Per la Critica
BENTORNATO MISTER MARX
di Francesco Muzzioli
Che ne è di Marx nel consumismo? E che ne è di Marx senza comunismo? In occasione dell'anno bicentenario della nascita e in corrispondenza del risultato elettorale peggiore di sempre per la sinistra, torniamo a porci questi interrogativi sulla scorta di alcuni libri arrivati di recente.
In un romanzo spagnolo di un po' di anni fa (La saga de los Marx, diventato in italiano Karl Marx Show) Juan Goytisolo rimetteva Karl Marx al centro dell'obiettivo, non senza problematizzarlo e con una ingente dose di ironia, anche a causa delle libertà narrative prese - Marx è rivisitato nelle sue contraddizioni storiche (e anche biografiche), e nello stesso tempo interviene direttamente nel dibattito e fin dall'inizio si proietta nel mondo di oggi, tanto che assiste in TV allo sbarco degli albanesi a Bari. Alla fine, dopo aver superato le lamentele dell'editore che vorrebbe un biopic come si deve («Fatti! Fatti!» sbotta infuriato di fronte agli eccessivi sperimentalismi stilistici e all'anarchia del racconto), il narratore deve riconoscere che, proprio nel momento in cui il suo mito è crollato con i muri dell'Est, il mondo che ne deriva ha un assoluto bisogno di lui: a quel punto
i soprusi e i crimini del suo sistema sono passati in secondo piano, nella tua coscienza, rispetto alla successione di disastri di un mondo sottomesso alla legge del monetarismo a oltranza, i continenti sprofondati in un'irrimediabile miseria, la devastazione planetaria, xenofobia, razzismo, mafie eurobancarie, pulizie etniche, universale pianificazione orwelliana, tutto questo ti sembra più urgente! come convincere quella dotta assemblea che, proprio nel momento in cui venivano abbattute le statue e bruciate le effigi di Moro da Vladivostok a Tirana, l'iniquità del nuovo mondo configurato dai teorici della libera impresa convalidava paradossalmente le sue denunce e le sue diatribe incendiarie?
Insomma, che ne è di Marx nel consumismo? E che ne è di Marx senza comunismo? In occasione dell'anno bicentenario della nascita e in corrispondenza del risultato elettorale peggiore di sempre per la sinistra, torniamo a porci questi interrogativi sulla scorta di alcuni libri arrivati di recente.
Cominciamo con il volume collettivo Marx e la crisi (derivato da un precedente convegno, ora edito da Quodlibet) per la cura di Mauro Ponzi. Si tratta di ripensare Marx senza sconti e ormai al di là dei vecchi dogmatismi: il fallimento del marxismo ufficiale significa infatti, contemporaneamente, la liberazione di Marx, il suo "scongelamento". «Liberato dalla politica spicciola e dalla cronaca», scrive Ponzi nell'introduzione, Marx può tornare ad essere l'utile interlocutore di un pensiero che non voglia arrendersi all'appiattimento dominante:
È necessario "salvare" Marx da una interpretazione strumentale del nuovo capitalismo e ricondurre il suo pensiero sul terreno filosofico, "ripensarlo" e liberarlo dalle sue interpretazioni tendenziose (quali la utilizzazione strumentale dello stalinismo) e da altre contaminazioni. In questo modo affiora il carattere "filosofico" del suo pensiero, nella complessità delle sue fonti e attraverso le numerose - e talvolta tra loro in contraddizione - filiazioni filosofiche, le più prossime e le più indirette, che nel corso del tempo le diverse interpretazioni hanno individuato e dispiegato. Ma questo "ripensare Marx" fa affiorare lo stretto legame tra teoria e prassi che caratterizza il suo pensiero e soprattutto la convinzione - filosofica e insieme politica - che la realtà può essere cambiata dall'azione dell'uomo.
Non si tratta, ovviamente, di accettarlo in blocco o di citarlo come vangelo, né di dispensare "patenti", come accadeva quando era diventato una dottrina. Occorre riconsiderare le sue profezie errate, tanto il suo «ottimismo rivoluzionario» (per dirla con Rockmore, autore di uno degli interventi più critici) è ormai palesemente smentito dai fatti. Non a caso, la parte più vivace del libro è la terza sezione, Oltre Marx, dedicata agli eretici, alle contaminazioni e interferenze (vi spiccano le figure di Benjamin ieri, e di Žižek oggi). Dunque: la crisi nel pensiero di Marx e nello stesso tempo Marx e la crisi attuale del capitalismo; su questo si svolge un dibattito problematico e aperto (oltre al citato Rockmore, si vedano gli interventi di Finelli, Gentili, Giacché, Tomba e dello stesso Ponzi). La questione è che oggi la crisi è diventata talmente strutturale da apparire il miglior modo di sopravvivenza del capitalismo, sì da non sembrare mai essere definitiva: nello stesso tempo però non mostra vie d'uscita, la famosa "luce in fondo al tunnel" risultando una pia illusione, la "ripresa" ridotta a ininfluente "ripresina". Sicché, nel finale di vari interventi, la riapertura di «percorsi alternativi» (Tomba) o il «rilancio dell'obiettivo del socialismo» (Giacché) con tutte le cautele del caso non sono poi così vanamente utopici come potrebbero sembrare.
Il libro contiene molti spunti stimolanti, dalle astrazioni reali di Elettra Stimilli, al duplice carattere del lavoro in Marx nel contributo di Feldner e Vighi. In questa sede, prendendo spunto in particolare dall'intervento di Roberto Finelli, proverei a schematizzare in tre punti un possibile ordine del giorno:
1) il ripensamento del soggetto che, a partire dal Capitale va inteso in senso «neutro e impersonale», "anantropomorfo"; da cui l'«abbandono di una visione della storia basata sul soggetto forte e su un fine ultimo» (così Vinci nella sua rilettura di Benjamin). Insomma, il comunismo, anche se fosse realizzabile, non potrebbe mai essere un paradiso terrestre per l'eternità. E: non serve affidare al proletariato o ad altri subalterni una missione liberatoria: se non ci salviamo da soli nessuno verrà a salvarci.
2) liberarsi del postmoderno che troppo a lungo ha pesato con la sua presunta "novità epocale" (non mitigata neppure dall'analisi marxista che ne ha fatto Jameson). Partiamo piuttosto dal «compimento del moderno», l'ipermoderno (Finelli).
3) Occorre vedere - assumendo i migliori spunti marxiani - le «forme ibride» di sussunzione (Giacché) e la connessione tra produzione e comunicazione, ovvero la produzione del simbolico (Finelli: che vede su questo punto la necessità di cercare «in altri autori»).
La questione dell'immaginario, la questione della letteratura. E allora torniamo in Spagna per segnalare alcuni libri usciti da poco, ruotanti attorno alla figura di Juan Carlos Rodríguez, il teorico scomparso verso la fine del 2016, che ho già ricordato in questo sito. Si tratta dei suoi ultimi libri, quello sul tango (Entre el bolero y el tango) e una raccolta di interviste (Pensar la literatura) pubblicati dalla Asociación ICILE di Granada; e un numero a lui interamente dedicato della rivista "Pensar desde abajo", intitolato El inconsciente de la libertad, contenente tra l'altro alcuni saggi inediti. Il nesso con la ripresa del discorso su Marx è evidente a chi conosca anche solo poco la posizione di Rodríguez. Come scrive Manuel Del Pino - direttore della rivista sopra citata - «non si può capire Juan Carlos Rodríguez senza Marx»; e lo stesso Juan Carlos lo ribadisce a più riprese nelle interviste, costantemente lungo un arco cronologico che va dal 1971 ad oggi: «il marxismo è indubbiamente la mia vita». E così descrive l'essere marxista (vado a tradurre): «In teoria tutti siamo marxisti. Tutte le Scienze Sociali sono bene o male impregnate di marxismo. In pratica, un marxista è uno che si domanda come mai abbiamo creato una fortezza "bianca" in cui l'80% dell'umanità sta morendo di fame, in cui l'80% del pianeta sta rimanendo senza risorse». Questo nel 1995; e nel 2001: «continuo a essere marxista perché sono contro lo sfruttamento in tutti i sensi: delle donne, dei gay, dei neri e dei lavoratori».
Riassumendo molto, la glossa di Rodríguez al marxismo - passando attraverso il suo maestro Althusser - sta nell'aver messo a punto la nozione di ideologia: l'ideologia non è più considerata soltanto la consapevole visione del mondo, ma viene vista come "l'aria che respiriamo", la matrice inconscia delle azioni e delle configurazioni culturali nonché letterarie. Per ciascuna di esse si tratta allora di esplorare l'inconscio ideologico nella sua propria logica interna. Nasce così il libro sul tango e sul bolero, insolito per un professore di letteratura, che - come già il precedente densissimo libretto sulla moda - va a sfidare i Cultural Studies sul loro stesso terreno. Non limitandosi però a constatare le ragioni del fascino del popolare; nel saggio su Gramsci pubblicato da "Pensar desde abajo" (Gramsci y la cultura popular), diventa chiaro che il popolare deve essere scrutato nella sua valenza alternativa, per quanto deriva realmente "dal basso" e non "dall'alto" delle strategie di mercato: insomma, «Gramsci scrive sempre tenendo presente una doppia prospettiva: di quello che accade e di quello che dovrebbe accadere».
Come nella gran parte degli interventi del convegno italiano, anche per Rodríguez il nodo è il superamento della divisione classica base/sovrastruttura; secondo il teorico spagnolo bisogna ripartire dai capitoli del Capitale sulla differenza tra plusvalore assoluto e relativo, riflettendo sugli sviluppi del capitalismo e sul fatto che la forza lavoro che si vende è la vita intera, nel senso che produzione in senso stretto e riproduzione sociale sono una cosa sola, le due facce dello stesso sfruttamento (confronta nel volume collettivo, gli spunti su pluslavoro, plusvalore e plusgodere, le connessioni con Lacan e simili). L'identità stessa è un prodotto; parlando di Gramsci, Rodríguez ne ricorda il motto che "tutti siamo filosofi": «non che tutti siamo interpreti di Kant - è chiaro - ma nel senso di cercare di sciogliere la nostra vita ogni giorno dal "senso comune" che la impaccia», perché fare i conti con l'"io sono" ricevuto significa non altro che lottare «contro noi stessi». Ecco perché la letteratura: essa infatti è lo spazio emblematico di questa lotta con l'"io" per la sua liberazione e anche lo spazio in cui la teoria può dimostrarsi valida nella verifica concreta. La letteratura esiste «perché esiste la contraddizione», la contraddizione insita nel capitalismo che libera il soggetto perché sia libero di vendersi allo sfruttamento. Per far "esplodere" la contraddizione occorre considerarla in modo nuovo, con un «piensamento distinto» (una "rottura epistemologica", avrebbe detto Althusser). Questo cambio di problematica è quello che Marx ci aiuta a fare; epperò non è altro che l'inizio di nuovi e difficilissimi problemi. Qui «comincia il vuoto», avverte Rodríguez in una delle ultime interviste: tuttavia saperlo - e sapere che anche altri lo sanno - è già un punto di partenza.