
BACHECA DELLE APPARIZIONI
di Mario Lunetta
Solo per chi non ha più speranza
ci è data la speranza.
WALTER BENJAMIN
I
bùttaci un po' di colore rinforzato, lì
nell'angolo smorto, come un salvataggio
in corner, dove prima c'era il fucile
carico, e da poco ci si vede
la pattumiera piena di soldi fino all'orlo.
l'importante è non tradire
la densità dell'aria, non annacquare
il mestruo della vita.
II
estenuato l'orange, resistono il giallo spocchioso
carico d'oro, e i verdi numerosi e cangianti,
i marron, gli avana pezzati.
la decifrazione delle nuances, come sai, non è
più facile di quella dei rumori, nell'ovatta
del pre-tramonto, a 30 km dal mare:
assenza del bianco e del nero, tinte
della disponibilità assoluta
e insieme della potenzialità totalitaria, che tutto
contiene e tutto esclude, in una folata
repentina di pànico:
ed è qui
che s'impone la brioche.
III
la luce, tu insisti a dire senza poi troppa convinzione,
conforta i riflessi del cielo, che vorrebbero intridersi
di prugna. inquiete e guardinghe, le ombre
si provano con impegno pleonastico a negarla,
come una tessera scaduta.
vorremmo forse
che la terra squadernasse il suo infinito
magazzino di menzogne, e perfino
le sue promesse?
IV
chi pensa che questa caotica
felicità vegetale sia lontana dal calcolo gelido
del labirinto, mostra di avere del mondo,
dei suoi compound, delle sue dispersioni,
fratture, ulcere, vapori, un'idea
che non è neppure elementare, è piuttosto
inadeguata e priva di codice - quindi, ancora
stretta alla cecità del pregiudizio.
(tutto questo, con preghiera
di pubblicazione clandestina).
V
più che mai indispensabile, il giudizio, in tempi
di astensione e di mutismi avantageux. l'orata
si fredda nel piatto, vorrei un altro giro di vite, e un cuscino
d'aria per sentirmi con meno piombo sulle ali.
più che mai necessario, dico: non foss'altro
che a un'intesa possibile
(magari di minima entità) con questo
logos intricato, forse inestricabile, che ci guarda
con occhio di verzura:
e di sé esprime comunque
un giudizio altro, di natura perpetuamente naturans: stessa
complessa intensità del linguaggio degli uomini, quando
sappiano articolarlo
senza cadervi dentro
come quaglie nella pània.
VI
troppa gente stipata nell'ascensore, perdipiù
tutta imbrattata di sugo di more, ridendo,
gesticolando: uno spettacolo
proprio indecoroso, mentre la terra
saliva in alto con furbesca leggerezza
divorando le nubi e diventando pioggia: e questo,
senza esagerazione, aveva l'aria
di una sequenza di un film dei Fratelli Lumières
mandata al macero, chissà come recuperata.
quando si dice la fortuna, o la scalogna.
la guerra è esattamente
come la pace, sentenziò il vicedirettore
di un giornale della sera, tiratura modesta, tono
tuttavia arrogante: una semplice
perdita di tempo
- e la signora verniciata
smise per un istante
di mangiarsi le unghie, scoppiò
in lacrime, poi rise, rise, non si capiva
perché, nell'ascensore bloccato
contro il muro del terzo piano: e fu
tutta una cosa di cristallo e di paglia.
VII
entrando in quella casa decisamente inabitabile
ciò che colpiva era la parete di fondo
che si allontanava avvicinandovisi (e viceversa),
decorata con uno strato denso di resti fossili
di piante del Devoniano - come tenne a sottolineare
l'ingegnere, andando su e giù
sulla sua sedia a rotelle, contento come una pasqua,
mentre il cadavere di sua moglie
giaceva a lato del pianoforte, e su un display
apparve in caratteri digitali Suicidio di una concertista.
oh, non abbiate timore di disturbarla, disse l'ingegnere;
è abituata a cose peggiori.
una ragazza alzò
ingenuamente la mano, come a chiedere la parola:
lui, issandosi un poco sulle braccia,
la fulminò con lo sguardo.
VIII
oh, la vitalità della tartaruga! la sua perpetua giovinezza!
proviamo a parlarne, ma poi no, via,
non ne vedo il costrutto. gli animali
non sono mai stati nostri amici, neanche
i più innocui: si sente che hanno invidia
della nostra enorme intelligenza, della nostra furbizia,
della nostra malafede infine. quel mio amico
del quale non ricordo mai il nome, a Capri, tanti anni fa,
aveva un falcone. un giorno lo trovarono sgozzato
sulla terrazza del suo villino, il falcone
svolazzava sopra di lui.
la rivoluzione, lo si ricordi,
è una realtà che si può solo esperire, non un format.
e scrivere, mentre c'è il congresso planetario
delle tempeste, è come andare a caccia di leoni
con la fionda. per fortuna, a quest'ora di notte, si sente
la voce di Leo Ferré, prossima, remota, Des filles au foulard
hurlant leur univers / S'en allaient doucement drapées
de ma tendresse. il sonno, quindi,
senza spinta di nessun tavor.
IX
dài, coraggio, facciamo un brutto sogno
di gruppo, tra facce d'angelo patibolari, seduti
su un sofà al centro di quella discarica
sotto la pioggia. tanto (bene non dimenticarlo) siamo sempre
dentro lo spazio dannato della letteratura
(confessione? avvertimento?).
eh sì, il diavolo, mi si dice sommessamente, è senza casa
ormai, senza parola: proprio un homeless
ammutolito, che si troverebbe poco a suo agio
perfino a colazione su quella terrazza alta sul Corno d'Oro,
le pauvre.
lo si dipinga pure di verde e di giallo,
non se ne adonterà.
se imbrattato di viola sotto le orbite,
farà capriole di gioia, il pallidissimo jongleur.
poi lo si vede occhieggiare
in turbante e caffetano bianco, proprio
un fantasma somigliantissimo a Pierre Loti, dalla soglia in penombra
di quel caffè malfamato, ora che un amico turco,
architetto mancato, parla della curvatura
del ponte sospeso sul Bosforo, irresistibile
come l'ala di un condor in volo, e il cuore gli batte
per il match-clou di stasera
del suo Galatasaray...
il diavolo insomma, stupidità
dei proverbi, è sempre molto più bello
di come lo si dipinge:
ciò che lo frega, temo, è la sua timidezza,
paralizzante sotto qualsiasi cielo.
X
saranno ore lunghe, quelle residue
di questa vita brevissima, mangiata come una porzione scarsa
di spaghetti, sotto la saracinesca dell'orizzonte
prossima a calare, e il mondo
praticamente in gabbia, scimmia
che scimmiotta se stessa.
diceva colui col fez nero
ricamato d'argento e l'occhio da mago, perfido
come nessuno che conosco - mentre
si faceva salotto (proprio per futilissimi motivi
e nessuna ragione, decisamente):
chi mangia dolce parla dolce:
sorbendo caffè senza zucchero.
XI
bisogna cantare a voce spiegata, eppure
sussurrando: ed è anche questo
un nodo di Gordio, che pochi al mondo sanno sciogliere
senza usare la spada.
non è roba da cantanti da piano-bar
o da cantautori. è roba da confessori assassini, che trapassano
lo spirito dei poveri di spirito
prima di disporlo nella rastrelliera, là, in quella stanza
senza pareti né dimensioni
dove da migliaia di anni (e forse più)
si fanno traffici illeciti, si ordiscono congiure, inganni, trappole,
e menzogne oceaniche, espedienti da cimici.
qualcuno dovrà pur dirmi, un giorno,
quanto c'è di diabolico in quei rituali superficialmente denominati
scrittura e pittura:
definizione en ralenti,
figurazione repentina o lentissima
del vuoto.
XII
oh, il disordine delle lingue
che non è mai la loro confusione: perché (infine)
finiscono sempre per trovare un incastro,
una convivenza asistematica, un'aria comune
da respirare, insomma, nel deserto
o al centoventesimo piano di un grattacielo:
magari a fatica, tra sangue e escrementi, alla ricerca
del lampo che possa accendere in un lampo
tutte le loro diversità e divergenze, varietà e variazioni,
fratture e afasie nel gorgo del molteplice, in una fiamma
che divora unanime gli ossigeni
delle differenze più abissali.
mi pareva di correre
lungo strade piene di sapori d'Oriente e d'Occidente
mescolati tra asfalto e mare, sotto
un cielo di ruggine, ruggente.
con un paio di amici defunti,
che mi invitavano a un party e mi parlavano all'orecchio,
mi sussurravano ma intanto vai piano, rallenta, tògliti la maschera:
qui nessuno ci può riconoscere, oramai.
XIII
attacchi aerei di inaudita intensità e violenza, ieri notte
- e nelle tre notti precedenti, contro i crinali della lingua: bombe
al napalm, mitragliamenti a tappeto reiterati
sei, sette volte.
flebile la reazione della parte aggredita,
ridotta in breve al silenzio:
gente perlopiù, di comunicazione gestuale, prossima
al balbettìo.
ma poi, di colpo, nel sogno,
una fiammata contagiosa, velocissima, in un attimo estesa come un mare,
a correre in orizzontale come mille frotte di puma, a inarcarsi
con impennate da Pioneer, fracassando le nubi, urlando
all'universo la propria immortalità:
e non è la povera rivincita
di un esperanto per teleutenti rimminchioniti
(lingua morta inventata per i morti):
è sicurezza, respiro, luminaria
accecante di tutte le libertà possibili, dai ruscelli
alle fiumane, dagli animali ai cuccioli adulti
degli uomini.
(è verità? è favola soltanto?)
XIV
s'era tolto il fez nero ricamato d'argento,
aveva smesso di fumare il narghilé, e ora disse,
socchiudendo gli occhi da mago: Dio, credo, dovrebbe ringraziare
l'uomo, questo topo mortale che lo ha creato
a sua immagine e somiglianza: ma
non mi risulta
che la sua dote più cospicua
sia la gratitudine.
(guardo la torre Galata:
e c'è molta Venezia, molta Genova,
nella notte serraglio).
tutti quei signori onnipotenti, quello Yahweh
subdolo e vagamente razzista, quell'aniconico Allah
con le sue mezzelune
e i suoi occhi di vetro policromo - magari senza occhiali, senza
neppure le lunettes di Lunetta...
- e senza, naturalmente,
quel Padreterno supercilioso, dal superego
alquanto esagerato, non vi pare?:
tutti psichicamente disturbati,
di carattere capriccioso, di Weltanschauung un po' troppo
ideologica, n'est-ce pas?
meglio tenersene alla larga: sono
tra l'altro, sembra, non poco vendicativi: meglio
andarsene a pesca di princìpi un po' meno
inossidabili, in qualche lago di pastura ricca, e berci
su un vinello buono di corpo e d'anima, prima
che la notte ti s'impigli fra i piedi, sbertucciati
da quel trio trinitario di capocomici
di cartapesta malandata...
XV
dipingendo scrittura, e viceversa: la veduta
più pertinente all'occhio contemporaneo
pare sia un corridoio di terrore, più lungo
dell'inverno più lungo, più insensato
di un anno bisestile fatto di dieci mesi.
la ragazza con gli occhiali scuri, lì
sul marciapiedi piastrellato, aveva
una gamba nera
e l'altra di candido alabastro:
ma non era una statua, era
un ricordo website.
ci sarà ancora, con la sua bottiglia
di Coca-Cola ciucciata solo a metà?
aprirà ancora la bocca
per dire qualcosa, tirandosi su la gonna
fino al pelo senza mutande?
XVI
"nec debes timere dyabolum
nec infernum nec purgatorium, quia
vere nichil sunt in natura, set
excogitata per clericos et sacerdotes
ad timorem hominum, set homo
habens conscienciam est ipse dyabolus
et infernus et purgatorium, se ipsum
tormentando. Set liber spiritu
omnia ista evadet, quia homo libertatus est
per veritatem divinam".
accadevano, certe confessioni
di frati eretici, nella regione di Augsburg verso il 1370.
in quella città, cinquecentoventotto anni dopo, vedeva
la luce Bert Brecht, poeta non più eretico
ma irriducibilmente contra, convinto
che la cosa principale fosse, in ogni epoca, "imparare
a pensare in modo massiccio".
(niente pensiero debole, che non è buono
neppure per la poesia).
il suo amico Walter Benjamin
era così convinto di questo, da poter scrivere di Kafka:
"Si potrebbe quasi dire che, una volta sicuro
della sconfitta finale, lungo il cammino
tutto gli riuscì come in un sogno".
XVII
un pensiero plastico, capace
di interconnettere le contraddizioni del mondo
guardando dal balcone
la crociera cangiante delle nuvole, la corsa
trafelata di un cane, la mano
che stringe il coltello per uccidere, ascoltando
come un gatto intontito
i rumori della città che spaccano
timpani e muri, ricordando tutti i ricordi
di una vita allineati come fanti
in parata:
pura illusione.
qui disponiamo solo
di un pensiero-gruviera, attraverso il quale
passano folate di buio, tenebre di desideri inappagati,
di oblio invelenito, di progetti che qualcuno
cancella con mani di velluto.
la prossima volta,
il fuoco.