste oscillazioni che rizomano i suoi depositi adulti. Il battito delle ali o il pulsare della tempesta magnetica, infatti, ora è all'Ottobre Rosso del 1917 che 'si' vola e alla quarantena dei bianchi, ora alla Lunga Marcia del Fiume Giallo, ora al Maggio delle rivolte giovanili, ora alla guerra in Vietnam, o Portella della Ginestra, ora all'eccidio di Avola, ora a Nelson Mandela, ora alla rivoluzione cubana, a Castro e Che Guevara, ora agli sbarchi clandestini e migranti, ora agli undici articoli fondamentali della Costituzione repubblicana italiana, ora alle carte e ai trattati dell'Eu e al mondo dei mercati liberisti e dei flussi elettronici globali con gli annessi e i connessi delle discriminazioni e sfruttamenti a vario titolo consumati. Non saprei come il nome di Proust e Sartre, in tutto questo c'entrino, ma è pur vero che ci sono; e ci sono come gli stessi sogni che si fanno e che nessuno sa come e quando si rendono presente e agitano il sonno come un'altra vita che non sopporta i blocchi stradali e le maschere della pandemia. Atene "è aperta ed è per questo che noi non cacciamo mai uno straniero" (Pericle). Ed è per questo che all'ombra delle parole in fiore e del perché e del per chi scrivere è voyage:

Ventun anni ci separano dalla
nascita del PCI (1921). Nascemmo nell'anno del Signore 1942. Infuriava la
guerra, la seconda grande guerra mondiale. L'anno in cui ancora in nome di Dio
(io non sono un credente...) si guerreggiava, si ammazzava, si distruggeva ogni
cosa e chiunque non avesse l'idea di libertà e di un'umanità di appartenenza al
sistema d'ordine. E oggi, di classe senza classe e classi, la guerra non ha
fine. Mia madre - raccontava - che appena l'allarme annunciava l'arrivo dei
bombardieri, nascondeva il neonato (io) sotto lo "fonnu di càscia" del
carretto. Un tavolato che per l'occasione funzionava da scudo. La mia famiglia
apparteneva al mondo agricolo e dei feudi dell'aristocrazia nobiliare del luogo.
Del PCI e dei comunisti ebbi il nome quando, ancor negli anni Cinquanta del XX
secolo, ero lo scolaro che frequentava le scuole elementari della contrada che
mi abitava. E fu quando la lettura (che
ancor non m'abbandona) aprì quella sigla (PCI) che cominciò a parlarmi il
significato di ogni singola parola e dell'aggregato intero.
Prima era l'ascolto dei vecchi, raccolti attorno a un tavolo nudo, e sotto un secchio di carbone ardente, che transitava la voce del "comunismo" per dirmi delle sue ragioni e del futuro come un comune bene comune. Altre volte era nel salone del barbiere, che funzionava anche come salotto e sala da gioco, come anche nella casa del "partito", che la sua voce mi colpiva sparandomi nel cervello le scintille contro la miseria dei contadini, dei non contadini, dei vecchi e delle vecchie ... di tutto un modo che aspettava un mondo migliore. Ora di quel migliore, di certo so che non era un eden. Almeno però si lavorava e si pensava per una comunità di viventi dove i comunisti non mangiassero (favole da preti e funghi velenosi prataioli!) i bambini e i "cristiani" dello scudo crociato, o i senza croci ... Un mondo intero incrociato di identità diverse, e per questo vivo. Un mondo prospero come quello del mago "Prospero" de "La Tempesta" di Shakespeare, o dei confini senza frontiere e muri d'esclusione. Un infinito vivere-con non diviso in ricchi e poveri, armati e disarmati, buoni e cattivi, sapienti e ignoranti, civili e incivili, proprietari e non proprietari, nobili e plebei, signori e canaglie, guerre umanitarie e sanitarie, guerre del bene contro il male, securitarie e guerre pandemiche asimmetriche...

Franco Angeli, "Cor teo", 1968 (Museo d'Arte Moderna di Bologna)
Così gli anni che mi restano e il tempo che mi resta, e non nostalgicamente per i modelli andati in disuso e discarica, sono sempre nel sogno del "comune" comunista del PCI; un nuovo possibile "RIS" (Reale, Immaginario, Simbolico) conflittuale/antagonista, parola insepolta (conscia e pulsionale) cui volgere il de-siderio del 'si' qui e non-qui:

Dall'ieri interclassista, all'oggi della fabbrica del
cognitivo o dell'immateriale (uniforme-informatizzato e de-sensorializzato), l'accumulazione
e il dominio capitalistici non hanno affatto cambiato natura. La legge del
"valore" misura ancora la quantità e la qualità dell'appropriazione e dello
sfruttamento; è ancora lì dove il profitto diretto e la rendita
parassitario-finanziaria e borsistica sono prelevati facendo ancora, nel
globale e locale, convivere il vecchio e il nuovo modo di produzione e
riproduzione sociale. La sussunzione sotto il "comunismo del capitale" non ama
né conflitti né antagonismi né critica alcuna; è tale che la stessa creatività
artistico-po(i)etica dei soggetti viene stimolata come responsabilità sociale
finalizzata all'ordine esistente, e a far funzionare ininterrottamente la
macchina dello sfruttamento e dell'assoggettamento. Ma c'è ancora spazio, ne
siamo certi, per una cultura del dissenso e dell'alternativa non funzionale al
mercato e al profitto dei pochi padroni del mondo. Nessuna società della
trasparenza, delle moderne chirurgie estetiche del corpo e dello spirito o del
controllo delle neuro-etiche del padrone può mettere a tacere o impedirne
l'azione di distanza e rottura. La fabbrica turbo-liquido-capitalistica della
cultura e del sociale postmoderna non è impermeabile né alle sue stesse crisi
interne né tanto meno ai sabotaggi del conflitto degli alieni e dell'alieno. "Le
cose sono senza speranza ma bisogna essere decisi a cambiarle" (F. S. Fitzgeral). Possiamo ancora lavare le città del mondo:
